Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29900 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9944/2018 R.G., proposto da:

C.P.M. e D.C., rappresentate e difese

dall’Avv. Alberto Borella e dall’Avv. Piero Borella, con studio in

Treviso, ove elettivamente domiciliate (p.e.c.:

pieroborella.pec.ordineavvocatitreviso.it), giusta procura in calce

al ricorso introduttivo del presente procedimento, domiciliato in

Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

Il Comune di Mareno di Piave (TV), in persona del Sindaco pro

tempore, autorizzato a resistere nel presente procedimento in virtù

di decreto reso dal Sindaco il 15 maggio 2018, n. 8, e di determina

resa dal Responsabile del Servizio Segreteria, Tributi e Attività

Culturali il 15 maggio 2018, n. 84, rappresentato e difeso dall’Avv.

Antonio Chiarello e dall’Avv. Maria Suppa, con studio in Lecce,

elettivamente domiciliato presso l’Avv. Giuseppe Pecorilla, con

studio in Roma, giusta procura in margine al controricorso di

costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

del Veneto il 26 settembre 2017 n. 932/11/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’8 ottobre 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

C.P.M. e D.C. ricorrono per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 26 settembre 2017 n. 932/11/2017, non notificata, che, in controversia su impugnazioni riunite di avvisi di accertamento per I’I.C.I. relativa agli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 nella misura di Euro 3.145,81 con riguardo ad un terreno in comproprietà tra loro, ha rigettato – dopo la riunione – gli appelli proposti dalle medesime nei confronti del Comune di Mareno di Piave (TV) avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso il 13 aprile 2015 n. 244/06/2015, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’area in questione aveva destinazione edificatoria e che l’agevolazione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b, non poteva essere riconosciuta in difetto di possesso e conduzione da parte di coltivatore diretto o imprenditore agricolo. Il Comune di Mareno di Piave (TV) si è costituito con controricorso. I ricorrenti hanno depositata memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’omessa pronuncia sulla domanda relativa all’illegittimità del “doppio accertamento”, in mancanza della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi rispetto ai precedenti accertamenti.

2. Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla circostanza che gli avvisi di accertamento notificati nell’anno 2013 ed impugnati davanti al giudice tributario devono essere ritenuti illegittimi per non essere stati preceduti dall’annullamento in via di autotutela degli avvisi di accertamento notificati nell’anno 2011.

3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’omessa motivazione negli avvisi di accertamento, ai fini della determinazione del valore venale, sui presupposti di fatto e sulle ragioni di diritto con riferimento ai parametri previsti dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504.

4. Con il quarto motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alle caratteristiche effettive dell’area soggetta ad imposizione tributaria e delle previsioni dello strumento urbanistico comunale per la zona “FP” e delle limitate capacità edificatorie concesse ai privati ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5.

RITENUTO CHE:

1. Il primo motivo ed il secondo motivo, la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto, sono fondati, derivandone l’assorbimento dei restanti motivi.

1.2 Lamentando l’omessa pronunzia in parte qua del giudice di appello, le contribuenti hanno reiterato l’eccezione preliminare circa la duplicazione di imposta, sul rilievo che l’ente impositore, a fronte dell’emissione degli avvisi di accertamento per l’I.C.I. relativa agli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 (in base all’imputazione del maggior valore di Euro 1.048.470,00 al terreno in comproprietà), che erano stati notificati nell’anno 2013 (oggetto di impugnazione nel presente procedimento), aveva omesso il preventivo annullamento in sede di autotutela degli avvisi di accertamento per l’I.C.I. relativa agli anni 2008 (per C.P.M. e D.C.), 2009 e 2010 (per la sola D.C.) (in base all’imputazione del minor valore di Euro 260.518,93 al terreno in comproprietà), che erano stati notificati nell’anno 2011.

1.3 Sul punto, l’amministrazione finanziaria si è limitata a replicare che l’eccezione di nullità degli atti impositivi doveva considerarsi implicitamente rigettata, valutandosene l’assorbimento nelle argomentazioni sottese alla decisione resa sul merito dell’impugnazione nel suo complesso.

