Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29914 del 13/12/2017

Cassazione civile, sez. un., 13/12/2017, (ud. 09/05/2017, dep.13/12/2017),  n. 29914

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza n. 209 del 2016, depositata il 14 dicembre 2016, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha assolto la dott.ssa A.M.R.C., presidente di sezione del Tribunale di Catania, dalla incolpazione ascrittale “perchè l’illecito disciplinare non è configurabile essendo il fatto di scarsa rilevanza” e ha disposto la trasmissione di “copia degli atti alla 1^ ed alla 5^ Commissione in sede per quanto di eventuale competenza”.

La dott.ssa A. era stata incolpata dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. n), perchè, “in violazione dei doveri di diligenza e correttezza, nella qualità di presidente della sesta sezione civile del Tribunale di Catania con competenze in materia di esecuzioni, commetteva una grave inosservanza delle disposizioni relative alle assegnazioni degli affari giudiziari, atte a garantire un modello di trasparenza dell’attività giurisdizionale”: ciò, in particolare, per aver disposto “la sospensione dell’esecuzione immobiliare assegnata alla dott.ssa F.S.M. (n. 38/90 R.G.E.) con l’ordinanza del 20 dicembre 2012, resa nell’ambito dell’opposizione alla medesima esecuzione (n. 7806/2012 R.G.), in violazione dei criteri tabellari indicati con nota (…) del 24 gennaio 2014 (prot. n. 330/141), secondo i quali per le procedure immobiliari, i “fascicoli trattati dal giudice F. in qualità di GE” avrebbero dovuto essere assegnati in sede di opposizione “al giudice G.F.””.

1.2. La Sezione disciplinare ha premesso in fatto che: nell’ambito di procedura esecutiva immobiliare assegnata alla dott.ssa F.S. era stato emesso in data 16 aprile 2011 il decreto di trasferimento dell’immobile espropriato in danno della debitrice esecutata; nel luglio 2012 il coniuge di quest’ultima aveva proposto ricorso in opposizione all’esecuzione per rilascio, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2 (invocando la propria legittimazione a proporre l’opposizione sulla base di un titolo autonomo, basato sul possesso uti dominus dell’immobile già aggiudicato), seguito da istanza di sospensione dell’esecuzione; con decreto del 20 dicembre 2012, la dott.ssa A., prima dell’udienza fissata per la comparizione delle parti, aveva disposto la sospensione richiesta (poi revocata con ordinanza del 6 maggio 2013).

Ha osservato che il procedimento trattato dalla dott.ssa A. riguardava la materia dell’esecuzione immobiliare e non rientrava in alcuna delle competenze attribuite in sede tabellare all’incolpata, poichè i criteri tabellari vigenti all’epoca prevedevano che i procedimenti esecutivi immobiliari dovessero essere assegnati alla dott.ssa F. e alla dott.ssa M. (le quali avrebbero dovuto trattare in via esclusiva tale materia) e che le opposizioni di terzo all’esecuzione ed agli atti esecutivi avrebbero dovuto essere trattate da giudici diversi da quelli competenti in ordine alla relativa esecuzione mobiliare o immobiliare.

Ha, quindi, ritenuto che: è “pienamente integrata la contestazione disciplinare negli specifici termini descritti nella incolpazione essendosi la dott.ssa A. autoassegnata un procedimento in violazione dei criteri tabellari che escludevano ogni sua competenza nella materia della esecuzione immobiliare”; la violazione è senz’altro grave, in ragione della delicatezza delle questioni sottese al ricorso proposto dal terzo; vanno poi considerate le funzioni semidirettive svolte dall’incolpata, che imponevano al presidente della sezione di garantire la corretta assegnazione dei procedimenti, assicurando, in un’ottica di trasparenza, l’effettiva osservanza dei criteri oggettivi per la distribuzione degli affari all’interno dell’ufficio (e nel caso concreto l’assegnazione del procedimento de quo al presidente “appare finanche estraneo ad ogni ipotizzabile schema tabellare”); ciò induce “a disporre la trasmissione degli atti alla Quinta Commissione di questo Consiglio competente ad esprimere proposte e valutazioni ai fini della idoneità della dott.ssa A. alle funzioni semidirettive”.

Ciò posto, il Giudice disciplinare ha affermato di poter tuttavia ritenere il fatto addebitato di scarsa rilevanza, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis sulla base della considerazione che l’incolpata aveva eliminato gli effetti del decreto di sospensione della procedura esecutiva di rilascio dell’immobile, provvedendo alla revoca dello stesso e disponendo la prosecuzione della procedura medesima.

