Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29903 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 9048 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

SA.AL. s.a.s. di S.O. & C., in persona del legale

rappresentante e S.O., rappresentati e difesi, giusta

procura speciale a margine del controricorso dall’Avv. Tobia Renato

Binetti nel cui studio in Roma, Viale Regina Margherita, 294,

(studio Avv. Adrea Campi), sono elettivamente domiciliati;

– controricorrenti-

e:

L.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 64/08/13 della Commissione tributaria

regionale della Puglia depositata il 3.10.2013;

udita nella camera di consiglio del 14.10.2020 la relazione svolta

dal consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 64/08/13 la Commissione tributaria regionale della Puglia ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari che ha accolto i ricorsi (riuniti) presentati dalla società SA.AL. s.a.s. e dai soci S.O. e L.G. avverso avvisi di accertamento relativi all’anno di imposta 2005 riferiti a imposte IVA, IRAP (per la società) ed IRPEF (per i soci).

L’oggetto dell’accertamento ha avuto ad oggetto una presunta evasione iva posta in essere mediante collusione con la società Netcom s.r.l., importatrice di apparecchi radio-televisivi da operatori comunitari.

La verifica ha portato l’Amministrazione finanziaria al recupero a tassazione dell’IVA indetraibile del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, ed alla determinazione del maggior reddito derivante da costi non deducibili ex art. 109 TUIR.

Le sentenze di merito, con motivazione concorde, hanno ritenuto che, pur essendo emerso che la Netcom s.r.l. fosse una società “cartiera”, è risultato l’acquisto effettivo della merce ed il pagamento reale delle forniture con assegni bancari “non trasferibili”.

Con riferimento alla determinazione del reddito di impresa in presenza di operazioni ritenute inesistenti e, quindi, di deducibilità dei costi, l’effettività delle operazioni economiche, nel caso di specie, poste in essere, è stata giudicata idonea a configurare costi inerenti l’attività di impresa.

A fronte di tale dimostrazione, secondo la ricostruzione della CTR, l’Amministrazione non ha fornito la prova dell’esistenza di condotte fraudolente idonee a determinare l’illegittimità del reddito di impresa.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate per tre motivi.

La società ed il socio S.O. resistono con controricorso con il quale hanno eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso ex art. 360bis c.p.c..

L.G. è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso viene eccepita la nullità della sentenza di appello del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, comma 2, art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La ricorrente lamenta che la CTR ha fornito una motivazione solo apparente ed in violazione delle predette norme.

In particolare, con riguardo al motivo di impugnazione della sentenza di primo grado che è stato proposto davanti alla CTR e riferito all’indetraibilità dell’IVA, ne evidenzia l’omesso esame (testualmente riportato nel ricorso per cassazione da pag. 11 a pag. 19) volto a censurare la decisione per non avere ritenuta emersa la prova della collusione tra la società Netcom s.r.l. e la SA.AL. s.a.s..

In merito al secondo motivo di impugnazione proposto innanzi alla CTR, l’Agenzia riporta le deduzioni dell’atto di appello (da pag. 19 a pag. 21 del ricorso) lamentando, parimenti, la totale elusione dell’obbligo motivazionale della sentenza di merito, la sua genericità e, comunque, l’insufficienza del rilievo limitato all’accertamento della effettività delle operazioni commerciali tra Netcom e società contribuente.

In subordine, sempre sotto il profilo della motivazione, l’Agenzia deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendosi limitata, la CTR, a segnalare la mancata produzione di indizi utili a supportare la tesi della fittizietà soggettiva delle operazioni commerciali e la dimostrazione dell’effettività delle fatture, del pagamento e del trasferimento dei beni; tutte circostanze inidonee a fornire la prova a carico del contribuente.

Con un terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 18, 19 e art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta il malgoverno da parte della CTR dei principi della giurisprudenza comunitaria e di legittimità in punto di detraibilità dell’IVA, di operazioni commesse in frode, di consapevolezza del cessionario della natura fraudolenta dell’operazione, di possibilità, per l’Amministrazione, di fornire la suddetta prova mediante il ricorso a presunzioni.

Nella prospettazione della ricorrente, il diritto alla detrazione, spetta nel solo caso in cui, provata la frode, il cessionario/committente dimostri di non sapere o non avere potuto sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta non essendo, a tal fine, sufficiente il solo avvenuto pagamento della merce.

Va preliminarmente decisa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti e fondata sulla violazione dell’art. 360-bis c.p.c., nn. 1 e 2.

Sotto entrambi i profili, l’eccezione, peraltro, genericamente formulata, è priva di fondamento.

Con riguardo alla asserita ricorrenza della causa di inammissibilità di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, si osserva che, in conformità a quanto deciso da Cass. sez. 5, 13 settembre 2018, n. 22326, “nell’ipotesi in cui mediante il ricorso per cassazione venga dedotto anche il vizio di motivazione della pronuncia impugnata, non può trovare applicazione l’art. 360-bis c.p.c., n. 1, in presenza dei presupposti del quale è ammessa la declaratoria di inammissibilità del ricorso quando vengano in rilievo solo questioni di diritto”.

