Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29924 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10648/2019 R.G. proposto da:

F.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti. Gianantonio

Altieri, e Maria Teresa Barbantini, con domicilio eletto in Roma,

Caio Mario n. 7;

– ricorrente –

contro

F.V., rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Corraini,

con domicilio in Rovigo, Via Mazzini n. 3;

– controricorrente –

e

F.R., R.R., F.A.N., F.C.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 750/2016,

depositata in data 31.3.2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11.11.2020 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso, chiedendo il rigetto

del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.V. ha convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Rovigo la madre R.R. e i fratelli R., A., C. e A.N., esponendo che il genitore Fr.Al., deceduto in data (OMISSIS), aveva alienato l’azienda agricola Bremba per un prezzo di Lire 2.690.000.000 ed aveva utilizzato parte del ricavato per acquistare immobili facenti parte di altra azienda agricola (le Frasche) mediante la stipula di due distinti atti, in data 11.1.1990, intestando i beni solo ai due figli R. e A..

Ha chiesto di dichiarare che le compravendite dissimulavano due donazioni indirette lesive della sua quota di legittima, di ridurre dette liberalità e di procedere alla divisione ereditaria.

Si sono costituiti i convenuti, instando per il rigetto della domanda. Il tribunale, con sentenza non definitiva n. 410/2013, ha accertato la simulazione delle compravendite dell’11.1.1990, ha disposto la riduzione delle donazioni dissimulate con criterio proporzionale ed ha ordinato la prosecuzione dell’istruttoria per il compimento delle operazioni di divisione.

La pronuncia è stata confermata in appello.

La Corte territoriale ha stabilito che Fr.Al. aveva effettivamente impiegato la somma derivante dalla vendita dell’azienda denominata Bremba per acquistare il fondo Frasche, che aveva poi intestato ai figli R. ed A. in violazione della quota riservata agli altri legittimari.

Secondo il giudice distrettuale, le donazioni avevano ad oggetto un cespite acquistato dal de cuius per un prezzo unico e in un unico contesto, e l’intestazione ai due figli era stata richiesta non pro indiviso, ma mediante l’assegnazione di porzioni di uguale valore mediante la stipula di due atti separati proprio allo scopo di “ottenere maggior chiarezza e semplicità nelle formalità di trascrizione”.

La sentenza ha ritenuto che le donazioni indirette, essendo coeve, dovessero esser ridotte con criterio proporzionale ai sensi dell’art. 553 c.c., anzichè con criterio cronologico, come previsto dall’art. 559 c.c., essendo detta norma applicabile alle sole donazioni successive, ed ha infine escluso che F.V. avesse rinunciato all’azione di riduzione verso il fratello R., osservando che questi aveva reintegrato la quota di legittima dell’attore, versandogli una somma di denaro, per cui correttamente il tribunale aveva disposto la prosecuzione del giudizio nei soli confronti di F.A..

Per la cassazione della sentenza F.A. propone ricorso in sette motivi.

F.V. resiste con controricorso.

Le altre parti non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione dell’art. 1362 c.c., comma 1 e art. 1350 c.c., n. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte di merito, violando i criteri di interpretazione letterale del contratto, abbia erroneamente interpretato i due rogiti di vendita come un unico atto, mentre trattavasi di due contratti autonomi, stipulati da parti diverse, aventi ad oggetto immobili distinti, già divisi prima della stipula, e senza previsione di un unico corrispettivo.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contestando alla sentenza di aver considerato come vere circostanze smentite dalla risultanze processuali riguardo al fatto che il fondo acquistato fosse unico, che i compratori fossero i medesimi, che avessero acquistato per quota un unico cespite, poi diviso, che fosse stato versato un unico prezzo.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 558 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, imputando alla Corte di merito di aver ridotto le donazioni in applicazione analogica del criterio fissato dall’art. 558 c.c., che, invece, è norma di stretta interpretazione, e di aver disapplicato il criterio di cui all’art. 559 c.c., che è inderogabile, e ciò pur in presenza di donazioni successive, perfezionate nello stesso giorno ma l’una dopo l’altra, come attestato dal numero cronologico di repertorio assegnato a ciascuna di esse e dalla diversa data di registrazione.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 559 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza applicato il criterio di riduzione proporzionale delle donazioni, mentre occorreva ridurre prima la donazione fatta a F.R. (benchè questi avesse transatto la lite, versando all’attore una somma di denaro), poichè altrimenti il ricorrente avrebbe dovuto “sopportare sulla sua donazione la riduzione a favore di R.R.” e, solo successivamente, poteva procedersi alla riduzione della donazione di cui aveva beneficiato il ricorrente.

Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 809 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la sentenza abbia ritenuto che le vendite effettuate dal de cuius dissimulassero due distinte donazioni indirette, mentre non vi era prova: a) che Fr.Al. fosse intervenuto personalmente nella stipula, che avesse versato il prezzo di acquisto o che avesse messo precedentemente a disposizione dei figli le somme versate a titolo di corrispettivo delle vendite; b) che il de cuius avesse stipulato un contratto preliminare di acquisto per sè o per persona da nominare o un contratto a favore dei presunti donatari.

Inoltre, non configurandosi una donazione degli immobili, poteva al più disporsi la collazione del solo importo delle somme poste a disposizione dei donatari.

Il sesto motivo denuncia – letteralmente – l’errata interpretazione del giudicato di cui alla sentenza del giudice del lavoro n. 173/2009, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contestando alla Corte di merito di aver attribuito alla suddetta pronuncia il valore di giudicato sostanziale tra le parti quanto al perfezionamento delle donazioni indirette da parte di Fr.Al., mentre il tribunale si era limitato a dichiarare la cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione sulla domanda di accertamento di una comunione tacita familiare tra le parti.

Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che, data l’infondatezza delle domande proposte da F.V., quest’ultimo doveva esser condannato al pagamento delle spese di lite

2. Per ragioni di ordine logico vanno esaminati con priorità e congiuntamente, per la loro stretta connessione, il quinto ed il sesto motivo di ricorso.

Le due censure sono infondate.

La Corte distrettuale, senza attribuire valore di giudicato alla sentenza del Tribunale di Rovigo n. 173/2009, quanto al perfezionamento di due distinte donazioni indirette in favore dei germani F., si è limitata a tener conto, a fini probatori, delle dichiarazioni assunte in quel procedimento, riconoscendo valore confessorio alle ammissioni del ricorrente circa la provenienza delle somme utilizzate per il pagamento del prezzo degli immobili oggetto di giudizio.

Dinanzi al giudice del lavoro, F.A. aveva, infatti, ammesso che il padre, dopo aver ceduto il Fondo (OMISSIS) tramite una articolata operazione societaria, aveva impiegato il ricavato per l’acquisto degli immobili intestati ai due figli, asserendo inoltre che questi ultimi non avevano la disponibilità di Lire 850.000.000 necessarie per l’acquisto, nè avevano mai fatto ricorso al credito.

La sentenza ha logicamente concluso che “le oggettive circostanze dell’acquisto per ben Lire 1.850.000.000 da parte di due contadini ventenni, che vivevano in famiglia, unitamente alle risultanze di prova orale e documentale, ivi compresi gli atti di causa ivi considerati, ben possono integrare plurimi, gravi e concordanti indizi tali da ritenere più che comprovata la ritenuta donazione indiretta lesiva della legittima” (cfr., sentenza, pag. 15).

Non occorreva anche la prova della stipula, da parte del de cuius, di un preliminare di vendita o di un contratto a favore di terzi o per persona di nominare, essendo emersa la decisiva circostanza che il pagamento del prezzo era avvenuto mediante l’impiego di somme che Fr.Al. aveva intenzionalmente posto a disposizione dei figli, proprio in vista della stipula dei due rogiti di compravendita.

Non si era in presenza della semplice donazione della provvista, di cui fosse poi irrilevante il successivo impiego, ma di un’attribuzione di denaro specificamente finalizzata all’acquisto dei cespiti, tanto che, come ha evidenziato la Corte territoriale, proprio a tale scopo erano stati stipulati due atti separati, in modo che ciascun erede divenisse titolare di una ben individuata porzione immobiliare.

