Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29923 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 30/12/2020), n.29923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5661/2017 proposto da:

P.G., P.V., G.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TEULADA 52, presso lo studio dell’avvocato

ELISABETTA MICHELI, rappresentati e difesi dall’avvocato VARESCO

PORRI;

– ricorrenti –

contro

O.C., PA.FR., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DELLA MERCEDE, 11, presso lo studio dell’avvocato CINZIA

ANGELICO, rappresentati e difesi dall’avvocato CRISTINA PALERMO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2160/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Porri e Palermo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.G., G.G. e P.V. hanno proposto ricorso articolato in dieci motivi avverso la sentenza n. 2160/2016 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 22 dicembre 2016.

Resistono con controricorso Pa.Fr. e O.C..

Con citazione del 28 gennaio 2003, G.G. e G.M. convennero davanti al Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, Pa.Fr. e O.C. per sentir dichiarare simulato, o in subordine per revocare, il contratto preliminare di compravendita stipulato tra O.M.G. (morta il (OMISSIS)) e Pa.Fr. in data 18 ottobre 2002, con atto rogato dal notaio L.A., e per pronunciare sentenza ex art. 2932 c.c., volta al trasferimento in favore degli attori di un terreno agricolo sito nel Comune di Cecina, in relazione al preliminare del 20 marzo 1993 concluso nella qualità di promittente venditrice dalla defunta O.M.G., dante causa di O.C.. A seguito della morte di G.M., il processo fu proseguito dagli eredi P.G. e P.V.. Il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, con sentenza n. 214/2010, dichiarò inammissibili le domande degli attori, rilevando come il preliminare del 20 marzo 1993 intercorso tra G.G. e M., promissari acquirenti, e O.M.G., promittente alienante, fosse stato dichiarato risolto per inadempimento dei compratori con sentenza n. 358/2003, confermata dalla Corte d’appello e passata in giudicato per effetto della sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione, pubblicata il 3 dicembre 2009.

La sentenza n. 2160/2016 della Corte d’appello di Firenze respinse il gravame avanzato da P.G., G.G. e P.V., evidenziando come tale sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione, e la correlata risoluzione per inadempimento del contratto preliminare del 20 marzo 1993, avessero “condizionato ogni decisione relativa alla domanda proposta dagli attori in primo grado”, attenendo il giudicato al medesimo rapporto negoziale. I giudici di secondo grado rigettarono anche i primi cinque motivi di appello, attinenti al difetto di contraddittorio nei confronti di O.U., peraltro costituitosi in primo grado dichiarando di non vantare alcun diritto ereditario sui beni di O.M.G. oggetto di causa, giacchè specificamente attribuiti per testamento a O.C.; l’integrazione del contraddittorio fu ritenuta dalla Corte di Firenze comunque superflua, stante l’inammissibilità delle domande attoree.

Venne rinviata l’udienza pubblica inizialmente fissata per il giorno 8 aprile 2020.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sono infondate le eccezioni pregiudiziali genericamente svolte a pagina 2 del controricorso: l’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 6), deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonchè l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. U, 05/07/2013, n. 16887).

I. Il primo motivo del ricorso di P.G., G.G. e P.V. denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., assumendo che la Corte d’appello di Firenze non avrebbe dovuto prendere in considerazione la sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione, prodotta nel giudizio in primo grado, non essendosi poi costituiti Pa.Fr. e O.C. in sede di gravame.

I.1. Il primo motivo di ricorso è palesemente infondato.

Il giudicato esterno, al pari di quello interno, risponde alla finalità d’interesse pubblico di eliminare l’incertezza delle situazioni giuridiche e di rendere stabili le decisioni, sicchè il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti. Ne consegue che qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con il rilievo del giudicato formatosi in un precedente giudizio (nella specie, di risoluzione del contratto), preclusivo di un diverso accertamento sullo stesso rapporto giuridico, sulla base di una sentenza prodotta in giudizio da una delle parti, il giudice d’appello deve poi valutare tale giudicato anche d’ufficio, indipendentemente dal fatto che sia stata curata la produzione della sentenza anche in sede di gravame dalla parte interessata. Ove, peraltro, come nel caso in esame, il giudicato esterno si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo da eventuali allegazioni operate in tal senso delle parti (le quali, del resto, sono a conoscenza della formazione del precedente giudicato), e facendo ricorso, se necessario, agli strumenti informatici ed alle banche dati elettroniche (cfr. Cass. Sez. 5, 15/04/2011, n. 8614; Cass. Sez. 5, 15/06/2007, n. 14014; Cass. Sez. 5, 24/01/2007, n. 1564).

II. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 102 c.p.c., in relazione alla decisione sul sesto motivo d’appello, sostenendosi che la vicenda processuale conclusasi con la sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione fosse inidonea al passaggio in giudicato, non avendo partecipato a quel giudizio il litisconsorte necessario O.U., succeduto, insieme a O.C., alla sorella O.M.G., promittente venditrice del contratto preliminare del 20 marzo 1993.

II.1. Questo secondo motivo denota profili di inammissibilità, in relazione all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, essendo la censura difficilmente intellegibile, strutturata su periodi molto elaborati, densa di rinvii esterni all’atto di appello.

E’ comunque del tutto privo di rilievo che il giudicato esterno formatosi sul contratto preliminare del 20 marzo 1993 non vedesse come parte O.U. (con riguardo al quale, peraltro, la Corte d’appello di Firenze ha evidenziato come egli stesso avesse negato la sua qualità di erede di O.M.G., atteso che il terreno oggetto di lite era stato attribuito per testamento a O.C.).

Il giudicato derivante dalla sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione vide, invero, quali parti G.M. e G., nonchè O.G.M. (nella cui posizione era succeduta in data 21 gennaio 2003 l’erede e sorella O.C.). Nel presente giudizio sono parti G.G., P.G. e P.V. (eredi di G.M.), Pa.Fr. e O.C..

I ricorrenti G.G., P.G. e P.V. non hanno alcuna ragione di lamentare la mancata partecipazione di O.U. al giudizio in cui è maturato il pregresso giudicato.

Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, che va qui ribadita, l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, mentre le relative statuizioni non estendono i loro effetti, e non sono vincolanti, per i soggetti estranei al giudizio, e ciò anche quando il terzo sia un litisconsorte necessario pretermesso. Pertanto, seppure l’ordinamento predispone mezzi e strumenti per evitare il contrasto di giudicati nel caso in cui al giudizio non partecipino tutti i soggetti del rapporto che ne costituisce l’oggetto (chiamata in causa, integrazione del contraddittorio), può essere pronunciata una sentenza efficace solo per alcuni e non per tutti i soggetti titolari del detto rapporto, tant’è vero che l’art. 404 c.p.c., ha previsto anche un rimedio specifico, l’opposizione di terzo, per consentire a quest’ultimo, rimasto estraneo al giudizio, di non subire il pregiudizio che eventualmente si sia verificato in conseguenza della sentenza pronunziata senza la sua partecipazione (oltre al rimedio, generico, costituito dall’azione di nullità che il litisconsorte necessario può esperire contro la sentenza emessa a conclusione di un giudizio necessario al quale egli non ha partecipato) (così Cass. Sez. 2, 25/10/2013, n. 24165; Cass. Sez. L, 13/12/2005, n. 27427; Cass. Sez. 2, 17/03/2005, n. 5796).

L’efficacia fra le parti del presente giudizio del giudicato consacrato nella sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione non è, dunque, neppure minimamente infirmata dalla dedotta mancata partecipazione alla prima causa di O.U., sebbene i ricorrenti assumano che questi fosse un litisconsorte necessario pretermesso.

III. Il terzo motivo del ricorso di P.G., G.G. e P.V. allega la violazione dell’art. 2909 c.c., relativamente al settimo motivo di appello, che lamentava il mancato accoglimento delle domande di simulazione (o, in subordine, di revocatoria) del contratto del 18 ottobre 2002 e di adempimento ex art. 2932 c.c., del preliminare del 20 marzo 1993. I ricorrenti sostengono il loro interesse a proporre le domande indicate, interesse al contrario negato dalla Corte d’appello alla luce del giudicato di risoluzione per inadempimento del contratto 20 marzo 1993.

III.1. Anche questo terzo motivo di ricorso è del tutto infondato.

E’ evidente come, una volta dichiarato risolto, con sentenza passata in giudicato, il contratto preliminare che legava G.G. e M., promissari acquirenti, e O.M.G., promittente alienante, G.G. e gli eredi di G.M. non hanno più alcun interesse per far dichiarare simulato o revocare il contratto preliminare di compravendita stipulato tra O.M.G. e Pa.Fr. in data 18 ottobre 2002.

