Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29926 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 24/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1340/17) proposto da:

S.I.V. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

(P.I.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Roberto Venettoni,

ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, c. C.

Fracassini, n. 18;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ANTRODOCO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dall’Avv. Antonio Perelli, ed elettivamente

domiciliato presso il suo studio, in Roma, v. Maestro Gaetano

Capocci, n. 14;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3674/2016

(depositata il 9 giugno 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24 novembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 506 del 2011, il Tribunale di Chieti rigettava l’opposizione proposta dalla Società Inerti Vignola (S.I.V.) avverso l’ordinanza n. 12664/2008 con la quale il Comune di Antrodoco aveva emesso nei suoi confronti la sanzione amministrativa di Euro 35.000,00, con riferimento alla violazione prevista dalla L.R. Lazio n. 17 del 2004, art. 28, comma 3, consistita nell’aver proseguito l’attività estrattiva nella cava “(OMISSIS)” trasgredendo l’ordinanza di sospensione n. 40/2008 adottata dal predetto Comune in data 11 giugno 2008. Pronunciando sull’appello formulato dalla S.I.V. s.r.l. e nella costituzione dell’ente appellato, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3674/2016 (depositata il 9 giugno 2016), rigettava il gravame.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte laziale respingeva tutti i motivi addotti con l’appello riferiti alla supposta irritualità della prova testimoniale e alla insussistenza della violazione accertata a carico dell’appellante (per essere rimasta riscontrata la prosecuzione dell’attività estrattiva anche successivamente all’emanazione dell’ordinanza di sospensione).

2. La soccombente società appellante ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza di secondo grado, riferito a due motivi.

L’intimato Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con conseguente nullità dell’impugnata sentenza, asserendo che il giudice di appello non aveva adottato alcuna pronuncia in ordine alla pur prospettata illegittimità dell’ordinanza di sospensione dell’attività di cava adottata dal Comune di Antrodoco n. 40/2008, quale atto presupposto per l’emissione del provvedimento sanzionatorio amministrativo.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 5, lett. E), con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), affermando che la Corte di appello avrebbe dovuto disapplicare la richiamata ordinanza amministrativa n. 40/2008, quale atto presupposto dell’adottata ordinanza-ingiunzione.

3. Rileva il collegio che, in via preliminare, occorre farsi carico dell’eccezione pregiudiziale formulata dall’ente controricorrente con riferimento all’asserito intervenuto giudicato esterno riconducibile ad una pregressa sentenza – affermata come divenuta incontrovertibile – della Corte di appello di Roma (n. 3419/2016), in cui la stessa si sarebbe pronunciata sulla legittimità dell’ordinanza n. 40/2008 del Comune di Antrodoco, dalla cui violazione sarebbero conseguiti l’accertamento a carico della ricorrente, la contestazione della violazione dell’ordinanza stessa e la derivante irrogazione della sanzione amministrativa.

Va osservato che la citata sentenza dedotta come passata in giudicato viene riferita dall’ente controricorrente ad un pregresso giudizio “speculare” a quello cui si rivolge il ricorso attuale, ancorchè concernente le opposizioni a due sanzioni amministrative ulteriori che, oltre a riguardare le medesime parti, avevano lo stesso oggetto ed erano state fondate anche sulla illegittimità della citata ordinanza comunale.

Senonchè, il collegio rileva che la menzionata sentenza n. 3419/2016 della Corte di appello di Roma, come prodotta dal controricorrente, non risulta munita di alcuna attestazione del suo passaggio in giudicato, ragion per cui la formulata eccezione non può aver alcun seguito.

4. Ciò posto, ad avviso del collegio i due proposti motivi – esaminabili congiuntamente siccome all’evidenza tra loro connessi – devono essere disattesi.

In particolare, il primo risulta difettante di specificità poichè, se è pur vero siccome non contestato – che alla questione dedotta con la censura venne fatto riferimento in vari atti difensivi prodotti nel corso del giudizio di primo grado (per come emergente anche dagli stralci dei relativi motivi di ricorso proposti), nondimeno la ricorrente non riporta propriamente il motivo di appello riguardante la questione stessa, tanto è vero che la Corte di appello non lo indica – nella sentenza qui impugnata – tra i tre motivi effettivamente posti a base del gravame.

