Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29905 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. II, 20/11/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 20/11/2018), n.29905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7830/2014 proposto da:

L.R., (o R.), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RIMINI n.14/B, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CARUSO, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA n.73,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE SCALI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO BILLE’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.1134/2013 del TRIBUNALE DI MESSINA, nonchè

l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MESSINA depositata il

20/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 4.11.2008 il condominio dell'(OMISSIS) evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Messina L.R., proprietaria di un appartamento sito all’interno dello stabile in condominio, per sentirla condannare alla rimozione della chiusura in metallo e vetro realizzata sul balcone prospiciente la via pubblica, nonchè al risarcimento del danno derivante dalla lesione del decoro architettonico dell’edificio.

Si costituiva la convenuta allegando la natura precaria della chiusura del balcone e dichiarando di non opporsi alla sua eliminazione, a condizione che anche gli altri condomini avessero eliminato i diversi manufatti (caldaie, armadi e condizionatori) da loro installati sul prospetto condominiale o sui balconi, sul presupposto che anche detti manufatti fossero lesivi del decoro architettonico dell’edificio, spiegando domanda riconvenzionale sul punto.

All’esito di C.T.U. il Tribunale accoglieva la domanda principale, sul presupposto che la convenuta ne avesse riconosciuto la fondatezza, mentre respingeva la riconvenzionale per carenza di legittimazione passiva del condominio.

Interponeva appello la L. e la Corte di Appello di Messina, con l’ordinanza impugnata, riteneva inammissibile l’impugnazione ai sensi degli artt. 348 bis e ter c.p.c..

Contro la sentenza di primo grado e l’ordinanza di inammissibilità propone ricorso per cassazione L.R. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il condominio (OMISSIS).

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui esso si dirige non soltanto avverso la sentenza di primo grado, ma anche contro l’ordinanza di inammissibilità del gravame pronunciata dalla Corte di Appello di Messina.

In argomento, va ribadito il principio secondo cui “L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c., è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso” (Cass. Sez. U, Sentenza n.1914 del 02/02/2016, Rv.638368; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n.14312 del 05/06/2018, Rv.649145).

Nel caso di specie la ricorrente non deduce vizi autonomi, di carattere processuale, dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte messinese, in quanto il primo motivo – per quanto si dirà infra – ha ad oggetto l’inquadramento sotto il profilo sostanziale della domanda da lei svolta, mentre la seconda censura si appunta specificamente sulla sentenza di primo grado.

Ne deriva, come detto, l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui esso è rivolto contro l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., resa dalla Corte territoriale.

Passando all’esame del ricorso avverso la sentenza di prime cure, con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1130 e 1131 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dolendosi del rigetto della domanda riconvenzionale, sul presupposto che essa avrebbe dovuto essere diretta nei confronti dei singoli condomini autori delle violazioni del decoro della facciata, e non invece nei confronti del condominio. Ad avviso della ricorrente, poichè la facciata costituisce bene comune l’amministratore avrebbe dovuto attivarsi per tutelarne il decoro nei confronti di tutti i condomini, e quindi la domanda riconvenzionale sarebbe stata legittimamente proposta nei suoi riguardi, in quanto egli non avrebbe assolto agli obblighi posti a suo carico dalla legge.

La censura non è fondata. Le ipotetiche lesioni del decoro della facciata lamentate dalla ricorrente sono infatti state compiute da altri condomini e quindi la predetta avrebbe dovuto evocare direttamente in giudizio, come comproprietaria del bene comune pregiudicato, i singoli responsabili delle violazioni. L’amministratore, invece, non ha alcuna legittimazione passiva a rispondere degli effetti pregiudizievoli derivati all’edificio da interventi realizzati da singoli condomini.

Al massimo, il rappresentante dell’ente di gestione sarebbe stato passivamente legittimato in relazione all’azione volta all’accertamento dell’illiceità della sua inerzia nell’agire a tutela del decoro dell’edificio, ma la ricorrente non ha proposto simile domanda, avendo ella – piuttosto – invocato direttamente nei confronti dell’amministratore del condominio l’eliminazione dei manufatti ritenuti lesivi del decoro della facciata dell’edificio.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c., n. 4, e art. 163 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto il Tribunale avrebbe illegittimamente disatteso la domanda di accertamento delle violazioni del decoro del fabbricato commesse dagli altri condomini, proposta dalla ricorrente, ritenendola indeterminata. Ad avviso della ricorrente, la domanda era specifica, posto che erano stati indicati, per tipologia e numero, i manufatti asseritamente lesivi del decoro della facciata.

Il motivo è assorbito dal rigetto della prima censura.

Con il terzo motivo – che non risulta numerato espressamente ma tuttavia ha una sua propria autonomia – la ricorrente lamenta che per effetto delle violazioni denunciate con le prime due censure il primo giudice aveva respinto l’istanza di C.T.U. che la ricorrente aveva formulato anche per la verifica dell’effetto lesivo del decoro della facciata comune riconnesso ai manufatti oggetto della domanda riconvenzionale.

La censura – che sarebbe comunque assorbita dal rigetto del primo motivo – è da ritenere in ogni caso inammissibile in quanto la decisione sull’ammissione delle istanze istruttorie riguarda la valutazione del fatto, che appartiene al giudice di merito ed il cui riesame è precluso in questa sede. In argomento, va ribadito il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n.12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n.11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n.13485 del 13/06/2014, Rv.631330; Cass. Sez. L, Sentenza n.11933 del 07/08/2003, Rv. 565755; Cass. Sez. L, Sentenza n.322 del 13/01/2003, Rv. 559636).

In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del grado, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013 ed è rigettato, si ravvisano le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado, che liquida in Euro 3.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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