Ed infatti:

1) l’art. 1415 c.c., comma 2, legittimando i terzi a far valere la simulazione del contratto rispetto alle parti quando essa pregiudichi i loro diritti, non consente, peraltro, di ravvisare un interesse indistinto e generalizzato di qualsiasi terzo ad ottenere il ripristino della situazione reale, essendo, per converso, la relativa legittimazione indissolubilmente legata al pregiudizio di un diritto conseguente alla simulazione. Non tutti i terzi, pertanto, sol perchè in rapporto con i simulanti, possono instare per l’accertamento della simulazione, dovendosi per converso riconoscere il relativo potere di azione e/o di eccezione soltanto a coloro la cui posizione giuridica risulti negativamente incisa dall’apparenza dell’atto, nella specie un preliminare di compravendita, con la conseguenza che non possono ritenersi titolari di tale legittimazione i terzi che la derivino, come nel caso in esame, dalla qualità di promissari acquirenti assunta in un precedente contratto preliminare, il quale risulta dichiarato risolto con sentenza passata in giudicato (si vedano, ad esempio, Cass. Sez. 2, 21/02/2007, n. 4023; Cass. Sez. 2, 30/03/2005, n. 6651);

2) poichè il creditore è legittimato ad esercitare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., purchè dimostri di avere interesse ad impedire ogni alterazione del patrimonio del debitore che possa rendere impossibile o più difficile la soddisfazione del credito, il relativo accertamento resta presupposto indefettibile di tale azione. Ne consegue che il giudicato che abbia escluso l’esistenza del credito, nella specie derivante in capo ai ricorrenti dal contratto preliminare del 20 marzo 1993 dichiarato risolto, priva di fondamento l’esigenza di conservazione della garanzia patrimoniale cui era preordinata l’azione revocatoria del contratto stipulato il 18 ottobre 2002 da O.M.G. e Pa.Fr. (arg. da Cass. Sez. 2, 25/05/1994, n. 5081; Cass. Sez. 3, 29/01/2019, n. 2347).

Inoltre, il giudicato formatosi sulla risoluzione del preliminare di compravendita del 20 marzo 1993 per inadempimento imputabile ai promissari acquirenti rende chiaramente inammissibile la domanda di costoro volta all’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., dell’obbligo di contrarre nascente dal medesimo preliminare, essendo tale azione condizionata all’adempimento o all’offerta della prestazione corrispettiva da parte del contraente che abbia proposto la domanda.

IV. Il quarto motivo del ricorso di P.G., G.G. e P.V. denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia sulla insuscettibilità al passaggio in giudicato della sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione, non avendo partecipato a quel giudizio il litisconsorte necessario O.U..

IV.1. Questo quarto motivo di ricorso è inammissibile perchè la Corte di Firenze ha espressamente pronunciato su tale questione a pagina 8 della sentenza impugnata, sicchè i ricorrenti non possono lamentare al riguardo un error in procedendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., ma solo denunciare un error in iudicando o vizi della motivazione, deducendo che i giudici di merito abbiano risolto la questione prospettata in modo giuridicamente non corretto.

Le ragioni della manifesta infondatezza di tale eccezione sono, peraltro, già state esposte a proposito del secondo motivo di ricorso.

V. Il quinto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame della circostanza che O.U. fosse, o meno, erede di O.M.G..

V.1. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non si confronta con l’argomentazione decisoria contenuta nelle pagine 8 e 9 della sentenza impugnata, ove si è spiegato che non avesse rilievo la qualità di erede di O.U. ai fini del giudicato esterno formatosi, e che lo stesso O.U., costituitosi in primo grado, aveva negato di essere erede di O.M.G. con riguardo ai beni per cui è causa, attribuiti per testamento a O.C.. La “circostanza” cui allude il quinto motivo di ricorso, in relazione al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non costituisce, quindi, un “fatto” storico, avente carattere “decisivo” (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), ed è stata, soprattutto, compiutamente presa in considerazione dai giudici del merito.

Spetta, del resto, comunque alla parte, che deduca la non integrità del contraddittorio a causa, come nella specie, della mancata partecipazione di un assunto coerede, l’onere di indicare le ragioni di fatto e di diritto della necessità di integrazione.