Questa circostanza è avvalorata dallo stesso contenuto del ricorso (v., in particolare, pag. 7), laddove si deduce che l’illegittimità dell’ordinanza comunale n. 40/2008 (dalla cui violazione era scaturita la contestata violazione amministrativa in ordine alla quale era stata poi emessa l’ordinanza-ingiunzione) era stata già evidenziata “in sede di ricorso di primo grado” e che, nell’ambito del giudizio di appello, la relativa questione era stata sollevata solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, per effetto della produzione della sentenza del Tribunale civile di Rieti n. 542/2012, invocandosi la mancata disapplicazione, in via incidentale, dell’ordinanza sindacale n. 40/2008.

Appare evidente, quindi, che la doglianza relativa alla possibile disapplicazione della citata ordinanza amministrativa era stata proposta tardivamente e, quindi, inammissibilmente, perchè avrebbe dovuto essere ritualmente formulata con i motivi di appello e ciò anche indipendentemente dalla sopravvenuta sentenza del Tribunale reatino, incidendo su un profilo già oggetto del ricorso in primo grado e non riproposta tempestivamente in appello, con intervenuta acquiescenza dello stesso appellante per la parte non espressamente impugnata.

Per questa ragione non può affermarsi che si sia venuto a configurare il denunciato vizio di omessa pronuncia o quello di mancato esame di un fatto decisivo, difettandone il presupposto che avrebbe potuto determinarli, ovvero la legittima proposizione del motivo di appello riguardante proprio la richiamata questione (non attinente, invero, ad una ragione di inesistenza dell’ordinanza-ingiunzione opposta, rilevabile d’ufficio: cfr. Cass. n. 11595/2001 e n. 9178/2010), invece non formulata con il gravame e, comunque, dedotta come già sottolineato – in secondo grado tardivamente e, quindi, inammissibilmente.

Peraltro, la Corte di appello, nell’esaminare le specifiche doglianze legittimamente avanzate, ha – nell’impugnata sentenza – implicitamente ritenuto che l’indicata ordinanza amministrativa violata fosse stata legittimamente emessa, ed ha ritenuto, argomentatamente, sussistente la violazione ascritta alla ricorrente (ricondotta alla violazione della L.R. Lazio n. 17 del 2004, art. 28, comma 3) in virtù delle emergenze probatorie idoneamente acquisite, in dipendenza delle quali si era desunto il riscontro dell’avvenuta protrazione dell’attività estrattiva, da parte della ricorrente, dopo la notifica dell’ordinanza comunale di sospensione.

E ciò chiarendosi che, nella controversia in oggetto, non era stato contestato alla società ricorrente il fatto consistente nella difformità delle procedure di coltivazione della cava bensì l’aver realizzato propriamente una nuova escavazione successiva all’emanazione dell’ordinanza n. 40/2008 del materiale rinvenuto sui mezzi della S.I.V. s.r.l. (costituito, per l’appunto, da inerti da essa scaturiti) all’atto della contestazione della violazione e della redazione del relativo verbale di accertamento, attività ritenuta provata sia dal giudice di primo grado che da quello di appello.

Lo stesso discorso vale per il secondo motivo del ricorso in esame perchè nemmeno la doglianza riguardante la possibile disapplicazione della predetta ordinanza ai sensi dell’art. 5 L.A.C. (n. 2248/1865 – lett. e) risulta essere stata ritualmente formulata con l’atto di appello e – in virtù del percorso logico-giuridico operato – il giudice di appello ha comunque ritenuto che non sussistessero le condizioni per avvalersi di tale potere di disapplicazione, avendo, anzi, ravvisato – come già rimarcato – la legittimità dell’ordinanza di sospensione dalla cui violazione (rimasta in concreto accertata) era conseguita l’irrogazione della sanzione amministrativa.

5. Alla stregua di tutte le esposte ragioni il ricorso va totalmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidando nei sensi di cui in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

 

 

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