Infine, la Sezione ha ritenuto necessario disporre la trasmissione degli atti anche alla prima commissione del Consiglio, al fine di sollecitare una verifica sulla possibilità dell’incolpata di esercitare le funzioni nella sede che occupa con la necessaria indipendenza e imparzialità, anche in considerazione dell’insanabile rapporto di conflittualità venutosi a creare tra la stessa e la dott.ssa F.S. (che aveva dato luogo a procedimenti disciplinari a carico di entrambe per fatti in qualche modo collegati).

2. Avverso la sentenza la dott.ssa A.M.R.C. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato con memoria.

3. Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Va preliminarmente affrontata la questione dell’ammissibilità del ricorso, sotto il profilo dell’esistenza dell’interesse all’impugnazione, allorchè – come nella fattispecie – la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis abbia assolto il magistrato dall’illecito disciplinare oggetto dell’incolpazione, in quanto ritenuto non configurabile per la scarsa rilevanza del fatto.

1.2. Queste sezioni unite, con le sentenze n. 14889 del 21/6/2010 e n. 19976 del 23/9/2014, hanno dato risposta negativa al quesito. Con la prima pronuncia sono giunte a tale conclusione sulla base delle seguenti considerazioni: l’interesse all’impugnazione presuppone, da un lato, la soccombenza e, dall’altro, una utilità concreta derivabile dall’eventuale accoglimento del gravame; l’interesse non può essere meramente astratto, volto cioè ad ottenere soltanto una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di rilievo pratico, e quindi non può consistere nella sola correzione della motivazione; quando il giudice disciplinare “”assolve” l’inquisito dalla “incolpazione contestata” “in quanto il fatto è di scarsa rilevanza”, detto giudice assolve il magistrato perchè il fatto contestato “non costituisce illecito disciplinare” e il magistrato, non risultando “soccombente”, non è legittimato a proporre impugnazione avverso tale pronuncia, certo essendo che dall’eventuale accoglimento di una tale impugnazione non potrebbe derivare alcuna situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante”.

Con la seconda il principio è stato confermato, osservando che la formula assolutoria in esame non lascia sussistere alcun giudizio di antigiuridicità della condotta e che, quindi, non è configurabile l’interesse a impugnare (da valutare in prospettiva utilitaristica, come nel sistema processuale penale), non potendo derivare dal ricorso alcun risultato praticamente e concretamente vantaggioso.

1.3. Il collegio ritiene che si debba pervenire a diversa conclusione.

1.4. Va, in primo luogo, ribadito (come ha già chiarito la citata sentenza n. 19976/14) che, in materia di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, il regime delle impugnazioni, secondo il disposto del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24 risulta caratterizzato dall’applicazione delle norme processuali penali quanto alla fase introduttiva del giudizio, restando, invece, il suo svolgimento regolato da quelle civili: la fase di proposizione del ricorso è, pertanto, soggetta alla disciplina processuale penale (tra altre, Cass., Sez. U., 5/10/2007, n. 20844; 24/9/2010, n. 20159; 13/9/2011, n. 18701; 9/6/2017, n. 14430; 12/6/2017, n. 14550).

Ne deriva che l’esistenza dell’interesse ad impugnare deve essere accertata in base alla nozione che di tale interesse è adottata nel sistema processuale penale (art. 568 c.p.p., comma 4), rispetto alla quale si rivela inadeguato il concetto di soccombenza, tipico del processo contenzioso (cioè di una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti) (Cass., Sez. U. pen., 27/10/2011, n. 6624).

1.5. La giurisprudenza penale di questa Corte ha, al riguardo, elaborato, con orientamento ormai consolidato, una nozione ampia di interesse all’impugnazione, da intendere in chiave sostanzialmente utilitaristica, individuandolo, in negativo, nella finalità, attuale e concreta, di rimuovere un pregiudizio, persino se derivante da una pronuncia favorevole, che incide però negativamente nella sfera giuridica o morale dell’impugnante, e, in positivo, nello scopo di conseguire una utilità, cioè un risultato pratico complessivamente più vantaggioso – anche quanto agli effetti extrapenali – rispetto a quello derivante dalla pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., Sez. U. pen., n. 6624 del 2011, cit., e 29/3/2012, n. 25457).

Si è, in particolare, precisato (sulla base anche di pronunce della Corte costituzionale, tra le quali la n. 200 del 1986 e la n. 85 del 2008) che, nell’ambito delle varie formule assolutorie previste dall’art. 530 c.p.p., le uniche totalmente liberatorie, in quanto escludono ogni pregiudizio, attuale o potenziale, sono quelle “perchè il fatto non sussiste” e “perchè l’imputato non l’ha commesso”, le quali indicano, rispettivamente, l’insussistenza materiale del fatto storico e la totale estraneità ad esso dell’imputato; laddove con riguardo a tutte le altre, compresa quella “perchè il fatto non costituisce reato”, non può negarsi il diritto dell’imputato di impugnare per ottenere una delle anzidette formule più favorevoli (Cass., Sez. U. pen., 29/5/2008, n. 40049).

