Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29908 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 21/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25695/2013 R.G. proposto da:

D.M.P., rappresentato e difeso, per procura speciale in atti,

dall’Avv. prof. Vecchio Gianfrancesco, con domicilio eletto presso

lo studio dell’Avv. Riccioni Alessandro in Roma, viale Bruno Buozzi,

n. 49;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore Generale pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia – sezione staccata di Taranto, n. 156/28/2012, depositata l’1

ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre

2020 dal Consigliere Cataldi Michele.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle entrate ha notificato al Dott. D.M.P., medico specialista in ostetricia e ginecologia, dipendente dell’A.S.L: presso il presidio ospedaliero di Manduria (TA) ed autorizzato a svolgere attività professionale autonoma intramoenia, avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno d’imposta 2002, in materia di Irpef ed Irap, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 2, all’esito di indagini bancarie e del relativo contraddittorio antecedente l’emissione dell’atto impositivo, ha accertato, in maniera sintetica, il maggior reddito da lavoro autonomo ed il valore della produzione, rideterminando pertanto le conseguenti maggiori imposte, con interessi e sanzioni.

2. Avverso l’avviso d’accertamento il contribuente ha proposto ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Taranto, che lo ha accolto, annullando l’atto impositivo.

3. L’Ufficio ha appellato la sentenza di primo grado dinnanzi alla Commissione tributaria regionale della Puglia – sezione staccata di Taranto, che, con la sentenza n. 156/28/2012, depositata I’l ottobre 2012, lo ha accolto in parte, con il seguente dispositivo: “Accoglie l’appello per quanto di ragione e per l’effetto, in parziale riforma della impugnata sentenza, così provvede: la tassazione va effettuata per tutte le operazioni oggetto di prestito a S.F. con delle somme date in restituzione, nonchè di tutte le altre voci di versamenti e prelievi ad eccezioni di quelle documentate analiticamente indicate nel paragrafo 12.”, compensando le spese di lite.

4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandolo a sei motivi. L’Ufficio è rimasto i nti mato.9

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. L’ordine di trattazione dei motivi di ricorso non segue la numerazione prescelta dal ricorrente, ma l’ordine logico delle questioni oggetto delle censure, avendo riguardo alla potenziale capacità assorbente di alcune di queste.

2. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il contribuente lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, e art. 342 c.p.c., per avere la CTR erroneamente rigettato la sua eccezione di inammissibilità dell’appello erariale per difetto di specificità dei motivi in esso esposti.

Il motivo è infondato.

Infatti, l’atto d’appello, il cui contenuto è sintetizzato nella sentenza della CTR ed è stato anche riprodotto, in parte, nel ricorso per il quale si procede (che lo include tra i suoi allegati), e le argomentazioni spese dallo stesso giudice a quo (nel p. 5 della motivazione della sentenza d’appello) in ordine alla sua ammissibilità, appaiono in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, nel processo tributario:

la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., 15/01/2019, n. 707), – e, comunque, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (Cass., 20/12/2018, n. 32954).

Nella specie, non è quindi ipotizzabile l’inammissibilità dell’appello, per la genericità dei motivi dell’impugnazione, eccepita dal contribuente, così che il quinto motivo va rigettato.

3. Con il sesto motivo di ricorso, da intendersi proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta l’asserita illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nella parte in cui applica anche ai lavoratori autonomi, non imprenditori, la presunzione di maggior imponibile derivante dai prelevamenti risultanti dalle indagini finanziarie e non diversamente giustificati dal contribuente.

Il motivo, che il contribuente argomenta anche con riferimento ad alcune ordinanze di rimessione della questione di legittimità costituzionale già adottate da diversi giudici tributari di merito, è fondato, nei termini che seguono.

Infatti deve, al riguardo, darsi atto che la Corte costituzionale, con la sentenza del 6 ottobre 2014, n. 228, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), limitatamente alle parole “o compensi”.

All’esito di tale pronuncia del giudice delle leggi, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha ritenuto che “In tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti.” (Cass.16/11/2018, n. 29572. Nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 20/01/2017, n. 1519; Cass. 28/02/2017, n. 5152 e n. 5153; Cass. 09/08/2017, n. 19806; Cass. 09/08/2016, n. 16697 del 2016).

Tanto premesso in ordine all’interpretazione della portata della predetta sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, deve rilevarsi che la dichiarazione di illegittimità costituzionale, nei limiti appena indicati, della norma in questione ha efficacia “retroattiva”, nel senso che si configura come ius superveniens, che “impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta con l’ulteriore conseguenza che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo derivata dalla sentenza d’incostituzionalità (…) richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in sede di merito, al qual fine, ove il processo si trovi nella fase di cassazione, deve disporsi il rinvio della causa al giudice di appello.” (Cass. 19/04/1995, n. 4349; conformi Cass. 20/12/2019, n. 34209, relativa a fattispecie analoga a quella qui sub iudice; Cass. 21/06/2016, n. 12779; Cass. 09/08/2017, n. 19806, cit.), salvo il limite del giudicato, nella specie non sussistente, essendo tuttora controversa proprio l’efficacia istruttoria dei prelevamenti bancari rilevati nell’ambito delle indagini finanziarie di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2.