1.4 Secondo un orientamento costante di questa Corte (tra le tante: Cass., Sez., 5, 8 ottobre 2013, n. 22827; Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27543), in materia tributaria, il potere della pubblica amministrazione di provvedere in via di autotutela all'”annullamento d’ufficio” o alla “revoca”, anche in pendenza di giudizio o di non impugnabilità degli atti illegittimi od infondati, è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2-quater, comma 1, convertito, con modifiche, in L. 30 novembre 1994, n. 656, e dal D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, (recante il “Regolamento recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria”).

Il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione dei primo) o quella della “riforma” (atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso); entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico.

Accanto a tale tipizzato “rimedio demolitorio”, si è riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della pubblica amministrazione in materia tributaria anche all’ipotesi di intervento “sostitutivo”, laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio dei potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo.

Così l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di un altro, precedentemente annullato, non si risolve in una mera integrazione di quest’ultimo, ma costituisce esercizio dell’ordinario potere di accertamento, non consumatosi attraverso l’emanazione dell’atto annullato, nonchè del generale potere di autotutela, in ordine alla quale, peraltro, l’amministrazione finanziaria non gode di alcun margine di discrezionalità (diversamente da quanto accade ordinariamente), trattandosi di integrare le parti che hanno dato luogo all’invalidità dell’atto precedente.

La sua emissione, pertanto, non presuppone la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, ma può aver luogo anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell’amministrazione finanziaria.

L’atto integrativo/sostitutivo è, dunque, in genere, un nuovo atto sul medesimo rapporto su cui è intervenuto quello precedente, perchè in relazione ad un nuovo oggetto, non assunto a proprio elemento dai primo, dispone un nuovo contenuto. L’esercizio del potere di autotutela, pertanto, può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico del precedente atto o alla sua eliminazione e alla sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato; tuttavia, mentre l’integrazione o la modificazione in aumento dell’accertamento originario deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento, specificamente motivato a garanzia del contribuente che ne è destinatario, il quale si aggiunge a quello originario, ovvero lo sostituisce, l’integrazione o la modificazione in diminuzione, non integrando una “nuova” pretesa tributaria, ma soltanto una pretesa “minore”, non necessita neppure di una forma o di una motivazione particolari.

1.5 Nel caso di specie, avendo liquidato una maggiore imposta per ciascuna annualità (per la precisione, da Euro 781,56 ad Euro 3.145,81) in conseguenza di una consistente accrescimento della base imponibile (per la precisione, da Euro 260.518,93 ad Euro 1.048.470,00), i nuovi avvisi di accertamento (con valore sostitutivo della pretesa tributaria) esigevano una congrua ed adeguata motivazione.

Per cui, a garanzia del diritto di difesa delle contribuenti, gli atti rinnovati non potevano fondarsi sulla mera rivalutazione fattuale e giuridica degli stessi elementi posti a fondamento degli atti sostituiti, ma sulla sopravvenienza di elementi in precedenza non conosciuti dall’ente accertatore, che fossero idonei a giustificare l’esercizio del potere di autotutela (in particolare, la maggiorazione della pretesa tributaria).

1.6 Su tali premesse, si delinea la inequivoca sussistenza del vizio di omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.).

Come è noto, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (da ultima: Cass., Sez. 2, 25 giugno 2020, n. 12652).

Nella specie, il giudice di appello ha concentrato la sua motivazione sulla questione relativa alla sussistenza dei presupposti necessari per usufruire dell’agevolazione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b, ma non si è pronunciato in alcun modo sulla esposizione delle ragioni sottese alla revisione in maius del valore venale dell’area interessata in relazione ai parametri previsti dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5.

1.8 Pertanto, in totale assenza di conseguenzialità logico-giuridica, si deve escludere che la valutazione della destinazione edificatoria e della discordanza tra soggetto possessore e soggetto coltivatore del terreno possa presupporre una pronunzia implicita sulla questione della duplicazione degli avvisi di accertamento.

2. In conclusione, apprezzandosi la fondatezza del primo motivo e del secondo motivo, nonchè l’assorbimento dei restanti motivi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo ed il secondo motivo; dichiara l’assorbimento dei restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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