Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29922 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. I, 18/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 18/11/2019), n.29922

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 30667/2018 proposto da:

Q.M., nato in (OMISSIS), domiciliato in Roma piazza Cavour

presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione rappresentato

e difeso dall’avv.to Daniele Accebbi, con studio in Vicenza

Piazzetta A. Palladio 11, giusta procura speciale in calce al

ricorso, ammesso in via anticipata e provvisoria al beneficio del

patrocinio a spese dello Stato con Delib. 29 ottobre 2018;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Verona Sez. Vicenza.

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA n. 4947/2018, depositato

il 17/09/2018;

– udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 dal Cons. Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. Q.M., cittadino (OMISSIS), ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione del decreto del Tribunale di Venezia che aveva respinto il ricorso avverso il diniego di riconoscimento di qualsiasi forma di protezione internazionale, deliberato dalla competente Commissione territoriale.

2. Le parti intimate non si sono difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e, artt. 5, 7 e 14 (per lo stato di rifugiato e di persona avente diritto alla protezione sussidiaria), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c ter, per la protezione umanitaria.

1.1. Lamenta che il Tribunale aveva negato le tutele previste dalla normativa richiamata, ritenendo non credibile la narrazione dei fatti che lo avevano indotto a fuggire e non assegnando alcun rilievo alla circostanza che gli era stato rinnovato il contratto di lavoro e che aveva frequentato corsi di lingua italiana.

1.2. Con il secondo motivo, lamenta, anche quale vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione fra le parti, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. a), in punto di onus probandi, del dovere di cooperazione istruttoria in capo al giudice e dei criteri normativi di valutazione degli elementi di prova e delle dichiarazioni rese dai richiedenti nei procedimenti di protezione internazionale.

Riporta tutte le notizie emergenti dalle COI che indicavano la presenza di una situazione di violenza permanente, di pressione e corruzione con attacchi che generavano stragi, anche da parte di organizzazioni terroristiche, lamentando che il Tribunale non aveva tenuto conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia per l’individuazione del conflitto armato permanente, negando apoditticamnete che ricorresse una situazione di grave violenza.

1.3. Con il terzo motivo, deduce la violazione del principio di non respingimento di cui all’art. 3 CEDU e art. 33 Convenzione di Ginevra.

2. I motivi proposti possono essere esaminati congiuntamente in quanto sono riferiti a tutte le forme di protezione invocata, inclusa quella umanitaria.

2.1. Gli argomenti spesi denunciano, nella sostanza, una motivazione apparente e cioè non aderente alle emergenze processuali con particolare riferimento sia alle informazioni desumibili dai rapporti EASO aggiornati circa la condizione di violenza provocata dalla presenza aggressiva di numerose organizzazioni terroristiche fra cui l’ISIS, responsabile di continui attentati, sia al grado di integrazione che sarebbe stato apoditticamente svalutato sulla base di una motivazione contrastante con le emergenze processuali, visto che era ancora in corso al momento della decisione il contratto di lavoro stipulato con le mansioni di “facchino” (cfr. doc. 7 fasc. del ricorrente).

2.2. Rispetto a tali censure, riconducibili al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. al riguardo, SUU 17931/2013) rilevano le recenti ordinanze di rimessione alle sezioni unite (Cass. nn. 11749, 11750, 11751 del 2019) sulle seguenti questioni:

a. se la disciplina contenuta nel D.L. n. 113 del 2018, nella parte in cui abolisce le norme che consentivano il rilascio di un permesso per motivi umanitari (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vecchio testo, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3) e le sostituisce con ipotesi tipizzate di permessi di soggiorno in “casi speciali”, sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L., relativi a fattispecie in cui, alla stessa data, la commissione territoriale non avesse ravvisato le ragioni umanitarie e avverso tale decisione fosse stata proposta azione davanti all’autorità giudiziaria”;

b. se, risolta la prima questione nel senso di ritenere tuttora applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, i previgenti parametri normativi, debba essere confermato il principio affermato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, può essere riconosciuto anche al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, sulla base di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”.

3. Poichè la decisione delle questioni sopra sintetizzate ricade necessariamente sulla soluzione della presente controversia, la causa deve essere rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte.

P.Q.M.

La Corte:

rinvia a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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