Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29904 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 11141 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del curatore

pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 22/27/13 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte depositata il 23.10.2013;

udita nella camera di consiglio del 14.10.2020 la relazione svolta

dal consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 22/27/13 la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino n. 110/3/10 che ha integralmente accolto il ricorso proposto dalla (OMISSIS) s.r.l. contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) ai fini IRES, IRAP ed IVA relativo all’anno di imposta 2005.

L’accoglimento del ricorso in primo grado, con conseguente annullamento della pretesa tributaria, ha riguardato gli acquisti fatturati da alcune ditte fornitrici che hanno avuto ad oggetto operazioni oggettivamente esistenti in quanto sono risultati gli ordini di acquisto controfirmati, la merce è stata sempre rivenduta a terzi ed è stata pagata, i trasportatori hanno fatturato ai committenti le prestazioni eseguite.

A seguito dell’appello presentato dall’Agenzia il ricorso avverso il verbale di accertamento è stato rigettato, ad eccezione della parte relativa alla deducibilità del costo di acquisti di rottami ed altri materiali per complessivi Euro 3.736.642,99 ai fini IRES ed IRAP.

Sul punto la sentenza ha richiamato arresti giurisprudenziali di legittimità secondo cui, in base alla nuova formulazione testuale della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, non è più possibile contestare al contribuente l’indeducibilità dei costi per il solo fatto che essi siano esposti in fatture per operazioni soggettivamente inesistenti ossia riferibili a soggetti diversi da quelli effettivi.

Nel caso di specie, sono state contabilizzate fatture emesse da società diverse da quelle che, in realtà, hanno venduto la merce che è inerente l’attività d’impresa ed il cui costo è risultato veritiero.

L’indeducibilità è stata sostenuta dall’Amministrazione sulla base del fatto che si è trattato di costi da reato.

Tuttavia, la modifica normativa intervenuta con il D.L. n. 16 del 2012 ha determinato che l’indeducibilità sia limitata ai costi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo; dunque ai soli costi direttamente utilizzati per il compimento di reati.

Non ricorrendo tale fattispecie nel caso in esame, la CTR ha riformato, sul punto, la decisione di primo grado.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate per due motivi.

Il Fallimento è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene eccepita la violazione falsa applicazione degli artt. 2729,2697 c.c., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, commi 1 e 5, e della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare, la ricorrente richiama il contenuto dell’art. 109 cit., secondo cui la deduzione dei costi presuppone che essi siano certi, inerenti all’attività di impresa, determinati o determinabili.

Laddove l’Amministrazione dimostri la non veridicità di quanto indicato nelle fatture, sorge l’onere a carico del contribuente di provare l’esistenza dei presupposti per la deducibilità.

A tale proposito la ricorrente riporta ampi stralci dell’avviso di accertamento con l’indicazione degli elementi di fatto idonei a smentire la veridicità di quanto riportato nelle fatture.

Nessuna dimostrazione è stata offerta in punto di certezza e determinabilità dei costi ovvero circa l’effettivo pagamento della merce e la natura veritiera dello stesso.

In merito alla violazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, l’Agenzia segnala come, anche nel caso di applicazione della nuova disposizione, permanga l’onere del contribuente di provare la sussistenza generale dei presupposti di deducibilità dei costi, cioè certezza, determinatezza o determinabilità, inerenza.

Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza sarebbe totalmente carente di motivazione in punto di effettività dei costi (pagamenti effettuati dalla società) non essendo sufficiente la mera affermazione secondo cui “il costo della merce è veritiero”; affermazione che non consente il controllo sull’iter logico motivazionale seguito dalla CTR.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.

Il nucleo della motivazione della CTR si rinviene nel seguente passaggio argomentativo: “La merce è stata sicuramente acquistata nel periodo di riferimento, la merce è inerente all’attività d’impresa (rottami metallici), il costo della merce è veritiero, ma la merce non è stata acquistata dai fornitori che aveva emesso le fatture: l’Ufficio, considerandoli costi da reato, procedeva a una rettifica di costi in quanto ritenuti indeducibili”.

In merito a tale tipologia di costi, tuttavia, a seguito delle modifiche introdotte alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, la CTR sostiene che, “non sono ammessi in deduzione i costi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, circoscrivendo così l’indeducibilità ai costi “direttamente” utilizzati per il compimento di reati”.

Nel caso di specie, poichè le fatture non sono relative ad acquisti “direttamente utilizzati per il compimento di illeciti” dovrebbe ritenersene ammessa la deducibilità.

La motivazione ora riportata non è coerente, tuttavia, con i canoni ermeneutici fatti propri dalla giurisprudenza di legittimità che esprime il principio di diritto secondo cui “In tema di IRPEG ed IRAP, ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, come modif. dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv., con modif., in L. n. 44 del 2012, con efficacia retroattiva “in bonam partem”, i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti – siano o meno inseriti in una cd. frode carosello – sono deducibili per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle relative operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, ovvero di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo”. (Cass. sez. 5, 12 dicembre 2019, n. 32587).

Nello stesso senso è stato, in precedenza, sostenuto che “in tema di imposte sui redditi, a norma della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, (convertito con la L. 26 aprile 2012, n. 44), l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l’ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità” (Cass. Sez. 5, 30 ottobre 2013, n. 24426).

Sulla necessità di accertare, pur sempre, il requisito dell’inerenza, va assegnata continuità a quanto statuito da Cass. sez. 6-5, 6 luglio 2018, n. 17788 e Cass. sez. 5, 17 dicembre 2014, n. 26461.

Peraltro, è altrettanto consolidato l’orientamento secondo cui “in tema di imposte sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, ora del medesimo D.P.R., art. 109, comma 5, riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. Peraltro, l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente”. (Cass. sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30366).

Dunque, non appare corretto il percorso motivazionale seguito dalla CTR che ha giustificato l’affermazione della deducibilità dei costi mediante la sola mancanza di dimostrazione della utilizzazione degli acquisti per il compimento di illeciti.

Circostanza che non è, da sola, sufficiente per affermare la deducibilità e che deve essere accompagnata, pur sempre dagli ulteriori requisiti richiesti per i quali l’onere della prova ricade pur sempre sul contribuente ed il conseguente accertamento sul giudice di merito, integrando l’omissione della relativa verifica una carenza motivazionale rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

La sentenza della CTR sembra ancorare la deducibilità dei costi alla modifica ad opera del D.L. n. 16 del 201, art. 14, comma 4 bis 2, e, dunque, ammetterla all’unica condizione che gli acquisti non siano stati utilizzati per commettere illeciti.

Si tratta di un passaggio argomentativo di tipo assertivo che pretende di individuare il requisito dell’inerenza dei costi esclusivamente dalla natura e dal tipo del bene acquistato, senza alcun riferimento all’attività imprenditoriale svolta dalla contribuente.

Nè, venendo così al secondo motivo di ricorso, è sufficiente l’argomentazione che riguarda la “veridicità” del costo della merce non potendo ancorarsi la deducibilità dei costi a tale dato, dovendo, piuttosto, essere effettuata la verifica sulla effettività dei pagamenti e degli esborsi della società acquirente/contribuente.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata con rinvio alla CTR del Piemonte in diversa composizione affinchè proceda al nuovo giudizio tenendo conto dei principi sin qui affermati, oltre che per la regolamentazione delle spese di lite anche relative al grado di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Piemonte in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente grado.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

 

 

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