VI. Il sesto motivo di ricorso allega la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per apparenza della motivazione relativa al primo motivo di appello circa la mancata riassunzione del giudizio di primo grado nei confronti del litisconsorte O.U. (del quale era stata ordinata la chiamata in causa iussu iudicis ai sensi dell’art. 107 c.p.c.), che avrebbe dovuto comportare la rimessione della causa in primo grado ex art. 354 c.p.c..

VII. Il settimo motivo di ricorso allega la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per apparenza della motivazione relativa al secondo motivo di appello circa la “estromissione” del litisconsorte O.U., vizio che avrebbe dovuto comportare la rimessione della causa in primo grado ex art. 354 c.p.c..

VIII. L’ottavo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per apparenza della motivazione relativa al terzo motivo di appello circa la “mancanza di qualsivoglia pronuncia” nei confronti O.U..

VIII.1. Sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono tutti inammissibili, a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto manca un confronto completo delle censure riferibile alla essenziale “ratio decidendi” su cui poggia la sentenza della Corte d’appello di Firenze.

Non sussiste in proposito la nullità, per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, che è il vizio denunciato nei tre motivi in esame, in quanto la sentenza contiene nella motivazione le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

I giudici di secondo grado, a pagina 9 della sentenza, scrissero che risultavano infondati i primi cinque motivi di appello, attinenti alla mancata notifica dell’atto di riassunzione a O.U., alla estromissione dello stesso ed alla mancata pronuncia nei suoi confronti, in quanto O.U., ritualmente costituitosi in primo grado, aveva dichiarato di non vantare alcun diritto ereditario sui beni di O.M.G. dedotti nella presenta lite, giacchè attribuiti per testamento a O.C.. Per di più, secondo la Corte di Firenze, il rinvio al primo giudice per l’integrazione del contraddittorio appariva attività processuale ininfluente sull’esito del giudizio di primo grado e lesiva della ragionevole durata del processo, stante l’inammissibilità delle domande degli attori alla luce del giudicato sulla risoluzione del preliminare. Con questo autonomo argomento decisorio non si confrontano sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso.

E’ vero che la riassunzione del processo, dopo un evento interruttivo, deve eseguirsi nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, sicchè, qualora sia stata omessa la notifica dell’atto riassuntivo ad uno dei litisconsorti necessari (nel caso, come si assume, ad un coerede), ed il giudice di primo grado abbia deciso, ciò nonostante, nel merito, il giudice di appello, rilevando la non integrità del contraddittorio in primo grado (sopravvenuta in seguito alla incompleta riassunzione, e corrispondente, quindi, di fatto, alla estromissione di un litisconsorte), deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e di tutti gli atti successivi al provvedimento di interruzione, nonchè rimettere la causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c..

Peraltro, il processo interrotto per morte della parte va proseguito o riassunto da o nei confronti di tutti gli eredi della parte medesima, rimanendo invece irrilevante la mancata partecipazione alla causa dei legatari del defunto, ancorchè subentrati nel diritto oggetto di contesa (Cass. Sez. 1, 22/07/1976, n. 2901).

Tuttavia, questa Corte ha altresì affermato (ed è quanto ha in pratica sostenuto anche la Corte di Firenze, con argomento decisorio non colpito da specifica censura) che il giudice del gravame, il quale pur constati l’omessa integrazione del contraddittorio, può evitare di rimettere la causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c., comma 1, ove l’impugnazione risulti assolutamente infondata, in quanto l’integrazione del contraddittorio (e dunque la rimessione del giudizio alla prima fase), si rivelerebbe, in forza del principio della ragionevole durata del processo, del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (così Cass. Sez. 1, 27/02/2017, n. 4917; si veda anche Cass. Sez. 2, 26/09/2019, n. 24071).

IX. Il nono motivo di ricorso allega la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia relativa al quarto motivo di appello attinente alla “violazione dell’art. 183 c.p.c.”, non essendosi mai tenuta, secondo i ricorrenti, l’udienza di trattazione, in cui gli attori avrebbero potuto definire il thema decidendum e svolgere le deduzioni istruttorie ex art. 184 c.p.c., ed in particolare allegare l’eventuale nullità della “aggiunta” operata in data 18 ottobre 2002 sul testamento olografo di O.M.G., aggiunta con cui la testatrice aveva disposto dei beni oggetto di causa in favore della sola O.C.. La nullità di tale istituzione testamentaria avrebbe così comportato la necessità del contraddittorio anche nei confronti di O.U.. Nella parte espositiva del ricorso, si evidenzia come, dopo che all’udienza del 28 gennaio 2004 era stata ordinata la sospensione per pregiudizialità del presente processo, in attesa della definizione del giudizio poi culminato nella sentenza n. 25411/2009 della Corte di cassazione, e dopo l’interruzione disposta per la morte di G.M., la causa era transitata direttamente all’udienza di precisazione delle conclusioni del 18 maggio 2010 e passata in decisione, nonostante gli attori insistessero per la rimessione in istruttoria.

