Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29900 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. I, 18/11/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 18/11/2019), n.29900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29562/2015 proposto da:

Banca Popolare Di Vicenza Scpa, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, V. Nazionale 204,

presso lo studio dell’avvocato Zitiello Luca, che lo rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tagliamento

55, presso lo studio dell’avvocato Di Pierro Nicola, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Furlani Alberto,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2503/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 da Dott. SOLAINI LUCA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento dei primi tre

motivi di ricorso;

udito l’Avvocato D’Ostuni per il ricorrente, con delega, che si

riporta agli atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.R.F. conveniva in giudizio la Banca Popolare di Vicenza s.c.p.a. (in seguito BPV o la banca) chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione per inadempimento del contratto di acquisto di bond (OMISSIS) per complessivi Euro 103.000,00 stipulato in data 22.2.01, a causa del mancato adempimento degli obblighi informativi gravanti sulla banca convenuta con conseguente condanna di quest’ultima alla restituzione delle somme investite e al risarcimento del danno da svalutazione monetaria.

Nella resistenza della banca, il Tribunale di Treviso rigettava la domanda per insussistenza dei fatti costitutivi dell’inadempimeito.

D.R.F. proponeva gravame che la Corte d’Appello di Venezia accoglieva parzialmente, con sentenza n. 2503/14 pubblicata il giorno 10.11.2014, dichiarando la risoluzione del contratto di acquisto dei titoli, in quanto l’istituto di credito non aveva fornito prova di aver tenuto una condotta diligente e corretta, fornendo al risparmiatore le informazioni necessarie per valutare l’investimento proposto.

La Banca Popolare di Vicenza ricorre per cassazione contro la predetta sentenza della Corte d’Appello di Venezia affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste D.R.F. con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo e secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, perchè connessi, la banca ricorrente denuncia, da una parte, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, relativo alla mancata esclusione della responsabilità della banca per aver ritenuto non corretto l’adempimento agli obblighi informativi (di cui all’art. 21 TUF e art. 28, comma 2 e art. 29 reg. Consob), e ciò, in contrasto ai mezzi istruttori prodotti dall’istituto di credito in primo grado, quali la preventiva consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, la segnalazione scritta dell’inadeguatezza dell’operazione richiesta e la prova per testi volta a dimostrare di aver rappresentato al risparmiatore la natura e i rischi sottesi all’investimento oggetto di controversia; dall’altra, la stessa banca ricorrente prospetta il vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine all’asserito inadempimento degli obblighi informativi (di cui all’art. 21 TUF e art. 26 reg. Consob).

Con il terzo motivo, la banca ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 21 e art. 28, comma 2 reg. Consob n. 11522/98, sempre in riferimento, al fatto che i giudici d’appello avrebbero travisato il tenore e l’ampiezza degli obblighi informativi previsti dalle norme di cui alla rubrica.

Con il quarto motivo, la banca denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 1703 c.c. e segg., dell’art. 21 TUF e degli artt. 26 e segg. reg. Consob, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avrebbero pronunciato la risoluzione dell’ordine di acquisto oggetto di controversia, che quale mero atto esecutivo del contratto di negoziazione non sarebbe stato suscettibile di rimedi civilistici dettati dal codice civile in materia di contratti.

I quattro motivi di ricorso, che ruotano tutti intorno al corretto adempimento o meno degli obblighi informativi da parte della banca (quand’anche declinati sotto il profilo del vizio di omesso esame, di omessa pronuncia e di violazione di legge) e sulla possibilità o meno di disporre la risoluzione non del contratto d’intermediazione finanziaria, ma del singolo ordine impartito, possono essere oggetto di un esame congiunto e sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, le singole operazioni di investimento in valori mobiliari, in quanto contratti autonomi, benchè esecutivi del contratto quadro originariamente stipulato dall’investitore con l’intermediario, possono essere oggetto di risoluzione, in caso di inosservanza di doveri informativi nascenti dopo la conclusione del contratto quadro, indipendentemente dalla risoluzione di quest’ultimo, atteso che il momento negoziale delle singole operazioni di investimento non può rinvenirsi nel contratto quadro” (Cass. nn. 16861/17, 8394/16, 12937/17, 16820/16).

In particolare, la valutazione dell’adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio del cliente ed alla sua buona conoscenza del mercato finanziario non escludono la gravità dell’inadempimento degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario finanziario (Cass. n. 8333/18), anche ne caso in cui l’investitore, nel contratto-quadro, si sia rifiutato di fornire le informazioni sui propri obiettivi d’investimento e sulla propria propensione al rischio, in quanto l’intermediario deve comunque valutare l’adeguatezza dell’operazione d’investimento in base ai principi generali di correttezza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui egli sia in possesso (come, ad esempio, l’età, la professione, la presumibile propensione al rischio alla luce delle operazioni pregresse ed abituali, la situazione di mercato), v. Cass. n. 5250/16.

Nella presente vicenda, sulla base della documentazione richiamata dalla banca in ricorso (e “localizzata” ai fini della autosufficienza), non emerge l’effettivo rispetto degli obblighi informativi facente capo all’intermediario finanziario, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati e di cui la Corte d’Appello ha dimostrato di aver fatto “buon governo”. Infatti, il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari non è idoneo a rendere edotto l’investitore del rischio dell’operazione, in quanto, non è specifico rispetto al titolo oggetto dell’operazione richiesta, così come non sono idonee le stereotipe segnalazioni d’inadeguatezza su moduli standard che prescindano dalle peculiarità del singolo prodotto finanziario. Per altro verso le dichiarazioni testimoniali non risultano dirimenti. Pertanto, la risoluzione dell’ordine d’investimento, pronunciata dalla Corte territoriale, è conforme ai principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la banca ricorrente a pagare a D.R.F. le spese del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 7.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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