La pronuncia è – in definitiva – conforme all’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui, quando il denaro è stato donato come tale, l’oggetto della collazione non può che essere il denaro stesso, che costituisce il bene di cui il genitore ha inteso beneficiare il figlio, mentre il successivo reimpiego della somma ricevuta non ha rilievo, essendo estraneo alla previsione del donante. Diverso è il caso in cui la dazione di denaro sia stata effettuata al precipuo scopo di procedere all’acquisto immobiliare (pagato direttamente all’alienante dal donante, presente alla stipulazione intercorsa tra acquirente e venditore dell’immobile, o corrisposto dal figlio dopo averlo ricevuto dal padre) con o senza la stipulazione in proprio nome di un contratto preliminare con il proprietario dell’immobile.

In tale seconda ipotesi – caratterizzata da un collegamento tra l’elargizione del denaro e l’acquisto del bene immobile – si è in presenza di una donazione (indiretta) dell’immobile (Cass. s.u. 9282/1922), sicchè era anche irrilevante che, nello specifico, i contraenti avessero dato atto che il pagamento era avvenuto prima della stipula.

In caso di acquisto di un immobile con danaro proprio del disponente ma con intestazione ad altro soggetto che il disponente stesso abbia inteso beneficiare, la vendita costituisce un mero strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per l’attuazione di un complesso procedimento di arricchimento del destinatario, per cui si ha donazione indiretta non già del danaro ma dell’immobile, poichè quest’ultimo è il bene che entra nel patrimonio del beneficiario (Cass. s.u. 9282/1992; Cass. 5310/1998; Cass. 11327/1997; Cass. 12563/2000; Cass. 5122/2001; Cass. 12486/2002; Cass. 13619/2017.

3. Anche i primi quattro motivi, che trattano di questioni comuni e che vanno esaminati contestualmente, sono infondati.

Anzitutto la Corte di merito non ha affatto ritenuto che Fr.Al. avesse perfezionato un unico atto di donazione o che i figli avessero stipulato un unico atto di acquisto.

La sentenza ha esplicitamente precisato che si era in presenza di donazioni coeve e quindi distinte (cfr. sentenza, pag. 9), e pur avendo anche affermato che “è acquisito che il fondo donato fosse unico, appartenente ai medesimi venditori, e che fosse stato concordato un unico prezzo complessivo, intestato per l’esatta metà a ciascuno dei due figli”, le descritte puntualizzazioni appaiono piuttosto volte ad evidenziare l’unitarietà del contesto negoziale e dei termini economici dell’operazione di acquisizione degli immobili presso i venditori e non ad affermare che la donazione o le vendite fossero state concluse mediante un unico negozio.

La contestualità delle due donazioni appare – inoltre – ribadita a pag. 10 della sentenza, proprio per escludere la possibilità di ridurre le donazioni secondo l’ordine cronologico.

3.1. L’art. 558 c.c., dispone che la riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza distinguere tra eredi e legatari. Se il testatore ha dichiarato che una sua disposizione deve avere effetto a preferenza delle altre, questa disposizione non si riduce se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari.

Il successivo art. 559 c.c., prevede che le donazioni si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori.

Se il de cuius ha fatto più donazioni o disposizioni testamentarie, sono soggette a riduzione, fino a esaurimento dei beni che ne formano oggetto, le disposizioni testamentarie; successivamente si passa alle donazioni (art. 555 c.c., comma 2).

Le norme sono volte a presidiare l’irrevocabilità delle donazioni da parte del donante: se fosse consentito ridurre prima le liberalità rispetto alle disposizioni testamentarie, il de cuius, dopo aver compiuto un atto di donazione di per sè non lesivo della legittima, potrebbe renderlo riducibile, disponendo di altri beni per testamento. Anche in caso di più donazioni, queste non si riducono proporzionalmente, ma cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori” (art. 559) e ciò sempre allo scopo di preservarne l’irrevocabilità.

