Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29916 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. II, 30/12/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 30/12/2020), n.29916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21350/2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in VIA STELLA N. 19 –

VERONA, presso l’avv. PAOLO TACCHI VENTURI, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 505/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 15 febbraio 2019 la Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto nell’interesse di S.S., cittadino del (OMISSIS), proveniente dalla regione di Kayes, avverso la decisione di primo grado che aveva disatteso la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e, in subordine, di quella per motivi cd. umanitari.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte d’appello ha ritenuto: a) che la vicenda narrata (la fuga dal Mali, dopo l’aggressione sofferta per essersi opposto alla pratica della mutilazione genitale della figlia di sette anni) era inverosimile, in quanto il richiedente si sarebbe in tal modo risolto ad abbandonare le figlie ad uno zio, esponendole a rischi anche maggiori, considerata la sua assenza; b) che il richiedente mai aveva fatto riferimento, nel corso delle sue audizioni, alla situazione generale del Paese; c) che, in ogni caso, le fonti disponibili escludevano l’esistenza di una situazione di violenza generalizzata nella regione di Kayes; d) quanto alla protezione per motivi cd. umanitari, che, nel valutare la vulnerabilità della persona, se tale condizione deriva dalle esperienze vissute prima dell’arrivo in Italia, non può prescindersi dalla credibilità dello straniero; e) che la scarsa credibilità della vicenda narrata e l’attuale situazione geo-politica della regione di Kayes inducevano ad escludere che il richiedente potesse essere considerato persona vulnerabile.

3. Avverso tale sentenza, nell’interesse del soccombente, è stato proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. L’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dall’attività lavorativa svolta dal ricorrente, per avere la Corte territoriale concentrato la sua attenzione, ai fini del diniego del permesso di soggiorno per motivi cd. umanitari, su profili (la scarsa credibilità della vicenda narrata dal richiedente e l’attuale situazione geo-politica di Kayes) privi di rilievo, ai fini della valutazione della protezione richiesta.

Al contrario, doveva tenersi conto, per un verso, del percorso di integrazione documentato dall’attività lavorativa svolta che consentiva al richiedente di svolgere un’esistenza dignitosa e indipendente e, per altro verso, dell’assenza in Mali di una rete famigliare o amicale.

La doglianza è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come interpretato da Cass., Sez. Un., n. 7155 del 2017, a mente della quale lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1 cit., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Invero, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

Nè è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, o quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (v. Cass. n. 3681 del 2019).

La giurisprudenza di legittimità ha specificato che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente (Cass. n. 3681 del 2019). Posti tali principi di diritto, deve rilevarsi che ad essi si è attenuto il giudice del merito nel negare al ricorrente il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nella suindicata prospettiva, si osserva che il ricorso insiste nel reperimento di un’occupazione lavorativa, senza considerare che essa, di per sè, non giustifica il riconoscimento del permesso per motivi umanitaria, che, al contrario, come s’è detto, richiede una valutazione comparativa legata alla condizione del Paese di origine. E sul punto la Corte territoriale ha motivato, facendo razionalmente riferimento alla attuale situazione geo-politica della regione di Kayes.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la Corte territoriale concluso per la non credibilità del ricorrente, senza dare conto degli indici legali di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, citato art. 3, comma 5.

La doglianza è inammissibile, dal momento che la valutazione di inverosimiglianza del racconto del richiedente riposa, come si è sopra rilevato, su una intrinseca implausibilità delle stesse, alla luce del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

Ora, questa Corte ha chiarito che, in linea generale, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’utilizzo di fonti informative non attuali non idonee, per avere la Corte territoriale indicato in modo impreciso e non verificabile i rapporti ai quali aveva fatto riferimento, omettendo di considerare che la regione di Kayes si trova nel centro e non nel meridione del Mali e di esaminare altre fonti autorevoli e sicure che descrivono una situazione ben diversa del Paese di origine.

La doglianza è inammissibile.

La Corte territoriale ha escluso, sulla base della consultazione di fonti informative qualificate delle quali ha dato puntualmente conto (e la critica del ricorrente quanto alla imprecisione nell’indicazione è smentita dalla stessa censura di non attualità delle fonti, che dimostra la loro chiara identificazione), che nella regione di Kayes sia presente una situazione di violenza generalizzata.

Il giudice di merito ha altresì rilevato che manca l’allegazione di fatti che rendano il ricorrente personalmente esposto al rischio di un danno grave in caso di rimpatrio. A fronte di tali rilievi, il ricorrente si limita a contrapporre alle conclusioni della Corte d’appello una propria ricostruzione, fondata su diverse informazioni (che non si cura di indicare), sostanzialmente con l’obiettivo di conseguire una rivisitazione delle valutazioni di merito, inibita, invece, a questa Corte. Peraltro, va aggiunto che, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. 18 febbraio 2020, n. 4037).

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA