Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2991 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/02/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 07/02/2011), n.2991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI

PARIOLI 44, presso lo studio dell’avvocato SICILIANO ROSARIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BILOTTA MARIA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1691/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/10/2007 R.G.N. 669/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega GRANOZZI GAETANO;

udito l’Avvocato RIEZIO CLAUDIO per delega SICILIANO ROSARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Cosenza del 7/20.11.2004, era stata accolta la domanda proposta da C.G. e dichiarata l’inefficacia del licenziamento intimato al medesimo in data 8.3.2002, in esito alla procedura di mobilita’ di cui agli accordi sindacali sottoscritti in data 17 – 18 e 23 ottobre 2001, a definizione della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24 con condanna della societa’ Poste Italiane al risarcimento del danno in misura corrispondente a 50% della retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento alla reintegra.

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza resa il 5.10.2007, rigettava l’appello principale della societa’; accoglieva l’appello incidentale del lavoratore e, in riforma dell’impugnata decisione, condannava la societa’ appellata a corrispondere al C., a titolo di risarcimento danni, un’indennita’ pari alla retribuzione globale di fatto per tutte le mensilita’ dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegra.

Osservava, in sintesi, la corte territoriale che, se pure il C. non si era lamentato, nel ricorso introduttivo, dell’irrogazione del licenziamento oltre i 120 giorni dalla conclusione degli accordi sindacali, nulla la controparte aveva dedotto in merito a quanto poi osservato solo nelle note depositate il 14.10.2003, mancando di eccepire la non accettazione del contraddittorio sulla specifica questione nella prima udienza successiva.

Quanto all’eccezione di intempestivita’ del recesso, da irrogare nei 120 giorni successivi alla conclusione della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 6, 7 e 8 (contestualmente alle ulteriori comunicazioni alle organizzazioni sindacali ed agli uffici del lavoro, anche con riferimento al personale cessato dal sevizio il 31.3.2002, la 7 comunicazione del 8.3.2002 si rivelava tardiva e, dunque, il licenziamento era da ritenersi inefficace. Asseriva, poi, la corte territoriale, che non poteva neanche ritenersi che l’accordo sindacale avesse consentito la dilatazione di tale termine di legge e che, in ogni caso, le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 9 ai soggetti ivi indicati non erano pervenute a tutte le parti (Ufficio Regionale del lavoro e Commissione Regionale per l’Impiego).

Ulteriore argomento assorbente era costituito dalla omessa indicazione, nell’elenco da trasmettere L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9 della puntuale indicazione delle modalita’ con le quali erano stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1.

Anche a cio’, dunque, conseguiva l’inefficacia del recesso. Non poteva, poi, procedersi alla richiesta compensazione tra quanto eventualmente corrisposto a titolo risarcitorio e quanto percepito a titolo di trattamento pensionistico. Doveva, invece, accogliersi il gravame incidentale relativo al quantum del risarcimento.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la societa’, notificato il 6.10.2008 ed affidato sei motivi di impugnazione.

Resiste, con controricorso, il C.. La societa’ ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la societa’ ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c.; la violazione dell’art. 414 c.p.c.; la violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c..

Assume che il ricorrente deve specificare a pena di inammissibilita’ nell’atto introduttivo gli elementi di fatto e diritto in base ai quali propone la domanda e che risulta affetta da ultrapetizione la sentenza che abbia ritenuto legittimo porre a fondamento della decisione fatti giuridici diversi da quelli inizialmente dedotti ed oggetto di contestazione. Pone al riguardo quesito di diritto.

Con il secondo motivo la societa’ lamenta la violazione degli artt. 134, 421 e 437 c.p.c.; la violazione dell’art. 111 Cost.; la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., nonche’ la violazione L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9. Si assume che il sistema di preclusioni previsto dall’art. 416 c.p.c. trova un contemperamento ispirato alla esigenza della ricerca della verita’ materiale; che il giudice avrebbe potuto d’ufficio ammettere nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 437 c.p.c., comma 2, e che, pertanto, il Collegio, nell’ambito di tali poteri, avrebbe potuto e dovuto richiedere d’ufficio le necessarie informative presso tutti i destinataci delle comunicazioni al fine di appurarne la ricezione.

Viene formulato al riguardo quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Con il terzo motivo si denunzia l’insufficiente ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

La nota del 25.2.2002 recava nell’intestazione tutti i destinatari previsti dalla legge ed anche la successiva nota dell’8.4.2002 faceva riferimento all’invio ai medesimi soggetti della nota precedente, mai contestata dalla controparte; si afferma, cosi’ come nel precedente motivo, che il giudice avrebbe dovuto avvalersi dei poteri integrativi di cui all’art. 437 c.p.c..

