Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29911 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. I, 20/11/2018, (ud. 18/04/2018, dep. 20/11/2018), n.29911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7061/2014 proposto da:

C.M., quale titolare dell’omonima impresa, elettivamente

domiciliato in Roma, via Terenzio n. 7, presso lo studio dell’Avv.

Orazio Abbamonte che lo rappresenta e difende giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via Silvio Pellico n. 16, presso

lo studio dell’Avv. Franco Garcea, rappresentato e difeso dall’Avv.

Carmine Mangone giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 221/2013 della CORTE DI APPELLO DI POTENZA,

depositata il 26 giugno 2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 aprile 2018 dal Cons. ROBERTO MUCCI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

1. il Tribunale di Potenza accoglieva la domanda subordinata ex art. 2041 c.c., avanzata nei confronti del Comune di (OMISSIS) da C.M., titolare di un’impresa di costruzioni cui erano stati commissionati dal Comune lavori di somma urgenza di sistemazione di una frana autorizzati dal tecnico comunale Cr.Mi. e dall’assessore M.G., la cui chiamata in garanzia nel giudizio era stata chiesta ed ottenuta dal Comune;

2. interposto gravame dal Comune di (OMISSIS), nonchè in via incidentale dal C. per la condanna del Comune anche ex art. 1224 c.c., e costituitisi i chiamati in primo grado, la Corte di appello di Potenza, per quel che qui ancora rileva, dichiarava improponibile la domanda d’ingiustificato arricchimento alla luce del disposto del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, conv. con modif. dalla L. 24 aprile 1989, n. 144, non avendo il C. formulato alcuna domanda nei confronti del Cr. e del M. che, nelle rispettive qualità, avevano concorso ad autorizzare l’esecuzione dei lavori;

3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.M. affidato ad un unico motivo, cui replica il Comune di (OMISSIS) con controricorso; il Comune ha depositato memoria.

Ritenuto che:

4. con l’unico motivo di ricorso si deduce, in relazione agli artt. 3,24,41,42 e 97 Cost., l’illegittimità costituzionale della D.L. n. 66 del 1989, art. 23, commi 3 e 4, conv. con modif. dalla L. n. 144 del 1989, come riprodotto nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 191, commi 3 e 4, con riferimento alle spese disposte in situazioni di somma urgenza: con varie argomentazioni parte ricorrente sostiene, tra l’altro, che svincolare per legge l’amministrazione dal rapporto obbligatorio “significa rendere responsabile della spesa unicamente la persona fisica di chi l’ha ordinata. Questo equivale sottrarre alla garanzia patrimoniale del creditore il soggetto maggiormente solvente – per l’oggettiva maggior consistenza della risorse che, secondo l’id quod plerumque accidit, sono di titolarità dell’ente, rispetto a quelle di uno stipendiato – e dunque ridurre le possibilità di realizzo che normalmente l’ordinamento assegna al creditore (art. 2740 c.c.). Ciò è tanto più grave, in quanto la prestazione, se ricorrono le condizioni dell’art. 2041 c.c., è resa oggettivamente nell’interesse dell’Amministrazione, che però se ne avvantaggerebbe a danno del fornitore, perchè questi non potrebbe agire più nei suoi confronti bensì unicamente nei confronti del dipendente, con probabilistica incapienza e comunque con un ingiustificato, rilevante aggravamento nel realizzo” (p. 6 del ricorso); secondo il ricorrente, le disposizioni in questione parificherebbero irragionevolmente situazioni diverse sul piano della meritevolezza quali, da un lato, quella del “fornitore che, senza alcuna giustificazione, offre la propria prestazione in violazione delle norme che disciplinano il procedimento di spesa” e, dall’altro, quella del “fornitore che – in ragione dello stato di necessità, fonte di legittimazione prevista e tipizzata dalla legge – si rende disponibile a prestazioni, peraltro da realizzarsi normalmente in condizioni non particolarmente favorevoli”, laddove invece, in ragione della disponibilità manifestata alla P.A., il comportamento del fornitore “solidale” (tale l’espressione usata in ricorso) “andrebbe non solo riconosciuto ma addirittura incentivato”, sicchè tanto l’appaltatore che ha operato secondo la normativa ordinario quanto quello che ha operato secondo la normativa emergenziale avrebbero “pari legittimità” (pp. 6-7); sempre secondo il ricorrente, la disciplina censurata avrebbe inoltre un effetto disincentivante degli interventi di somma urgenza (ciò che inciderebbe anche sui principi di buona amministrazione) introducendo, in sostanza, un’esenzione di responsabilità per le obbligazioni assunte dall’ente, laddove più opportuna soluzione normativa sarebbe quella di prevedere la responsabilità del funzionario direttamente nei confronti dell’amministrazione (pp. 8-9);

