Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29906 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 20/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8235-2015 proposto da:

IMMOBILIARE APUS SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XXI

APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato MORRONE CORRADO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UFFICIO TRIBUTI COMUNE LATINA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato PONTECORVI PAOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DI LEGINIO FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6438/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 28/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dal Consigliere Dott. MARTORELLI RAFFAELE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio Tributi del Comune di Latina notificava, ai fini ICI, avviso di accertamento concernente alcuni terreni, per l’anno d’imposta 2005, nei confronti della Società Immobiliare “Apus Srl”, per l’importo complessivo di Euro 11.752,90, a titolo di differenza dell’imposta dovuta, di interessi e sanzioni. La società impugnava l’avviso innanzi alla CTP di Latina che accoglieva parzialmente il ricorso.

Secondo la CTP, la Società ricorrente aveva versato l’ICI, determinata sulla base dei criteri previsti per i terreni con destinazione agricola, mentre tale configurazione non era risultata adeguata, atteso che gli stessi beni figuravano, nel PRG, come terreni edificabili. Conseguentemente, il bene interessato doveva essere sottoposto alla disciplina prevista per i terreni edificabili, con obbligo di versamento della relativa ICI; tuttavia, il valore venale del bene, determinato dal Comune non era da ritenersi corretto.

Infatti, ai fini della stima, la CTP riteneva che non potesse essere applicata retroattivamente la relazione di stima del Collegio peritale del 2008, i cui parametri di valutazione erano stati retroattivamente applicati alle annualità dal 2004 al 2007, ed aveva, pertanto, deciso che il valore venale del terreno dovesse essere ridotto del 50%, rispetto a quanto proposto dal Comune, tenuto conto della stima del Collegio peritale.

Proponeva impugnazione il Comune di Latina e la Società immobiliare “Apus Srl”, costituitasi, proponeva appello incidentale.

La CTR di ROMA, sez. staccata di LATINA, accoglieva l’appello principale e confermava la legittimità dell’accertamento tributario. Rilevavano i giudici della CTR che la controversia concerneva l’esame di un duplice ordine di questioni: da un lato, l’accertamento circa l’assoggettabilità o meno del terreno indicato in atti alla disciplina ICI prevista per terreni edificabili e, dall’altro, la conseguente determinazione del valore di mercato del terreno.

Sulla prima questione, il Comune sosteneva che, per la determinazione dell’ICI, occorresse fare riferimento alla collocazione dell’immobile nel PRG; mentre per la Società, occorreva tener conto della reale destinazione dell’area su cui il bene insisteva. In particolare il Comune faceva presente che, nel PRG, il bene era collocato in un’area qualificata come edificabile, seppure con limitazioni, perchè definita corna “zona bianca”, anche se era emerso, nel corso del giudizio, che tale zona era collocata in un contesto fortemente urbanizzato. La Società dal canto suo, ribadiva che tale impostazione risultava contradetta dal fatto che l’Amministrazione comunale, in relazione ad espressa richiesta di permesso di costruire, sui terreni interessati, un fabbricato per civile abitazione, in data 28 novembre 1995, avesse sostanzialmente negato tale possibilità. Il Comune replicava osservando che pur se, per le particelle 18 e limitrofe era stata negata l’edificabilità, ciò non poteva portare automaticamente a classificare la predetta come zona agricola. Infatti, anche dopo il provvedimento di diniego, “le aree in questione dovevano essere definite come zone bianche, ovvero come terreni comunque provvisti di un certo indice di edificabilità, seppur ridotto”.

La CTR adita riteneva fondata la tesi del Comune, già riconosciuta in primo grado. Infatti, secondo i giudici del gravame, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 293 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito nella L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito nella L. n. 248 del 2005, era stato stabilito che l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale (quindi anche ai fini ICI), dovesse essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione degli strumenti urbanistici attuativi. Ciò in quanto l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica era sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile.

Sul punto richiamava la costante giurisprudenza della Suprema Corte in materia, (Cass. SS.UU., 30 novembre 2006, n. 25506) precisando che la stessa era orientata verso una nozione di edificabilità ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria e che non avevano rilievo preclusivo all’applicazione del tributo eventuali vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionassero in concreto, l’edificabilità del suolo. La presenza dei suddetti vincoli non sottraeva le aree su cui insistevano al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incideva soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale e, conseguentemente, sulla base imponibile (Cass. Sez. T. 11 aprile 2008, n. 9510). Veniva pertanto rigettato l’appello incidentale.

Con riguardo alla determinazione del valore di mercato del terreno, la CTR, premesso che la pronuncia di primo grado aveva ritenuto che non potesse essere applicata retroattivamente la relazione di stima del Collegio peritale del 2008 (i cui parametri di valutazione erano stati retroattivamente applicati alle annualità dal 2004 al 2007) ed aveva ridotto il valore venale del terreno del 50%, rispetto a quanto proposto dal Comune, riteneva di non condividere tale conclusione.