Il quarto motivo di impugnazione attiene alla violazione degli artt. 112, 434, 346 e 436 c.p.c.. Ritiene la ricorrente che la sentenza e’ viziata da extrapetizione, avendo il primo giudice accolto la domanda sotto due profili (superamento dei 120 giorni e mancata trasmissione dell’elenco contenente il nominativo del ricorrente) ritenendo implicitamente infondati i restanti profili di censura, rispetto ai quali le Poste avrebbero dovuto proporre appello incidentale o riproporre espressamente la questione, chiedendo la riforma della sentenza in parte qua. Anche in calce al suddetto motivo viene formulato corrispondente quesito di diritto.

Subordinatamente, circa la comunicazione conclusiva L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9 viene denunziata, con il quinto motivo, l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si assume che le comunicazioni avevano specificato le modalita’ dei recessi (attraverso il richiamo alle pattuizioni contenute negli accordi 17 e 23 ottobre 2001 e con espresso riferimento alla collocazione temporale degli esodi in relazione alle intervenute risoluzioni consensuali, con precisazione del nominativo, della residenza, della qualifica, del livello di inquadramento dell’eta’ e del carico di famiglia) e che le parti avevano concordato un criterio di selezione unico (eta’ pensionabile) ed obiettivo, facilmente verificabile dalle 00.SS. e dai lavoratori, per cui nessun’altra precisazione si rendeva necessaria.

La comunicazione doveva ritenersi pienamente esaustiva, tenuto conto anche del fatto che era stato previsto che i lavoratori esodati sarebbero stati sostituiti, ove per caso non soggettivamente eccedentari, a seguito di mobilita’ nazionale e locale. Viene formulato quesito di diritto.

Infine, con il sesto motivo, si denunzia la avvenuta violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si assume che la sentenza non aveva pronunziato, benche’ richiesto in primo grado, sulla compensazione tra risarcimento del danno ex art. 18 st. lav. con TFR ed indennita’ di preavviso, istituti di natura retributiva collegati alla cessazione del rapporto. Si formula, all’esito dell’esposizione, quesito di diritto.

Rileva la Corte che ragioni di priorita’ logico giuridica impongono la disamina del secondo motivo di impugnativa riferito al sistema delle preclusioni nel rito del lavoro ed alla necessita’, con riferimento al caso considerato, di superare il rigido sistema delineato dalle norme processuali, attraverso la possibilita’, prevista dall’art. 437 c.p.c., comma 2, di ammettere di ufficio nuovi mezzi di prova qualora ritenuti dal giudice indispensabili per la decisione della causa.

Nel rito del lavoro, il convenuto ha l’obbligo, sancito a pena di decadenza dall’art. 416 c.p.c., comma 3, di indicare specificamente, nella comparsa di costituzione, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e, in particolare, i documenti che deve contestualmente depositare, dovendo ritenersi possibile una successiva produzione, anche in appello, solo se sia giustificata dal tempo della formazione dell’atto, ovvero dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (Cass. sez. lav. 23.3.2009 n. 6969, conf. a Cass. 13.7.2009 n. 16337).

L’esercizio del potere istruttorio di ufficio, contemplato dall’art. 437 c.p.c., comma 2, presuppone la ricorrenza di alcune circostanze, quali l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunita’ di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilita’ dell’iniziativa officiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale dei fatti costitutivi, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. 17572/2004, s. u. 11353/2004).

Ed invero, nel rito del lavoro, i poteri istruttori officiosi di cui all’art. 421 cod. proc. civ. – il cui esercizio e’ del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimita’ – non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, cosi da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. sez. lav. 22.7.2009 n. 17102).

Ne’ il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti, nel rito del lavoro, dall’art. 421 cod. proc. civ.), anche in difetto di espressa motivazione sul punto, e’ sindacabile in sede di legittimita’ se non si traduce in un vizio di illogicita’ della sentenza. E’ stato, invero, al riguardo osservato che “la deducibilita’ della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio motivazionale e non come error in procedendo, impedendo al giudice di legittimita’ l’esame diretto degli atti, impone alla parte che muova alla sentenza impugnata siffatta censura di riportare testualmente, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi (emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in considerazione dal giudice di merito) dai quali era desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie per l’esercizio degli invocati poteri. In particolare, il ricorrente deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerga l’esistenza di una “pista probatoria”, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisivita’ (rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attivita’ di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito), e deve altresi’ allegare di avere nel giudizio di merito espressamente e specificamente richiesto l’intervento officioso, posto che, onde non sovrapporre la volonta’ del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della terzieta’, e’ necessario che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riguardo alla richiesta di una integrazione probatoria qualificata” (in tali termini, Cass. 16.5.2002 n. 7119;

conf. 5662/2006; 16507/2008).