1.6. In applicazione di detti principi, deve escludersi che l’assoluzione del magistrato perchè, ai sensi del citato D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis “l’illecito disciplinare non è configurabile” in quanto “il fatto è di scarsa rilevanza” sia totalmente liberatoria, cioè inidonea ad arrecare un qualsiasi pregiudizio, attuale o potenziale, al magistrato assolto. Basta osservare che, secondo la consolidata giurisprudenza di queste sezioni unite, l’applicazione dell’istituto in esame presuppone, quanto meno, indefettibilmente – in sostanziale analogia alla formula penalistica “perchè il fatto non costituisce reato” – l’accertamento che la fattispecie tipica dell’illecito, cioè la materialità del fatto storico tipizzato, si sia realizzata e sia riferibile all’incolpato (cfr., tra altre, sentenze 24/6/2010, n. 15314; 5/7/2011, n. 14665; 29/3/2013, n. 7934; 13/7/2017, n. 17327).

E ciò, allora, è sufficiente a rivelare l’insostenibilità della tesi secondo cui una siffatta pronuncia assolutoria è in radice incapace di recare un pregiudizio nella sfera giuridica o morale del magistrato: la prova la si rinviene proprio nel caso di specie, in cui la Sezione disciplinare, sulla base dei fatti accertati, ha disposto la trasmissione degli atti alla prima ed alla quinta commissione del Consiglio superiore per le valutazioni di rispettiva competenza.

In conclusione, deve ritenersi, in virtù della nozione di interesse ad impugnare sopra delineata ed applicabile anche nella materia in esame, che l’assoluzione con la formula di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis non è tale da escludere qualsiasi effetto svantaggioso per il magistrato assolto ed è, pertanto, idonea a radicare il suo interesse ad impugnare la sentenza al fine di ottenere una pronuncia, totalmente liberatoria, di esclusione dell’addebito (per insussistenza del fatto o perchè il fatto non è a lui attribuibile).

2.1. Con l’unico motivo formulato, la ricorrente denuncia “erronea applicazione del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. n), R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 7 bis, commi 1 e 2, (aggiunto dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, art. 3), artt. 586, 608 e 615 c.p.c., ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), nonchè contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e)”.

Lamenta, in sintesi, che, in base ai criteri tabellari vigenti all’epoca dei fatti (dicembre 2012) presso il Tribunale di Catania, l’incolpata aveva la competenza a conoscere le opposizioni all’esecuzione per rilascio di un immobile oggetto di decreto di trasferimento, poichè dette opposizioni – che costituiscono procedimenti distinti rispetto al processo di esecuzione immobiliare potevano essere assegnate anche al presidente della sesta sezione; con la conseguenza che l’illecito disciplinare è del tutto inesistente.

2.2. Il ricorso è fondato.

Risulta dagli atti del procedimento che, in risposta a nota del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il Consiglio superiore della magistratura, con nota n. prot. P 6787/2014 dell’11 aprile 2014 (richiamata nella sentenza impugnata e riprodotta in ricorso), ha trasmesso i criteri di assegnazione degli affari della sesta sezione civile del Tribunale di Catania vigenti alla data del 20 dicembre 2012.

In essi vengono distinte tre tipologie di procedimenti: i procedimenti esecutivi mobiliari, i procedimenti esecutivi immobiliari e le opposizioni di terzo, all’esecuzione e agli atti esecutivi: per quanto riguarda queste ultime è previsto che esse “sono trattate da giudici diversi da quelli competenti in ordine alla relativa esecuzione mobiliare o immobiliare e dal Presidente che tratta pure come relatore i reclami ex artt. 624 e 669 terdecies c.p.c., i reclami ex art. 630 c.p.c. ed i reclami L. n. 431 del 1998, ex art. 6”.

Ne deriva che, premesso che nella specie è incontestato che si era in presenza di una opposizione proposta dal terzo detentore del bene immobile espropriato, la motivazione della sentenza della Sezione disciplinare si rivela incongrua là dove ha applicato il criterio dell’assegnazione delle dette opposizioni a giudici diversi da quelli competenti in ordine alla relativa procedura esecutiva, senza tener conto della sfera di attribuzione del potere di trattazione prevista anche in capo al presidente della sezione.

3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Sezione disciplinare del C.S.M. in diversa composizione.

4. Il mutamento di indirizzo in tema di ammissibilità del ricorso induce a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in diversa composizione.

Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2017

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