Infatti, mentre la determinazione del valore compiuta dal Comune costituiva l’esito di un complesso procedimento nel quale erano affluiti numerosi e diversificati elementi di conoscenza e di giudizio provenienti da fonti qualificate (Collegio peritale della Provincia di Latina; Agenzia del Territorio-Osservatorio Valori Immobiliari; Servizio Patrimonio del Comune di Latina), secondo la CTR, la riduzione del 50% operata dai primi giudici non era supportata da alcun elemento estimativo, che potesse sostenere un giudizio di congruità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Proponeva ricorso innanzi a questa Corte la Società Immobiliare APUS srl. affidato a tre motivi. Il Comune di Latina si costituiva con controricorso Il ricorrente deduceva:

1) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti. Premesso che in ordine alla prima questione controversa (assoggettabilità o meno dei terreni ricadenti in c.d. zona bianca del P.G.R., all’ICI prevista per i terreni edificabili), la sentenza della CTR doveva ritenersi corretta, non si comprendeva come mai non avesse trovato conferma la sentenza di primo grado anche nella parte in cui la stessa aveva proceduto ad una ben motivata rideterminazione in concreto del valore venale dei terreni APUS. Non era stato, infatti, tenuto conto ai fini del calcolo del valore venale dei terreni APUS delle specifiche ed eccezionali condizioni di fatto del bene (ubicato in c.d. zona bianca del P.R.G.), nonchè delle assai ridotte probabilità per la stessa società di rendere attuali ed effettive le potenzialità edificatorie dell’area.

2) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 5.

Mentre la decisione di primo grado aveva motivatamente applicato al caso di specie le decisioni della consolidata giurisprudenza di legittimità, che imponeva di ridurre il valore edificatorio dei terreni a fini fiscali laddove l’edificabilità prevista dagli strumenti urbanistici fosse stata solo teorica, non ancora attuale e comunque di carattere non sostanziale, la sentenza d’appello aveva aderito supinamente ed acriticamente alle difese comunali, senza alcuna motivazione specifica atta a superare, a livello probatorio ed argomentativo, la motivazione della CTP.

3) In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 3 e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5.

Secondo la ricorrente, in palese violazione del principio di irretroattività, il valore venale del bene dei terreni APUS era stato stimato dall’Ufficio impositore nel 2009 e, poi, dallo stesso Ufficio illegittimamente retrodatato all’anno di imposta 2008, a titolo di differenza rispetto all’ICI già versata dal contribuente per tale annualità.

Il Comune di Latina si costituiva con controricorso rilevando, preliminarmente, come la società Apus, nè in primo nè in secondo grado, avesse fatto cenno al criterio della potenzialità edificatoria, mentre nel presente giudizio, la motivazione del ricorso configurava una posizione normativa nuova e totalmente diversa mai esplicitata in precedenza, in quanto non era stata negata (ma ammessa) la natura di terreni edificabili delle particelle in oggetto ed era stata avversata la quantificazione della base imponibile ICI, sostenendo una tesi del tutto nuova.

Ad avviso di questa Corte il primo motivo deve ritenersi inammissibile. Non si ravvisa, infatti, alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Sul punto questa Corte ha avuto modo in più occasioni di affermare che il controllo previsto dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c. non riguarda la mera insufficienza della motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. SSUU n. 8053/14; Cass. n. 21082/2017; Cass. sez. L. n. 24027/2016).

Come sopra evidenziato tale omesso esame, nel caso in oggetto, non vi è stato. La CTR ha preso motivatamente posizione in ordine alle valutazioni relative al valore venale del bene, evidenziando come la CTP non avesse adeguatamente supportato, con alcun elemento estimativo, la riduzione del valore al 50%. Peraltro, la valutazione del Comune di Latina risultava assunta all’esito di un complesso procedimento nel quale erano affluiti numerosi e diversificati elementi di conoscenza e di giudizio provenienti da fonti qualificate.

Il secondo motivo è inammissibile. Richiamati i concetti relativi alla nozione di edificabilità di un’area, da desumersi secondo l’insegnamento della giurisprudenza, nei termini più ampi, ispirati alla mera potenzialità edificatoria (Cass. n. 4952 del 2018), va rilevato che le determinazioni assunte dai giudici della CTP, relativamente al valore venale del bene, a cui l’odierna ricorrente si richiama, paiono assunte in maniera del tutto apodittica con una riduzione al 50% del valore indicato dal Comune, che, come sostenuto dalla CTR, si contrappone ad una valutazione corredata da numerosi e diversificati elementi di conoscenza e di giudizio provenienti da fonti qualificate. Non emerge, quindi nella valutazione di fatto compiuta dalla CTR alcun vizio connesso all’erronea interpretazione o applicazione di norme. Piuttosto la censura è volta al riesame della valutazione di merito compiuta dalla CTR, che non è consentito nel giudizio di legittimità.

Anche il terzo motivo è inammissibile. Nel caso in esame, non si rileva alcuna forma di irretroattività normativa, trattandosi di una valutazione compiuta in un determinato periodo ritenuta applicabile anche ad anni precedenti. Si tratta di un profilo meramente valutativo e non di applicazione irretroattiva di norme.

Sul punto questa Corte (CASS. n. 5068 /2015) ha ribadito l’orientamento espresso con Sentenza Sez. 5, n. 11171 del 07/05/2010 precisando: “In tema di imposta comunale sugli immobili, le norme del regolamento previsto dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, adottato a norma del precedente art. 52, con il quale i comuni possono, tra l’altro, “determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune” (lettera g) possono essere legittimamente utilizzate dal giudice, anche facendo riferimento al valore delle aree circostanti aventi analoghe caratteristiche, al fine di acquisire elementi di giudizio anche in relazione a periodi anteriori a quelli di emanazione del regolamento stesso, senza che ciò comporti alcuna applicazione retroattiva di norme, ma solo l’applicazione di un ragionamento presuntivo. Tali regolamenti non hanno infatti natura propriamente imperativa, ma svolgono funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, previsti dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 62-bis e 62-sexies, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti i reddito e di ricavi” previsti dal dl. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in L. 27 aprile 1989, n. 154, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni “hominis”, vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti.

Sempre sullo stesso tema: Sez. 5, Sentenza n. 15555 del 30/06/2010 in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI):” la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall’ufficio tecnico comunale sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dalla citata L. n. 446, art. 59, lett. g), e riassegnato alla giunta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente”.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.500,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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