Per lo stesso motivo l’ereditando non può disporre nè in una delle donazioni, nè nel testamento, che una donazione posteriore sia ridotta solo quando il valore delle altre non sia sufficiente a integrare la porzione legittima (Cass. n. 13660/2017).

Il criterio di riduzione proporzionale è specificamente previsto per le sole disposizioni testamentarie.

L’ordine da seguire nella riduzione delle disposizioni lesive della quota legittima è, inoltre, tassativo ed inderogabile (Cass. 563/1955; Cass. 2202/1968; Cass. 3500/1975; Cass. 22632/2013; Cass. 4721/2016).

Detta inderogabilità va, però, intesa nel senso che il legittimario non può far ricadere il peso della riduzione in modo difforme da quanto dispongono gli artt. 555,558 e 559 c.c..

Questa Corte ha precisato che il legittimario che non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive non potrà recuperare, a scapito degli altri, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia potuto o voluto convenire in riduzione. Analogamente, se abbia proposto l’azione contro un donatario anteriore, la misura della riduzione si determina comunque al netto di quanto il legittimario avrebbe potuto recuperare dal donatario posteriore (cfr., testualmente, Cass. 17881/2019).

Ciò posto, il criterio cronologico di riduzione previsto per le donazioni non può tuttavia operare allorquando si sia in presenza, come nel caso in esame, non già di donazioni successive, ma di più donazioni coeve, per le quali non sarebbe possibile stabilire quale di esse sia anteriore rispetto alle altre (Cass. 1495/1961).

Se più donazioni sono state stipulate lo stesso giorno con atti distinti, l’art. 559 c.c., è applicabile solo se i vari rogiti risultino stipulati in ore diverse e sempre che l’orario risulti dal rogito.

L’indicazione dell’ora di perfezionamento dell’atto (che l’art. 51, n. 11 L.N. prescrive esclusivamente per le disposizioni ultima volontà) è solo eventuale e non è posta a pena di nullità.

La sua omissione ha rilievo disciplinare (a far data dall’entrata in vigore dell’art. 48 bis del codice deontologico notarile – 1 febbraio 2007- per gli atti conservati a raccolta, pubblici o autenticati).

In mancanza, nessuno dei donatari è in grado di reclamare una priorità del suo titolo (a meno che risulti altrimenti e con certezza che l’uno abbia preceduto l’altro), e non resta che applicare la riduzione proporzionale stabilita dall’art. 558 c.c., per le disposizioni testamentarie (letteralmente, Cass. 17881/2019).

Nessuna certezza riguardo all’anteriorità delle singole donazioni può trarsi dal numero di repertorio assegnato a ciascun atto redatto lo stesso giorno, nè in base alla data della loro registrazione.

Quest’ultima non prova con certezza la successione temporale di perfezionamento degli atti, dipendendo da una condotta non vincolata, nè condizionata dalla data di stipula.

Quanto al numero di repertorio, l’originaria formulazione dell’art. 62 L.N., applicabile al caso in esame, prevedeva esclusivamente che il notaio dovesse prender nota, giornalmente, senza spazi in bianco ed interlinee, e per ordine di numero, di tutti gli atti ricevuti rispettivamente tra vivi e di ultima volontà, compresi tra i primi quelli rilasciati in originale, senza disporre che l’annotazione dovesse avvenire nel rigoroso rispetto dell’ordine cronologico di stipula, ordine che non risulta imposto neppure dal nuovo testo introdotto dal D.Lgs. n. 110 del 2010, art. 1, comma 1, lett. g), che alla parola “giornalmente” ha sostituito la formula “entro il giorno successivo”, peraltro solo con effetto dal 3.8.2010.

4. Il settimo motivo è inammissibile, poichè, senza muovere alcuna specifica censura in diritto alla pronuncia sulle spese, si limita a dedurne l’erroneità per carenza del presupposto della soccombenza, ciò non quale effetto delle decisioni assunte all’esito del giudizio di merito, che è risultato sfavorevole al ricorrente, ma per la ritenuta infondatezza delle domande, smentita, tuttavia, sia dalla pronuncia impugnata che in questa sede di legittimità.

Il ricorso è – in conclusione – respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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