Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29928 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 24/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4563/17) proposto da:

C.M., (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quale legale

rappresentante della ditta individuale “Azienda Agricola Aurora”,

nonchè quale socio accomandatario della s.a.s. Azienda Agricola

Bruso di M.C., rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Roberto

Afeltera, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in

Roma, viale B. Buozzi, n. 36;

– ricorrente –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI VENEZIA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Sindaco metropolitano pro tempore, rappresentato e difeso, giusta

procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Stefano

Vinti, e Roberta Brusegan, ed elettivamente domiciliata presso lo

studio del primo, in Roma, v. Emiia, n. 88;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 140/2016

(depositata il 2 gennaio 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria della difesa della controricorrente depositata ai

sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ricorso del 24 aprile 2006 il sig. C.M., in proprio e nella qualità di titolare dell’Azienda agricola Aurora di (OMISSIS), proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione del Settore Protezione civile e difesa del Suolo della ex Provincia di Venezia n. 35647/2006, conseguente all’elevazione del verbale di accertamento della Polizia provinciale dell’8 giugno 2001, con la quale gli era irrogata la sanzione amministrativa di Euro 651.012,91, con riferimento alla violazione di cui alla L.R. Veneto n. 44 del 1982, art. 33, comma 2, consistita nel non aver osservato le prescrizioni contenute nel Decreto Regionale n. 72 del 1999 di autorizzazione all’esecuzione di lavori di miglioria fondiaria, rilasciato ai sensi della citata L.R. n. 44 del 1982, art. 2 e, in particolare, per non aver rispettato la prescrizione prevista al punto 2 lett. b) dello stesso decreto.

L’adito Tribunale di Venezia, nella costituzione dell’ente opposto, con sentenza n. 109/2013 accoglieva parzialmente l’opposizione limitatamente al “quantum” della sanzione irrogata, che veniva rideterminata nella ridotta misura di Euro 297.600,00.

Decidendo sull’appello formulato dal C. e nella costituzione dell’ente appellato, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 140/2016, rigettava il gravame, ritenendo che, nel caso di specie, si erano configurate tutte le condizioni per l’integrazione della violazione oggetto del giudizio, da considerarsi adeguatamente provata nelle sue componenti oggettiva e soggettiva in base alle complessive risultanze probatorie acquisite.

2. Il soccombente appellante ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza di appello, riferito a tre motivi.

L’intimata Città metropolitana di Venezia ha resistito con controricorso, illustrato da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, dell’art. 2729 c.c. e della L.R. Veneto n. 44 del 1982, art. 2, asserendo che con l’impugnata sentenza la Corte veneziana aveva ritenuto sussistente la violazione ascrittagli nonostante il difetto di prova dell’esistenza dell’illegittima attività di cava, non configurabile nel caso in cui i miglioramenti fondiari avvengono senza utilizzazione di materiali a scopo industriale.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione della citata L.R. Veneto n. 44 del 1982, art. 33, comma 2, in rapporto al decreto regionale autorizzativo n. 72/1999.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha prospettato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione di legge e il difetto di motivazione in riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e art. 195 c.p.c., nonchè l’omessa assoluta motivazione su un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in riferimento alle considerazioni ed alle conclusioni del c.t.u., unitariamente alla mancanza di totale motivazione su un ulteriore fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’omessa audizione di esso opponente ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 18.

4. Rileva il collegio che, in primo luogo, occorre farsi carico dell’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso, proposta dalla controricorrente, con riferimento alla dedotta operatività della preclusione da c.d. “doppia conforme” in relazione al disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c. (“ratione temporis” pacificamente vigente).

L’eccezione è da rigettare perchè i primi due motivi denunciano violazioni di legge riconducibili all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e il terzo attiene, nella sua sostanziale prospettazione, non tanto alla violazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), quanto piuttosto a quella riconducibile al n. 4) dello stesso articolo, risultando dedotto, in effetti, un duplice vizio di (asserita) carenza assoluta di motivazione, come tale implicante una violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), pure esplicitamente indicato.