Quanto poi alla concreta rilevanza, nella fattispecie controversa, della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale – per effetto della quale il valore presuntivo, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dei prelevamenti è stato circoscritto nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa – deve rilevarsi che è pacifico (per averlo sostenuto la stessa sentenza impugnata) che il maggior imponibile accertato è stato attribuito al contribuente come “reddito di lavoro autonomo”.

Pertanto, alla fattispecie controversa deve essere applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, così come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014.

Sul punto, quindi, la causa va rimessa al giudice a quo perchè proceda a nuovo giudizio, riesaminando la fattispecie nella fase di merito, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale sopra richiamata e dei conseguenti principi di diritto elaborati da questa Corte.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente lamenta “violazione dell’art. 132 c.p.c., nn. 4 e 5) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36: nullità della sentenza motivata con rinvio per relationem a documentazione estranea al presente giudizio; carenza assoluta di motivazione; contrasto insanabile tra parte motiva e dispositivo”.

Assume infatti il ricorrente che il dispositivo, rinviando per relationem alla parte motiva della sentenza per l’individuazione delle operazioni bancarie che dovrebbero essere prese in considerazione ai fini della determinazione del reddito imponibile induttivamente accertato, non consentirebbe di comprendere univocamente quali siano i versamenti ed i prelevamenti che il giudice a quo ha ritenuto rilevanti.

Tale indeterminabilità del decisum, secondo il ricorrente, deriverebbe sia dall’improprietà della formula, equivoca, utilizzata nel dispositivo; sia dalla circostanza che la parte motiva, alla quale esso rinvia per relationem, a sua volta ulteriormente rinvia, per relationem, ad operazioni bancarie elencate con numerazione non riconducibile immediatamente ed univocamente a documentazione in atti.

Il motivo – per quanto qui ancora interessa, ovvero in ordine ai versamenti – è fondato, poichè effettivamente il dispositivo della sentenza impugnata, per quanto riguarda la circonlocuzione ” la tassazione va effettuata per tutte le operazioni oggetto di prestito a S.F. con delle somme date in restituzione, nonchè di tutte le altre voci di versamenti e prelievi ad eccezioni di quelle documentate analiticamente indicate nel paragrafo 12.”, non è idoneo ad individuare univocamente quali siano le poste che il giudice a quo ha considerato accertate quali componenti dell’imponibile da tassare.

Infatti, è equivoca la stessa formulazione del dispositivo, che tra “tassazione”, “esclusione” ed “eccezione”, non individua con la necessaria certezza poste ed importi accertati o meno. Nè, comunque, sovviene a tale carenza il rinvio alla motivazione, atteso che le “eccezioni. … documentate analiticamente indicate nel paragrafo 12” si riducono ad un elenco, distinto per istituti di credito, caratterizzato da “numeri progressivi”, senza individuazione specifica dei documenti, in ipotesi versati in atti durante l’istruttoria, dai quali tali dati sarebbero tratti (e senza che neppure sia riconducibile univocamente ai documenti riprodotti da parte del ricorrente, al fine di dimostrare l’indeterminatezza del dispositivo).

Tanto meno, poi, nel corpo dello stesso paragrafo della motivazione, i riferimenti ai “versamenti” (ovvero agli importi in entrata sui conti del contribuente, che ancora qui interessano) sono precisi ed univoci, in quanto:

– da un lato sono descritti come “somme versate in restituzione con assegni dello Scialpi o di suoi prestanomi”, adottando un criterio selettivo soggettivo non comprensibile, non essendo individuati neppure i “prestanomi”;

– d’altro lato sono descritti come “versamenti in favore dello Scialpi”, formula che attiene poste in uscita, non in entrata, rispetto alla disponibilità del ricorrente.

Pertanto, così come sostiene il ricorrente, il dispositivo della sentenza impugnata, anche all’esito di una lettura coordinata con la motivazione dello stesso provvedimento, non consente – in particolare, per quanto qui interessa, con riferimento ai versamenti- di individuare quali siano le poste che la CTR ha accertato debbano essere considerate componenti positive dell’imponibile di cui alla pretesa tributaria.

Anche per tale motivo, quindi, la sentenza va cassata, con rinvio al giudice a quo.

5. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso restano assorbiti dall’accoglimento del quarto e del sesto.

PQM

Accoglie il quarto ed il sesto motivo, rigetta il quinto e dichiara assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia – sezione staccata di Taranto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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