Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29921 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 30/12/2020), n.29921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 163/2016 proposto da:

STUDIO PROFESSIONISTI ASSOCIATI BOSCO D.V. – E., in persona

dell’Architetto D.V.S., e del Geometra E.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso lo

studio dell’avvocato MARIA CRISTINA NAPOLEONI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIORGIO MICHELE BLANGETTI, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.A.M., M.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA A. GRAMSCI, 54, presso lo studio dell’avvocato MICHELE

FERRERI, rappresentati e difesi dall’avvocato RENATO ROLLA, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1091/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/06/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso proposto dallo STUDIO PROFESSIONISTI ASSOCIATI BOSCO

D.V. – E. nel presente procedimento.

 

Fatto

RILEVATO

che:

è stata impugnata dallo Studio professionisti associati Bosco D.V. – E. la sentenza n. 1091/2015 della Corte di Appello di Torino con ricorso fondato su un motivo e resistito con controricorso dalle intimate V.A.M. e M.A..

Per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio va riepilogato, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

L’odierno Studio associato ricorrente otteneva, dall’allora Tribunale di Pinerolo, decreto ingiuntivo con il quale veniva intimato alle odierne parti controricorrenti il pagamento di somma asseritamente ad esso Studio dovuta a titolo di corrispettivo dell’attività professionale (studio, relazione progettuale e direzione lavori per recupero immobile) svolta in esecuzione di contratto di opera.

Interpdsta dalle odierne parti controricorrenti opposizione al D.I., quest’ultima veniva accolta dal subentrato Tribunale di Torino con sentenza n. 500/2013, che dichiarava risolto il contratto professionale.

Il succitato Studio proponeva, avverso la decisione del Tribunale di prima istanza, appello resistito dalle controparti appellate.

L’adita Corte di Appello di Torino, dopo aver “invitato le parti a trattare la questione della validità del contratto d’opera professionale in capo allo studio”, rigettava con la sentenza oggetto del ricorso la domanda proposta dall’odierna parte ricorrente con il citato ricorso monitorio (e, contestualmente, respingeva anche la domanda di risoluzione a suo tempo formulata dalle odierne parti controricorrenti).

La Corte distrettuale, per quanto rileva ai fin del presente giudizio, riteneva che il contratto di prestazione di opera professionale non era intervenuto con lo Studio associato e che aveva rilevanza meramente interna ad esso Studio la partecipazione in esso dell’Arch. D.V., professionista legittimato col quale solo era stato stipulato inter partes il contratto di prestazione di opera del 4.7.2003.

Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., con ordinanza in Camera di consiglio non ricorrendo l’ipotesi di particolare rilevanza delle questioni in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- Con il motivo del ricorso si censura la “violazione e falsa applicazione della L. n. 1815 del 1939, artt. 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo è fondato e va accolto.

La Corte piemontese, sollevando d’ufficio l’anzidetta questione della validità del contratto di prestazione professionale de quo, ha ritenuto che lo stesso non poteva essere intervenuto con l’odierno ricorrente Studio.

Ha, poi, affermato che “un incarico professionale direttamente conferito allo Studio associato, essendo nel 2003 ancora vigente il divieto di cui alla L. n. 1815 del 1939, artt. 1 e 2 (divieto poi abrogato con la L. n. 183 del 2011) sarebbe nullo per contrarietà a norme imperative che riservavano dette prestazioni profèssionali (che richiedono la personalità del rapporto) solo a professionisti iscritti all’albo)”.

E tanto, secondo l’impugnata sentenza, comportava la conseguenza che “la domanda azionata con il ricorso monitorio…andava…rigettata e non poteva (neppure) essere accolta la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento il quale presuppone la validità del contratto”.

La deciSione della Corte distrettuale opta, quindi, direttamente per l’illiceità del contratto, rendendo conseguentemente superflua lo stesso profilo (dapprima oggetto del giudizio di merito) dell’inadempimento contrattuale.

Il decisum della Corte piemontese non può essere condiviso nella suddetta affermazione di illiceità, sia pur ritenuta ricorrente ratione temporis ovvero con riguardo alla data di perfezionamento del contratto per cui è causa (anteriore all’entrata in vigore della L. n. 283 del 2011).

Al riguardo questa Corte deve osservare e rammentare quanto segue.

Secondo il più recente approdo giurisprudenziale in materia “il rispetto del principio di personalità della prestazione, che connota i rapporti di cui agli artt. 2229 c.c. e segg., ben può contemperarsi con l’autonomia riconosciuta allo studio professionale associato, al quale può essere attribuita la titolarità dei diritti di credito derivanti dallo svolgimento dell’attività professionale (nella specie, attività di difesa e assistenza in un contenzioso tributario) degli associati allo studio, non rientrando il diritto al compenso per l’attività svolta tra quelli per i quali sussiste un divieto assoluto di cessione” (Cass. civ., Sez. Seconda, Ord. 2 luglio 2019, n. 177718).

E, tanto, a prescindere dalla stessa sussumibilità, ratione temporis, del singolo rapporto professionale di prestazione d’opera nell’alveo della disciplina di cui alla citata legge del 2011.

Peraltro tale più recente affermazione di questa Corte già si ricollegati ad arresto e principio giurisprudenziale del 2015, a sua volta esplicitante altra precedente pronuncia (15.7.2011, n. 15694), non condivisa dalla Corte distrettuale, ferma all’applicazioni di principi, pur enunciati e precedenti nel tempo, ma superati.

Infatti già col l’altro predetto pronunciamento questa Corte aveva avuto modo di affermare che “l’art. 36 c.c., stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, sicchè, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato – cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici – rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 26 luglio 2016, n. 15417 e, precedentemente, Cass. cit. 15694/2011).

L’impugnata sentenza non ha tenuto conto di tali orientamenti giurisprudenziali, già risalenti al 2011 ed ora decisamente consolidati e, nel sollevare la questione della invalidità del rapporto contrattuale per cui è causa (e la sua pretesa contrarietà a norme imperative, superate), si è esclusivamente rifatta, a precedenti e impedimenti normati superati.

Tutto ciò comporta la fondatezza del proposto motivo qui in esame ed, oltre, la necessità di una complessiva rivalutazione delle questioni in fatto del rapporto stesso, una volta superata l’erronea e pregiudiziale affermazione della nullità del contratto per contrarietà a norme imperative.

Si impone, infatti, una nuova analisi, in fatto, delle stesse questioni di merito sollevate in giudizio e sulle quali imprime una nuovo contesto l’anzidetto superamento della dirimente questione di nullità, ritenuta decisiva con l’impugnata sentenza, ma ormai superata e non percorribile.

2.- All’accoglimento dell’esaminato motivi consegue l’accoglimento del ricorso con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio, anche per le spese, al Giudice indicato in dispositivo, che provvederà a rivalutare e decidere la controversia applicando i principi innanzi richiamati.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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