5. Ciò premesso, osserva il collegio che il primo motivo è infondato e va, perciò, rigettato.

Infatti, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la Corte veneta condividendo motivatamente la sentenza di primo grado – ha dato conto che la condotta in concreto ascritta alla ricorrente era, in virtù anche dei risultati degli adeguati accertamenti tecnici eseguiti, da ricondurre ad un’attività estrattiva di cava, poichè parte dello sbancamento era stato realizzato sotto quota con illecito asporto di materiale ed abbassamento della falda acquifera, ragion per cui l’accertata condotta non poteva qualificarsi come miglioramento fondiario.

Al riguardo, va posto in risalto che, secondo la nostra giurisprudenza (cfr. Cass. n. 8497 del 1996), con riguardo alla violazione amministrativa della coltivazione di una cava senza autorizzazione, sanzionata dalla L.R. Veneto 7 settembre 1982, n. 44, art. 33, comma 1, l’attività di sbancamento dell’area coltivabile, costituisce già “coltivazione”, attesa la sua evidente strumentalità rispetto all’attività estrattiva, sicchè non può essere effettuata in difetto della correlata necessaria autorizzazione.

Pertanto, nella fattispecie, la violazione contestata al ricorrente era stata in concreto accertata nella sua obiettività, donde l’inapplicabilità dell’art. 2729 c.c..

6. Anche la seconda doglianza è destituita di fondamento e deve essere, perciò, respinta.

Per effetto del rigetto del primo motivo, deve, infatti, essere respinto anche il secondo, e ciò sull’assorbente presupposto che, essendo rimasta accertata l’illegittima attività estrattiva di materiale proveniente da cava, la violazione contestata al ricorrente si era venuta a configurare poichè l’autorizzazione rilasciata si riferiva propriamente solo ad interventi di miglioria fondiaria e non consentiva, quindi, l’esecuzione di attività estrattiva desunta – come visto dalle concrete modalità realizzative e sulla scorta di quanto accertato con la c.t.u., donde quest’ultima attività si doveva ritenere posta in essere in difformità dal titolo autorizzatorio (così rimanendo integrata la contestata infrazione ricondotta al comma dell’art. 33 della L.R. Veneto n. 44 del 1982).

7. Rileva il collegio che è, altresì, insussistente la censura relativa alla mancata motivazione sulle contestazioni mosse alla relazione del c.t.u., poichè la Corte veneta ha, in effetti, inteso considerare attendibili e congrui tutti gli accertamenti e le valutazioni compiute dallo stesso ausiliario d’ufficio (il quale aveva anche considerato le controdeduzioni dei consulenti di parte), così implicitamente ritenendo inconferenti i rilievi dedotti dalla parte oggi ricorrente.

Si osserva, poi, che pur sussistendo il dedotto vizio di omessa pronuncia sul motivo concernente la supposta invalidità del procedimento sanzionatorio e la conseguente asserita illegittimità dell’ordinanza-ingiunzione per la mancata audizione dell’interessato richiesta ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 18, il motivo va disatteso per difetto di interesse, e ciò alla stregua dell’irrilevanza della citata mancata pronuncia per effetto della consolidatasi giurisprudenza di questa Corte – a partire dalla sentenza delle SU n. 1786/2010 (v., poi, tra le più recenti, Cass. n. 21146/2019) – che ha statuito come il vizio dell’omessa audizione sia da ritenersi comportante una mera irregolarità e non propriamente un vizio invalidante del procedimento amministrativo, potendo tutte le ragioni della parte destinataria del provvedimento sanzionatorio amministrativo – che avrebbe potuto formulare con l’esperimento dell’audizione – essere fatte valere in sede di opposizione giurisdizionale (come poi è avvenuto nel caso di specie).

E’ opportuno, infine, chiarire – nel rispondere all’ulteriore argomentazione addotta dal ricorrente – che, in tema di opposizione a ordinanza-ingiunzione, il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale introdotto dalla sentenza n. 1786 del 2010 delle S.U. di questa Corte – secondo cui la violazione del diritto ad essere ascoltati sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 18, comma 2, non comporta la nullità del provvedimento – non integra una ipotesi di cd. “prospective overruling”, poichè tale diritto non ha carattere processuale, inserendosi nell’ambito di un procedimento di formazione di un atto amministrativo, e, comunque, dalla sua violazione non consegue l’effetto preclusivo del diritto di azione e di difesa dell’interessato, che ha la possibilità di fare valere nel processo a cognizione piena le ragioni che avrebbe potuto rappresentare in fase di audizione (v., sul punto, Cass. n. 11300/2018).

8. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidando nei sensi di cui in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 10.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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