L’infondatezza del secondo motivo di impugnazione e la conferma della pronunzia con riguardo alla rilevata carenza probatoria in ordine alla ricezione delle comunicazioni di legge ai competenti uffici, che determina l’inefficacia del licenziamento, induce a ritenere assorbiti i rilievi formulati sub 1) e 4), rispettivamente riguardanti la ritenuta estensione del contraddittorio rispetto a fatti inammissibilmente ed irritualmente dedotti solo nelle note depositate in udienza e la necessita’ di appello incidentale delle Poste per falere i punti di censura implicitamente ritenuti infondati dal primo giudice, che aveva accolto la domanda in relazione a profili diversi da quelli dedotti dal ricorrente.

Analogamente assorbito deve ritenersi il quinto motivo di impugnazione, riferito alla esaustivita’ della comunicazione conclusiva della procedura con riguardo al contenuto della comunicazione e dell’elenco da trasmettere ex art. 4, comma 9, privo della puntuale indicazione delle modalita’ con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1. Ed invero, risulta ostativo a tale esame la conferma della decisione in ordine all’inefficacia del licenziamento per l’omessa ricezione delle comunicazioni di legge ai competenti uffici del lavoro.

Per completezza, deve, tuttavia, osservarsi al riguardo che questa Corte ha affermato il principio in base al quale con riferimento ai licenziamenti collettivi, il criterio del prepensionamento applicato in osservanza degli accordi sindacali e congiuntamente con il criterio produttivo risponde a indubbi criteri di razionalita’, tenuto conto delle finalita’ perseguite mediante l’attuazione del procedimento regolato dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 ferma restando l’osservanza del principio di non discriminazione (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento di una lavoratrice inserito nell’ambito di una procedura collettiva ai sensi della citata L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, fondata sulla supposta mancata puntuale applicazione dei criteri di scelta e sulla prospettata illegittimita’ del ricorso al criterio di raggiungimento dell’eta’ pensionabile, essendo stata, invece, rilevata l’assenza di qualsiasi elemento suscettibile di far paventare l’esistenza di un intento discriminatorio da parte della societa’ datrice di lavoro ed essendosi considerata l’innegabile equita’ di un sistema di riduzione del personale incentrato sull’esigenza di una piu’ efficiente riorganizzazione dell’impresa non disgiunta da quella di addossare la ricaduta degli effetti negativi della riduzione stessa sui soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacita’ economica di ammortizzare meglio detti effetti – in tali termini Cass. sez. lav.

21.9.2986 n. 20455).

Infondata deve ritenersi la censura proposta con il terzo motivo di impugnazione, che si fonda sulle medesime argomentazioni svolte in relazione a motivo sub 2), ossia sulla necessita’ di esercizio dei poteri integrativi officiosi del giudice in relazione al contenuto della nota dell’8.4.2002 che avrebbe fatto riferimento all’invio della stessa ai medesimi soggetti della nota precedente del 25.2.2002 mai contestata da controparte.

Il ricorso va, invece, accolto in relazione all’ultimo motivo di impugnazione, laddove viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento alla omessa pronunzia sulla richiesta e compensazione tra risarcimento del danno ex art. 18 Statuto dei Lavoratori con il TFR ed indennita’ di preavviso, istituti entrambi di natura retributiva collegati alla cessazione del rapporto.

L’omessa pronuncia avverso una specifica domanda prospettata dalla parte integra una violazione de principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. E nella specie, rispetto a una specifica censura rivolta da Poste Italiane alla sentenza di primo grado, deve effettivamente rilevarsi che, a fronte di una eccepita compensazione tra quanto eventualmente corrisposto a titolo risarcitorio e quanto percepito dai lavoratore a titolo di trattamento pensionistico, trattamento di fine rapporto ed indennita’ sostitutiva del preavviso, il giudice del gravame si e’ limitato a motivare esclusivamente in merito al rigetto della compensazione tra quanto eventualmente corrisposto a titolo risarcitorio e quanto percepito a titolo di trattamento pensionistico. La causa deve essere rimessa al giudice del rinvio per l’esame della questione cui si riferisce il motivo accolto, dovendo accertarsi se la percezione dei trattamenti dedotti in compensazione, in presenza di contestazione della parte avversa, sia in concreto avvenuta, consentendo di procedere alla richiesta compensazione.

Al giudice di rinvio va rimessa la quantificazione delle spese di lite anche del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE cosi’ provvede:

accoglie il ricorso limitatamente al sesto motivo; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo “accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Messina.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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