Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29911 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 22/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9954/2018 R.G., proposto dal:

Comune di Sarno (SA), in persona del Sindaco pro tempore, autorizzato

ad instaurare il presente procedimento in virtù di determina resa

dal responsabile dell’Area Dirigenziale AA.GG. – Istituzionale –

Servizi alla persona – Settore 1 l’8 gennaio 2019 n. 4,

rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Cioffi, con studio in

Sarno (SA), elettivamente domiciliato presso l’Avv. Ruggero Musio e

l’Avv. Gianluca Pascale, con studio in Roma, giusta procura in calce

al ricorso introduttivo del presente procedimento;

– ricorrente –

contro

la “Doria S.p.A.”, con sede in Sarno (SA), in persona

dell’amministratore delegato pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Ettore De Rosa, con studio in Salerno, ove elettivamente

domiciliata (indirizzo p.e.c.: ettoreavv.derosa.pec.it), giusta

procura in calce al controricorso di costituzione nel presente

procedimento, domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione;

– controricorrente –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

della Campania – Sezione Staccata di Salerno il 12 novembre 2018 n.

9678/02/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

ottobre 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Comune di Sarno (SA) ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania – Sezione Staccata di Salerno il 12 novembre 2018 n. 9678/02/2018, non notificata, la quale, in controversia su impugnazione avverso avviso di pagamento per la TARI relativa all’anno 2016, ha rigettato l’appello proposto dal medesimo nei confronti della “Doria S.p.A.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno il 6 marzo 2017 n. 1758/14/2017, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello confermava la decisione di primo grado, sul rilievo che la sostanziale distinzione tra i locali adibiti ad ufficio (con una produzione di rifiuti ordinari) e le aree di produzione (con una produzione di rifiuti speciali) giustificasse, anche in considerazione della separata ubicazione dei rispettivi immobili, la eterogeneità della tassazione. La “Doria S.p.A.” si è costituita con controricorso. Entrambi hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del “Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale”, art. 72, comma 5, e art. 74, commi 1 e 2, nonchè del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 4, del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, art. 3, comma 1, art. 4, comma 3, e art. 6, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto che la superficie dell’immobile destinato ad uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi fosse, comunque, strumentale all’esercizio della “prevalente attività industriale”, con la conseguente applicazione della relativa tariffa per l’intera superficie del complesso produttivo.

2. Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto del “Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale”, art. 72, comma 5, e art. 74, commi 1 e 2, applicando per errore la tariffa prevista per gli studi professionali, anzichè quella prevista per l’attività industriale, alla superficie dell’immobile destinato ad uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi.

RITENUTO CHE:

1. Il primo motivo è fondato, derivandone l’assorbimento del secondo motivo.

1.1 II Comune di Sarno (SA) ha invocato a sostegno della pretesa tributaria nei confronti della “Doria S.p.A.” il “Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale”, che è stato approvato con deliberazione adottata dal Consiglio Comunale il 9 settembre 2014 n. 24.

1.2 II predetto regolamento è stato adottato in base al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52), il quale (comma 1) ha specificamente attribuito ai Comuni ed alle Province la potestà di “disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti”.

1.3 A tale proposito, la L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 682, ha altresì disposto che: “Con regolamento da adottare ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, il Comune determina la disciplina per l’applicazione della IUC, concernente tra l’altro: a) per quanto riguarda la TARI: 1) i criteri di determinazione delle tariffe; 2) la classificazione delle categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti; 3) la disciplina delle riduzioni tariffarie; 4) la disciplina delle eventuali riduzioni ed esenzioni, che tengano conto altresì della capacità contributiva della famiglia, anche attraverso l’applicazione dell’ISEE; 5) l’individuazione di categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta; ”

1.4 Facendo applicazione di tali principi, il “Regolamento per la Disciplina dell’Imposta Unica Comunale”, art. 72, comma 5, e art. 74, commi 1 e 2, hanno stabilito, rispettivamente, che: “5. Le tariffe sono articolate per le utenze domestiche e per quelle non domestiche; queste ultime sono suddivise, a loro volta, in categorie di attività con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti. La classificazione delle categorie delle utenze domestiche e non domestiche è riportata nell’Allegato A al presente regolamento”; “1. Per le utenze non domestiche, in mancanza di sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente prodotti dalle singole utenze, i locali e le aree con diversa destinazione d’uso vengono accorpati in classi di attività omogenee con riferimento alla presuntiva quantità di rifiuti prodotti, per l’attribuzione rispettivamente della quota fissa e della quota variabile della tariffa, come riportato nell’allegato A del presente regolamento. 2. A tal fine, si fa riferimento al codice ATECO dell’attività, a quanto risultante dall’iscrizione alla CC.II.AA. o nell’atto di autorizzazione all’esercizio di attività o da pubblici registri o da quanto denunciato ai fini IVA. In ogni caso si considera prevalente l’attività effettivamente svolta”.

