Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29915 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. I, 20/11/2018, (ud. 17/10/2018, dep. 20/11/2018), n.29915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24159/2014 proposto da:

S.N., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli n.

44, presso lo studio dell’avvocato Cassandro Tania, rappresentata e

difesa dall’avvocato Mastromauro Luigi, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Di Lecce

Ornella Sabina, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 291/2013 del TRIBUNALE di BARI, depositata il

28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/10/2018 dal Cons. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

nell’anno 1986 la regione Puglia concesse alla Scival di S.N. e c. s.a.s. un contributo in conto interessi per il preammortamento e l’ammortamento di un mutuo contratto dalla società a scopo di realizzazione di 31 alloggi posti nel comune di Trani;

con successiva Delib. 17 dicembre 1996, la regione dichiarò la decadenza della società dal contributo, per non aver provveduto alla vendita di due dei suddetti alloggi entro il previsto termine del (OMISSIS), e invitò la destinataria a restituire il contributo accordato;

rimasto senza esito l’invito, la regione notificò infine a S.N. un’ordinanza-ingiunzione per il corrispondente importo;

la S. propose opposizione, che il tribunale di Bari rigettò con sentenza in data 28-1-2013;

a sua volta la corte d’appello di Bari, con ordinanza del 26-3-2014, non notificata, ha dichiarato inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., donde la soccombente ha proposto ricorso per cassazione, in quattro motivi, nei confronti della sentenza di primo grado;

la regione ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 639 del 1910, art. 1 e dei principi generali in tema di ingiunzione fiscale, nella parte in cui l’impugnata sentenza ha negato la carenza di legittimazione passiva da essa eccepita; in contrario obietta che l’ingiunzione era stata emessa sul presupposto della decadenza della società dal contributo regionale, ma era stata indirizzata infine unicamente a essa S. in proprio, non nella qualità di accomandataria della società;

il motivo è del tutto infondato, giustappunto perchè la ricorrente era (ed è) pacificamente l’accomandataria della società, sicchè dei debiti sociali essa in ogni caso era (ed è) solidalmente responsabile (art. 2313 c.c.);

non occorreva a tal fine specificare nell’ingiunzione la qualità di socio accomandatario, dal momento che tale qualità non è stata mai disconosciuta, e tenuto conto che dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità dell’accomandatario;

da questo punto di vista può essere affermato il principio per cui nella società in accomandita semplice, la responsabilità solidale derivante dall’art. 2313 c.c., consente di notificare direttamente all’accomandatario l’ingiunzione fiscale conseguente alla revoca di sovvenzioni pubbliche, sicchè l’atto non resta inficiato dalla mera circostanza che sia mancata la spendita della qualità del destinatario;

col secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di impugnazione di atti di revoca di sovvenzioni pubbliche, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo in relazione all’argomento adottato dal tribunale secondo cui non era stata proposta opposizione alla delibera regionale di revoca del contributo: la ricorrente sostiene che tale argomento a niente serve, poichè il provvedimento di revoca esula dalla giurisdizione amministrativa; pertanto dalla mancata opposizione alla delibera (dinanzi al giudice amministrativo) non poteva desumersi alcuna forma di decadenza a carico della destinataria dell’ingiunzione, come pure nessuna cristallizzazione del credito;

il motivo è inammissibile poichè fondato su una non corretta esegesi della statuizione impugnata;

il tribunale non ha menzionato il supposto meccanismo di cristallizzazione del credito, correlato alla mancata opposizione della società avverso la delibera regionale dichiarativa della decadenza dal contributo; si è limitato a rilevare che avverso il provvedimento non era stata promossa alcuna opposizione e che non risultava dimostrata la vendita, entro il termine stabilito, dei due alloggi richiamati in delibera;

ne consegue che la ratio decidendi non riposa affatto su una mai affermata presunta necessità di previa impugnazione della delibera regionale dinanzi al giudice amministrativo, impugnazione non proposta; riposa invece sulla diretta verifica del fondamento della dichiarata decadenza dal beneficio, motivata con la duplice considerazione che, da un lato, la delibera (assunta sul presupposto dell’inadempimento della società all’obbligo di alienazione di tutti gli alloggi entro il termine del (OMISSIS)) non era stata in alcun modo avversata, e che, dall’altro, neppure gravando l’ordinanza-ingiunzione l’attrice aveva fornito la prova dell’avvenuta vendita;

