Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29915 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 16/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.) (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati MAURO

RICCI, PATTERI ANTONELLA, PULLI CLEMENTINA, GIANNICO GIUSEPPINA,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2347/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

18/03/2009, depositata il 16/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato RICCI MAURO, difensore del ricorrente, che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso alla Corte d’appello di Roma B.G. impugnava la sentenza resa dal locale Tribunale del lavoro, con cui era stato escluso il suo diritto ad ottenere le differenze del pro rata della pensione in regime internazionale di cui era in godimento, partendo dall’importo virtuale comprensivo dell’integrazione al trattamento minimo, con conseguente condanna dell’Inps alle differenze sulla pensione. La Corte d’appello adita, con la sentenza oggi impugnata riformando la statuizione di primo grado, accoglieva la domanda richiamandosi alla sentenza della Corte di Giustizia in causa Stinco contro Inps, la quale aveva interpretato l’art. 46 del regolamento comunitario n. 1408 del 1971 nel senso che l’ente assicurativo competente era obbligato a prendere in considerazione, per determinare l’importo teorico della pensione come base di calcolo del pro rata, un complemento destinato a raggiungere il trattamento minimo previsto dalla normativa nazionale.

Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso. Il pensionato è rimasto intimato.

Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;

La questione posta alla Corte consiste nello stabilire se nel calcolo della pensione virtuale sia o no computabile l’integrazione al minimo. Mentre resta estranea l’ulteriore questione relativa alla spettanza, una volta effettuati i calcoli di cui più oltre si dirà, dell’integrazione al minimo sul pro rata a carico dell’ente previdenziale italiano.

Il ricorso dell’Inps è manifestamente fondato, come già ritenuto dalle sentenze di questa Corte n. 2785/2008, 14359 del 29/05/2008, con cui si è affermato che “In tema di liquidazione della pensione di vecchiaia in regime internazionale – conformemente al principio enunciato dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza del 24 settembre 1998 (causa n. 132 del 1996), come chiarito dalla medesima corte con la successiva sentenza del 21 luglio 2005 (causa n. 30 del 2004) – l’integrazione al trattamento minimo va computato nel calcolo della pensione virtuale (ossia dell’importo che conseguirebbe con l’applicazione della sola legge nazionale) solamente se detta integrazione spetti al lavoratore ai sensi della legge italiana”.

Stante la complessità della questione e ad alcune ultime novità legislative si ricapitolano i punti salienti di quelle motivazioni.

1. Va sommariamente illustrat il sistema che l’ente o gli enti competenti devono seguire quando il lavoratore migrante chiede una prestazione che presuppone una determinata anzianità contributiva.

Il sistema è previsto dall’art. 46 del regolamento 1408 del 1971 e consta di più fasi: occorre procedere anzitutto al calcolo della prestazione “autonoma” così come disposto dal par. uno, comma 1; si deve cioè calcolare se e quale sarebbe la misura della prestazione spettante presso il singolo stato senza procedere al cumulo dei periodi assicurativi compiuti presso altri Stati membri, essendosi constato che, in alcuni casi, la pensione liquidata autonomamente da uno di essi conduceva ad una prestazione di ammontare superiore rispetto a quanto conseguibile cumulando i periodi diversi.

Il secondo passaggio è la determinazione della pensione “virtuale”, che si ottiene, attraverso una fictio iuris, e cioè cumulando (totalizzando) tutti i periodi di assicurazione compiuti nei diversi Stati membri, come se fossero stati compiuti presso lo stato cui viene chiesta la prestazione (ed infatti solo addivenendo alla somma dei vari periodi lavorativi, si evita che il lavoratore migrante mantenga meri “spezzoni” di contribuzione, ciascuno dei quali, essendo troppo breve, non gli darebbe diritto di conseguire prestazioni presso nessuno degli stati presso cui ha lavorato). La pensione virtuale è calcolata da ciascun ente previdenziale, dopo avere unito i diversi periodi, sulla base delle proprie leggi nazionali.

Il terzo passaggio attiene al calcolo del pro rata: la somma dei periodi assicurativi serve per garantire all’interessato il conseguimento dell’anzianità assicurativa totale, ma poi ciascuna istituzione procede al calcolo dell’importo “effettivo” in proporzione al reale periodo di assicurazione compiuto presso il proprio stato. Ciascuna istituzione paga cioè solo la quota maturata presso il suo regime. E’ evidente infatti che all’applicazione del criterio della totalizzazione si accompagna necessariamente l’operatività del criterio del pro rata. Infatti, in assenza di qualunque trasferimento di contributi, giacchè ciascuno Stato conserva quelli di sua pertinenza, l’applicazione del solo principio della totalizzazione, condurrebbe alla erogazione di una prestazione non corrispondente alla misura dei contributi versati.

2. Fatta questa premessa, si procede ad illustrare una questione sorta in relazione al calcolo della c.d. pensione virtuale, di cui sopra si è fatto cenno. La questione, che ha dato luogo ad un nutrito contenzioso, consiste nello stabilire, come si è già rilevato, se nel calcolo della pensione c.d. “virtuale” sia o no computabile l’integrazione al minimo (restando estraneo l’ulteriore problema se spetti poi, una volta effettuati i calcoli, l’integrazione al minimo sul pro rata a carico dell’ente previdenziale italiano). Si tratta di interpretare l’art. 46, comma 2, lett. a) del regolamento Cee 1408 del 1971, che detta disposizioni per il computo della pensione di vecchiaia dei lavoratori che hanno effettuato periodi lavorativi sia Italia sia in altri Stati membri della UE, versando in ciascuno Stato i relativi contributi.