1.5 La tabella allegata sotto la lettera “A” al regolamento comunale individua, nell’elenco delle “utenze non domestiche”, la categoria delle “Attività industriali con capannoni di produzione” (codice ATECO: “121”), nel cui ambito l’ente impositore ha correttamente classificato l’impresa esercitata dalla contribuente. Peraltro, sul punto non vi è stata contestazione tra le parti nei giudizi di merito.

1.6 Il thema litigandum si è incentrato sulla individuazione della tariffa applicabile alla superficie (mq. 1.667) destinata nel più vasto ambito dello stabilimento industriale – ad “uffici, mensa, cucina, spogliatoi, laboratori ed altri servizi”, essendo pacifica l’esenzione della superficie (mq. 175.086) destinata alla lavorazione ed alla conservazione di frutta, alla produzione di succhi di frutta, legumi in scatola e pomodori pelati in scatola per la produzione di rifiuti speciali non assimilati ai rifiuti urbani e smaltiti a proprie spese con l’ausilio di aziende specializzate.

1.7 Prescindendo dall’ubicazione in fabbricati distinti e separati, con autonoma identificazione sul piano catastale, l’ente impositore ha valutato che le attività svolte nel fabbricato destinato ad uffici amministrativi fossero meramente strumentali ed accessorie all’attività svolta nel fabbricato destinato alla conservazione ed alla manipolazione dei prodotti ortofrutticoli, per cui la tassazione doveva applicarsi in base alla tariffa prevista per “attività industriali con capannoni di produzione” (codice 20), anzichè in base alla tariffa prevista per “uffici, agenzie, studi professionali”, in relazione alla vocazione principale e prevalente dello stabilimento industriale nella sua interezza.

Il che, del resto, trova conferma nella classificazione catastale dell’immobile in questione nella categoria “D7”, la quale comprende i “fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”, per tali intendendosi anche i fabbricati strumentali ove non sia allocata l’attività industriale.

1.8 Sotto tale aspetto, dunque, si può ritenere che il Comune di Sarno (SA) abbia esercitato la potestà regolamentare in assoluta conformità ai criteri ed alle prescrizioni della L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 682, dettando un’organica disciplina per l’applicazione della I.U.C., attraverso una articolata classificazione delle varie categorie di attività economiche con omogenea potenzialità di produzione di rifiuti ed una dettagliata specificazione dei corrispondenti criteri di determinazione delle tariffe.

In tale contesto, l’uniformazione della qualificazione ascrivibile alla superficie destinata alle attività accessorie e strumentali alla qualificazione della superficie destinata all’attività principale del medesimo complesso immobiliare è coerente con l’intento legislativo di diversificare il trattamento tributario soltanto in relazione alla eterogenea tipologia delle varie categorie di rifiuti.

1.9 Nè rileva in contrario il giudicato formatosi tra le parti con riguardo al medesimo tributo per gli anni dal 2008 al 2012, stante la sopravvenienza della disciplina introdotta dal regolamento comunale in esecuzione della L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 682.

Difatti, la c.d. “efficacia espansiva del giudicato esterno” – nella specie, implicitamente invocata dalla contribuente – in relazione ai successivi periodi di imposta trova un limite temporale insuperabile nel sopravvenuto mutamento del presupposto normativo.

In generale, l’efficacia preclusiva di nuovi accertamenti, propria del giudicato esterno tra le stesse parti, presuppone che si tratti dei medesimi accertamenti di fatto posti in essere nello stesso quadro normativo di riferimento (in termini: Cass., Sez. 5, 9 ottobre 2015, n. 20257).

Per cui, l’ulteriore estensione del giudicato – per il tempo successivo alla sua formazione – è interrotta dalla sopravvenuta vigenza di una nuova disciplina, che regolamenti ex novo il trattamento tributario della permanente e durevole situazione di fatto.

1.10 La Commissione Tributaria Regionale ha fatto malgoverno del principio enunciato, non avendo tenuto conto che la disciplina innovativa del regolamento comunale – in conformità alle direttive legislative – non consentiva di apprezzare l’autonoma destinazione dell’immobile adibito ad uffici amministrativi ai fini dell’applicazione della TARI.

2. Pertanto, valutandosi la fondatezza del primo motivo e l’assorbimento del secondo motivo, il ricorso può trovare accoglimento e l’impugnata decisione deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario della contribuente.

3. L’andamento della causa nelle fasi di merito ed il consolidamento in corso di causa dell’orientamento giurisprudenziale sulla questione controversa giustificano la compensazione delle spese dei giudizi di merito. Viceversa, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente impositore, liquidandole nella somma complessiva di Euro 2.900,00 per compensi, oltre a spese forfettarie ed altri accessori.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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