col terzo mezzo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2943 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione al rigetto dell’eccezione di prescrizione del credito;

la tesi della ricorrente è che il credito era venuto a esistenza il 1-1-1992 e l’ordinanza-ingiunzione era stata notificata oltre il termine decennale di prescrizione ordinaria, segnatamente il 17-6-2003; gli atti interruttivi indicati dal tribunale, in particolare quello di cui alla raccomandata 25-52001, non erano andati a buon fine;

il motivo è inammissibile poichè implica una censura in fatto in ordine alla distinta affermazione del giudice del merito secondo la quale, invece, la prescrizione era stata interrotta dall’atto sopra indicato;

in tale affermazione è implicito l’accertamento di regolare notifica di tale atto e la decisione non è censurabile sul versante del vizio di motivazione – peraltro genericamente dedotto mediante mero rinvio a una non meglio specificata diversa prova desumibile “dalla documentazione allegata agli atti del giudizio”; difatti l’inammissibilità dell’appello della S. è stata fondata sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado, donde il ricorso per cassazione non è proponibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (art. 348-ter c.p.c., comma 4); infine col quarto motivo si deduce la violazione della L. n. 457 del 1978, art. 18, comma 2, in quanto il tribunale non aveva preso in alcuna considerazione la deduzione circa la non imputabilità dell’inadempimento;

Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza;

va premesso la citata L. 5 agosto 1978, n. 457, recante “norme per l’edilizia residenziale”, ha previsto (cfr. soprattutto artt. 16 e 18) la possibilità di concedere mutui agevolati per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale in aree comprese nei piani di zona di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167 e successive modificazioni, in favore, tra l’altro, di imprese di costruzione; tuttavia, in base all’art. 18, comma 2, stessa legge, la successiva assegnazione e l’acquisto degli alloggi edificati e il relativo frazionamento dei mutui (ovvero l’atto di liquidazione finale nel caso di alloggi costruiti da privati) devono essere effettuati, rispettivamente, entro due anni ed entro sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori; il contributo sugli interessi di preammortamento può continuare a essere corrisposto qualora l’immobile, anche prima della scadenza dei suddetti termini, sia locato ai sensi della L. n. 179 del 1992, artt. 8 e 9 (recante “norme per l’edilizia residenziale pubblica”); il soggetto destinatario del contributo può chiedere di effettuare l’assegnazione o la vendita nei due anni successivi alla scadenza dei predetti termini, provvedendosi in tal caso alla proporzionale riduzione del numero di annualità di contributo previste dal provvedimento di concessione;

ora la ricorrente sostiene di aver dedotto che il mancato perfezionamento della vendita dei due alloggi nel termine prescritto non era imputabile alla società, la quale aveva stipulato una promessa di vendita all’esito della quale il promissario acquirente aveva rifiutato pretestuosamente l’acquisito; ne era derivata una causa civile, conclusasi con una transazione (nell’anno 2004) presupponente il trasferimento delle due unità;

la ricorrente si duole che tanto non sia stato considerato dal tribunale;

sennonchè, anche sorvolandosi sul fatto che finanche in base alla postulazione il trasferimento sarebbe avvenuto dopo l’ordinanza-ingiunzione, è decisivo osservare che non può sostenersi che l’impugnata sentenza non abbia considerato ciò che dall’attrice era stato dedotto; per quanto con motivazione stringata, il tribunale ha infatti stabilito che non era stata “dimostrata la vendita dei due alloggi richiamati in delibera, alloggi che, secondo la prospettazione di parte attrice, sarebbero stati posti in vendita ma per i quali vi è contenzioso con il promissario acquirente”;

nella anzidetta, pur estremamente sintetica motivazione è da ravvisare giustappunto il rilievo che nessuna prova l’attrice aveva fornito in ordine a quanto sostenuto, il che costituisce un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità siccome attinente alla valutazione della prova; le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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