5. la doglianza, veicolata con la proposizione di una questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata, non ha pregio;

5.1. è consolidato l’indirizzo di legittimità – che in questa sede non può non essere senz’altro confermato – secondo il quale “Il funzionario pubblico che abbia attivato un impegno di spesa per l’ente locale senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso (ossia al di fuori dello schema procedimentale previsto dalle norme cd. di evidenza pubblica), risponde, ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4, conv., con modif., dalla L. n. 144 del 1989, degli effetti di tale attività di spesa verso il terzo contraente, il quale è, pertanto, tenuto ad agire direttamente e personalmente nei suoi confronti e non già in danno dell’ente, essendo preclusa anche l’azione di ingiustificato arricchimento per carenza del necessario requisito della sussidiarietà, che è esclusa quando esista altra azione esperibile non solo contro l’arricchito, ma anche verso persona diversa. Nè può ipotizzarsi una responsabilità dell’ente ex art. 28 Cost., in quanto tale norma presuppone che l’attività del funzionario sia riferibile all’ente medesimo, mentre la violazione delle regole contabili determina una frattura del rapporto di immedesimazione organica con la pubblica amministrazione” (per tutte, Sez. 1, 4 gennaio 2017, n. 80);

5.2. le ragioni fondanti l’indirizzo summenzionato e, ancor prima, le disposizioni di legge oggetto della censura in esame sono di tutta evidenza: l’assunzione di impegni di spesa da parte degli enti locali postula l’inderogabilità delle modalità procedimentali imposte dal D.L. n. 66 del 1989, art. 23, (norma del resto inserita nel titolo IV dedicato al risanamento finanziario delle gestioni locali), desumibile sia dalla ratio (intesa alla consapevole assunzione da parte degli enti locali degli impegni di spesa), sia dalla rilevanza di ordine pubblico della norma (diretta a garantire la correttezza nella gestione amministrativa, il contenimento della spesa pubblica e l’equilibrio economico- finanziario degli enti locali), con la logica conseguenza che, in mancanza, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’ente, ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno; tale inderogabilità non conosce eccezioni (come chiarito da Sez. U, 18 dicembre 2014, n. 26657 in fattispecie di spesa interamente finanziata da altro ente pubblico), nè il procedimento di riconoscimento di un debito fuori bilancio, D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, ex art. 5, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 267 del 2000, n. 267, art. 194, comma 1, lett. e), può valere ad introdurre una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ad substantiam – ovvero a derogare al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui al D.L. n. 66 del 1989, citato art. 23, (in tal senso Sez. 1, 27 gennaio 2015, n. 1510);

5.3. a fronte di ciò, le argomentazioni, sopra riassunte, svolte da parte ricorrente a supporto della pretesa illegittimità costituzionale della norma obliterano del tutto sia la dimensione pubblicistica degli interessi dalla stessa presidiati, sia i principi in tema di corretta riferibilità dell’attività degli agenti amministrativi all’ente pubblico secondo lo schema dell’immedesimazione organica; per altro verso, parte ricorrente offre una ricostruzione affatto monca della fattispecie normativa trascurando tanto la prevista regolarizzazione dell’ordine dei lavori di somma urgenza a posteriori entro il termine stabilito (che costituisce per la P.A. un preciso obbligo, la cui eventuale violazione può essere fatta valere anche dal terzo contraente in via di responsabilità precontrattuale: Corte cost., ord. 6 febbraio 2001, n. 26) quanto il dato dell’effettività della tutela comunque riconosciuta nella cornice del bilanciamento degli interessi in gioco – al privato contraente, pervenendo infine ad attingere inammissibilmente il merito delle scelte legislative;

5.4. non può poi mancarsi di rilevare, da ultimo, che la Corte costituzionale ha in più occasioni (sent. 24 ottobre 1995, n. 446; sent. 30 luglio 1997, n. 295; ord. n. 26/2001 cit.) dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 cit. proposta dal ricorrente proprio con riferimento al profilo della disparità di trattamento nell’esecuzione dei lavori di somma urgenza, significativamente osservando, tra l’altro, che “il terzo contraente, nell’accettare di eseguire lavori di somma urgenza, non può ignorare che, ove successivamente non intervenga l’autorizzazione da parte dell’ente, il rapporto contrattuale deve intendersi intercorso direttamente con il funzionario (o l’amministratore) ed assume, quindi, volontariamente il rischio conseguente alla definitiva individuazione della parte contraente (e patrimonialmente responsabile)” (cfr. Corte cost., nn. 295/1997 e 446/1995).

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente regolamento delle spese, liquidate in dispositivo, secondo soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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