Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29917 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 30/12/2020), n.29917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21158/2019 proposto da:

D.D., elettivamente domiciliato in VIALE ROMAGNA N. 73,

MILANO, presso l’avv. MARIA LUCIA FRISENDA, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 24/04/2019;

(Rg. 32955/18);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 13 marzo 2019 il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione proposta, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, nell’interesse di D.D., cittadino della (OMISSIS).

2. Per quanto ancora rileva, in ragione del contenuto del motivo di ricorso, il Tribunale ha ritenuto che la mera attività di volontariato e i corsi di formazione non rivelassero uno stabile e radicato livello di integrazione in Italia, anche alla luce dell’assenza di particolari profili di vulnerabilità e della possibilità di ricongiungersi con la madre con la quale il richiedente era rimasto in contatto.

3. Avverso tale decreto, nell’interesse del soccombente, è stato proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 10 Cost. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relaziona al grado di integrazione raggiunto dal ricorrente in Italia, tenuto conto delle attività di volontariato e sportive e della frequentazione di corsi di lingue e di formazione professionale.

La censura è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come interpretato da Cass., Sez. Un., n. 7155 del 2017, a mente della quale lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1 cit., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., SS.UU., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

Nè è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, o quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (v. Cass. n. 3681 del 2019).

La giurisprudenza di legittimità ha specificato che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente (Cass. n. 3681 del 2019). Posti tali principi di diritto, che il ricorrente non pone in discussione, si osserva che le critiche, per un verso, valorizzano profili irrilevanti (come l’irragionevole timore di maledizioni che già avevano colpito la madre) e, per altro verso, risultano di assoluta genericità, quanto al livello di integrazione.

2. In conseguenza, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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