Sostanzialmente conforme Cass. sez. 2, 15 maggio 2012, n. 7558. Nel caso di specie la sentenza della CTR è stata censurata anche sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; ne deriva l’infondatezza dell’eccezione preliminare di inammissibilità.

Ulteriormente, si segnala l’infondatezza dell’eccezione anche con riferimento all’art. 360-bis c.p.c., n. 2, atteso che il vizio di inammissibilità non ricorre quando la censura che riguarda i “principi regolatori del giusto processo” (nel caso di specie asseritamente violati ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per il difetto di motivazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, comma 2, art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c.), ha carattere decisivo e quindi incidente sul contenuto della decisione in modo da arrecare effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass. sez. 6, 15 ottobre 2019, n. 26087, conforme a Cass. sez. 3, 26 settembre 2017, n. 22341).

Nel caso in esame, la denuncia concernente il difetto di motivazione sottende la lamentela relativa al sostanziale salto di un grado di giudizio di merito essendo stata, secondo la tesi della ricorrente, completamente pretermessa la risposta alle critiche avanzate con l’atto di appello (per come ampiamente riportato) alla sentenza di primo grado.

Il motivo di ricorso con il quale si lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è infondato.

Esso risulta formulato in termini promiscui atteso che, da un lato si lamenta la mera apparenza della motivazione, dall’altra una sorta di omessa pronuncia sui motivi di appello complessivamente formulati avverso la decisione di primo grado (tanto è vero che alle pagg. 11 19 e 19 – 21 vengono riportati i motivi di censura proposti davanti alla CTR).

Sul punto va ricordato che “Nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell’eccezione), non può ritenersi sussistente nè la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, nè la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata”. (Cass. sez. 4, 21 ottobre 2019, n. 26764).

Sostanzialmente in termini Cass. sez. 6-3, 25 settembre 2018, n. 22598, nella quale è stato precisato che l’obbligo motivazionale deve intendersi “violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile)” e che, “in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Occorre, peraltro, ricordare che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e numerose altre conformi successive).

Nel caso di specie, la motivazione non è apparente in quanto il ragionamento seguito dal giudice di merito per pervenire alla decisione è percepibile laddove indica nella effettività degli acquisti della merce e nel reale pagamento dei relativi importi la ragione per cui la pretesa dell’Amministrazione, circa la non detraibilità dell’IVA e l’indeducibilità dei costi, deve ritenersi priva di fondamento.

Ulteriormente, la decisione gravata ha sostenuto il mancato assolvimento, da parte della stessa Amministrazione, dell’onere della prova su essa gravante e tanto non costituisce, nel complesso dell’impianto motivazionale adottato, una motivazione meramente apparente.

Neppure sussiste il vizio denunciato di omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ricorre, secondo la formulazione applicabile “ratione temporis”, nell’ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

A ben vedere, il vizio è formulato in termini tali da contenere la denuncia di una insufficienza motivazionale non avendo specificato la ricorrente quale elemento fattuale sarebbe stato pretermesso nell’esame complessivamente condotto dalla CTR.

Ed infatti, le medesime argomentazioni per sostenere l’apparenza motivazionale sono richiamate per affermarne, in subordine, la totale omissione.

Sul punto può essere richiamato quanto precedentemente argomentato circa il denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

E’ invece fondato il terzo motivo di ricorso.

La CTR ha applicato in maniera non corretta i principi in tema di operazioni fraudolente poste in essere mediante meccanismi tali da consentire sia la detrazione dell’IVA che la deduzione dei costi inerenti l’attività di impresa.

Allo scopo di sostenere la tesi della regolarità delle operazioni ha valorizzato un unico elemento costituito dall’avvenuto pagamento della merce e dalla sua effettiva consegna.

Invero, tale argomentare contrasta con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare, anche in via indiziaria, che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti. Nè, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poichè trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente” (Cass. sez. 5, 24 settembre 2014, n. 20059).

Con riferimento, poi, alla deduzione dei costi, è stato deciso, con orientamento qui condiviso, che “in materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. sez. 5, 19 dicembre 2019, n. 33915).

Nel caso di specie, ove si controverte in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, la motivazione che valorizza solo l’avvenuto perfezionamento delle operazioni commerciali a seguito dell’esistenza della fattura non costituisce corretta applicazione dei principi in materia anche perchè, per quanto attiene anche alla deduzione dei costi, non applica correttamente il requisito dell’inerenza che deve formare, pur sempre, oggetto di accertamento anche sotto la vigenza della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, conv. in L. n. 44 del 2012).

Sul punto specifico va assegnata continuità a quanto statuito da Cass. sez. 6-5, 6 luglio 2018, n. 17788 e Cass. sez. 5, 17 dicembre 2014, n. 26461.

In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso e rigettati gli altri.

La sentenza deve essere cassata con rinvio alla CTR della Puglia in diversa composizione che provvederà alla regolamentazione delle spese anche del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i primi due; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Puglia in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente grado.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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