XI.1. Va respinto anche il nono motivo di ricorso, in quanto esso denuncia l’omessa pronuncia su un motivo di gravame che poneva una questione di diritto palesemente infondata, che può perciò essere qui decisa, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., evitando la cassazione con rinvio (cfr. Cass. Sez. 5, 28/06/2017, n. 16171; Cass. Sez. 2, 01/02/2010, n. 2313).

Trova applicazione al presente giudizio, ratione temporis, la disciplina dettata dagli artt. 180,183 e 184 c.p.c., nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella L. 14 maggio 2005.

Non vi è questione sul mancato rispetto del termine (del resto, spettante ai convenuti) di cui dell’art. 180 c.p.c., comma 2, a qual fine basta che tra l’udienza di prima comparizione e quella di trattazione fossero intercorsi almeno i venti giorni richiesti dalla legge (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1, 27/05/2005, n. 11318).

Si è comunque sostenuto in giurisprudenza, e deve essere ribadito, che già nell’originario regime processuale introdotto dalla L. n. 353 del 1990, il giudice che ritenga la causa matura per la decisione, senza necessità di assunzione di mezzi di prova, ben può rinviarla alla fase conclusiva, non dovendo obbligatoriamente fissare un’udienza per i provvedimenti ex art. 184 c.p.c.. Ove ciò accada, la parte può, comunque, articolare i mezzi di prova in sede di conclusioni e dedurne, in appello, la mancata ammissione, dolendosi dell’omessa fissazione dell’udienza suddetta, purchè precisi, nell’atto di impugnazione, la decisività e rilevanza delle prove non ammesse nonchè il pregiudizio da essa subito a causa del mancato svolgimento dell’udienza per i provvedimenti istruttori, benchè ne avesse ritualmente richiesto la fissazione (Cass. Sez. 2, 30/09/2016, n. 19568; Cass. Sez. 2, 04/10/2018, n. 24402).

I ricorrenti non allegano che non fosse stata loro concessa la possibilità di formulare le richieste istruttorie, in conseguenza dell’omesso riconoscimento di un termine per la produzione di documenti e l’indicazione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del vigente art. 184 c.p.c., avendo, piuttosto, richiesto, in sede di precisazione delle conclusioni, che la causa venisse “rimessa in istruttoria”.

Peraltro, è altresì evidente il difetto di decisività e di rilevanza delle deduzioni istruttorie che si prospettano come vanificate, in quanto, ancora una volta, dirette a dimostrare “la necessità della rilevata mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di O.U.”, necessità superata dalle considerazioni svolte nella decisione sui precedenti motivi di ricorso.

X. Il decimo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per mancata pronuncia sul quinto motivo di appello, attinente al rilievo di ufficio, compiuto in primo grado in violazione dell’art. 112 c.p.c., della circostanza che O.U. fosse “erede a titolo particolare”, e perciò non fosse litisconsorte necessario.

X.1. Il decimo motivo di ricorso denuncia anch’esso l’omessa pronuncia su un motivo di appello concernente una questione di diritto palesemente infondata.

Il giudice è investito di un potere-dovere di controllare d’ufficio il rispetto del principio del contraddittorio, con l’evocazione in causa di tutti i destinatari della domanda formulata dalla parte attrice, curando l’osservanza degli inderogabili canoni di cui agli artt. 101 e 102 c.p.c.: l’accertamento della qualità di litisconsorte necessario, o meno, spettante ad uno dei soggetti del rapporto sostanziale dedotto in lite, non rientra, perciò, tra quelle questioni che, se rilevate d’ufficio, non possono porsi a fondamento della decisione ove non preventivamente sottoposte alle parti.

V. Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore dei controricorrenti nell’importo liquidato in dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del difensore avvocato Cristina Palermo (istanza in tal senso formulata nella memoria ex art. 378 c.p.c., presentata il 30 ottobre 2020).

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, con distrazione ex art. 93 c.p.c., in favore del difensore avvocato Cristina Palermo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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