Il citato art. 46 recita “L’istituzione competente calcola l’importo teorico delle prestazioni cui l’interessato avrebbe diritto se tutti i periodi di assicurazione e/o di residenza, compiuti sotto le legislazioni degli Stati membri alle quali il lavoratore subordinato o autonomo, è stato soggetto, fossero stati compiuti nello Stato membro in questione e sotto la legislazione che essa applica alla data della liquidazione della prestazione…..”.

Ne consegue che l’ente previdenziale competente, che nella specie era l’Inps, deve calcolare l’importo teorico, cumulando i vari periodi, ed applicando la legge nazionale, procedendo cioè al conteggio come se tutta la vita lavorativa dell’interessato si fosse svolta in Italia. Ove il medesimo interessato avesse davvero lavorato ininterrottamente nel nostro Stato, l’importo della pensione da calcolare al momento della liquidazione sarebbe stato privo dell’integrazione al minimo, qualora a quell’epoca il medesimo avesse goduto di redditi superiori a quanto prescritto per la concessione del beneficio (perchè, com’è noto, ai sensi della L. n. 638 del 1983, art. 6, questo è condizionato alla titolarità di redditi inferiori ad una determinata misura).

3. Ha rilevato la sentenza della Corte di cassazione n. 11068 del 2004, che se tale è la regola, l’integrazione al minimo non può essere computata nell’importo virtuale della pensione sol perchè questa va poi sottoposta alla procedura del pro rata, perchè il citato art. 46 è chiaro nel prescrivere che il calcolo della prestazione virtuale si fa alla stregua della legislazione nazionale, senza prevedere alcuna eccezione. Ossia, in caso di superamento dei limiti reddituali nè la pensione reale, nè quella virtuale possono essere incrementate dall’integrazione. Si è quindi affermato nella pronuncia citata che la pensione virtuale va calcolata con inclusione della integrazione al minimo, solo se, alla stregua della legge italiana, detta integrazione spetta, non già in caso di non spettanza per superamento dei limiti reddituali: se infatti l’interessato avesse sempre lavorato in Italia non vi sarebbero dubbi che, in presenza di redditi superiori ad un certo ammontare giammai gli spetterebbe l’integrazione.

4. Questo indirizzo, che era stato disatteso da successive pronunzie della Corte di legittimità (cfr. n. 22558 del 01/12/2004 e n. 17144 del 23 agosto 2005), è invece conforme a quanto affermato da ultimo dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 21 luglio 2005 nel procedimento C- 30 del 2004. La questione decisa dalla Corte nella causa tra l’Inps e la signora K. atteneva proprio alla inclusione o meno della integrazione al minimo prevista dalla legge italiana ai fini dell’importo teorico della pensione, che va assunto ai fini del calcolo del pro rata della pensione. La pensionata, che godeva di redditi in misura superiore alla soglia prevista per il diritto alla integrazione al minimo, si era richiamata, a sostegno della pretesa, alla precedente sentenza della Corte di Giustizia del 24 settembre 1998, causa C-132/96, Stinco e Panfilo. La Corte, con la citata decisione del 2004 citata, ha chiarito (e forse in parte corretto) la portata di quella precedente del 1998. Ed infatti ha affermato che l’art. 46, n. 2, lett. a) del regolamento 1408/71, con le successive modifiche, che detta le regole per il calcolo dell’importo teorico della pensione, deve essere interpretato nel senso l’Inps non è obbligato ad includere nel medesimo importo teorico la integrazione al minimo se questa, a causa del superamento del limite reddituale, avrebbe dovuto essere negata nel caso in cui la interessata avesse lavorato sempre in Italia. Ha spiegato la Corte che la finalità del citato art. 46 del Regolamento è quella di garantire al lavoratore l’importo teorico massimo cui avrebbe avuto diritto se tutti i periodi di assicurazione fossero stati compiuti nello stato interessato e, nella specie, la pensionata, se fosse stata sempre assicurata in Italia, non avrebbe avuto diritto all’integrazione per superamento del limite reddituale (il lavoratore non deve essere danneggiato, ma nemmeno lucrare del fatto di avere lavorato in diversi stati dell’Unione).

5. Deve quindi essere affermato il principio per cui la pensione virtuale del lavoratore migrante va calcolata comprendendovi l’integrazione al minimo solo previo accertamento che l’interessato sia in possesso dei limiti reddituali previsti dalla legge italiana (L. n. 638 del 1983, art. 6) mentre se detto limite venga superato, la pensione virtuale va calcolata senza includervi la integrazione.

6) Va quindi accertato il reddito dell’attuale intimato. Si ricorda infatti che i limiti reddituali per il diritto alla integrazione al minimo sono stati estesi anche ai lavoratori ed i pensionati residenti all’estero, in forza della L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 7, comma 2 che ha abrogato il D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 9 bis convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638. Solo di recente la legge è mutata, essendosi stabilito, D.L. n. 207 del 2008, art. 35, comma 10 convertito in L. n. 14 del 2009 che “Per i procedimenti di cui all’allegato A rilevano i redditi da lavoro dipendente, autonomo, professionale o di impresa conseguiti in Italia, anche presso organismi internazionali, o all’estero al netto dei contributi previdenziali ed assistenziali, conseguiti nello stesso anno di riferimento della prestazione” ed invero nell’allegato A) non figurano i procedimenti relativi al diritto alla integrazione al minimo.

Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, alla medesima Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che accerterà l’esistenza del limite reddituale.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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