Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2990 del 07/02/2020

Cassazione civile sez. I, 07/02/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 07/02/2020), n.2990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11302/2014 proposto da:

Alimentitalia S.r.l. & Co. s.a.s., (già Alimentitalia di

G.L. & C. s.a.s.), in persona legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cosseria n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Romanelli Guido Francesco, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Chelodi Carlo, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, in persona del curatore

Dott. C.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Anapo n. 20, presso lo studio dell’avvocato Rizzo Carla,

rappresentato e difeso dall’avvocato Zuccaccia Nerio, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1246/2013 del TRIBUNALE di PERUGIA, depositato

il 27/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2020 dal cons. Dott. VELLA PAOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo, assorbiti i restanti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto impugnato, il Tribunale di Perugia ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, proposta da Alimentitalia S.r.l. & Co. S.a.s., la quale lamentava la mancata ammissione con riserva, L. Fall., ex art. 96, del credito risarcitorio di Euro 266.429,26, in attesa della definizione del giudizio di risoluzione ex art. 1453 c.c. dei contratti di fornitura di prodotti dolciari, per inadempimento della venditrice (OMISSIS) in bonis, già promosso dinanzi al Tribunale di Trento, successivamente interrotto a causa del suo fallimento e riassunto nei confronti della curatela fallimentare.

1.1. Secondo il Tribunale di Perugia, il credito insinuato al passivo incerto nell’an e nel quantum – non sarebbe nè “condizionale”, nè ammissibile “con riserva” (in mancanza di sentenza intervenuta prima della dichiarazione di fallimento), bensì “soggetto all’accertamento del Tribunale Fallimentare in base alla competenza funzionale L. Fall., ex art. 24 “, sicchè “la sua sussistenza andava comprovata dinanzi al G.D. (…) o, al più tardi, mediante istruttoria da svolgersi nella sede oppositiva”, mentre l’azione proposta dinanzi al Tribunale di Trento doveva essere dichiarata improcedibile. Di qui il rigetto dell’opposizione, avendo il creditore “omesso di allegare e provare i fatti costitutivi della pretesa nell’unica sede deputata all’accertamento del credito e alla sua ammissione, quella fallimentare”.

2. Avverso detta decisione la Alimentitalia ha proposto quattro motivi di ricorso per cassazione, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso, corredato da memoria.

3. Con ordinanza interlocutoria n. 30806 del 26/11/2019 il Collegio ha disposto rinvio a nuovo ruolo per trattazione congiunta con il ricorso iscritto al n. 27124/15 R.G., promosso contro la sentenza della Corte d’appello di Trento che ha rigettato l’impugnazione proposta dalla stessa Alimentitalia avverso la sentenza con cui il Tribunale di Trento aveva dichiarato improcedibili le domande di risoluzione contrattuale e risarcimento del danno.

4. La Procura generale ha depositato requisitoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo – rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – L. Fall., art. 24 (e L. Fall., art. 72)” – si sostiene che le azioni di risoluzione contrattuale “introdotte prima del fallimento rimangono in punto di an di competenza del Tribunale ordinario ed in punto di risarcimento e relativo quantum di competenza del Tribunale Fallimentare”, sicchè il credito per cui è causa non poteva che ammettersi “con riserva, in via condizionata”, in attesa della decisione sulla domanda di risoluzione pendente dinanzi alla Corte d’appello di Trento, essendo l’accertamento della risoluzione “prodromico ad ogni ulteriore accertamento”.

5.1. Il secondo mezzo prospetta la medesima questione sotto il profilo dell’omesso esame della “motivazione offerta dall’opponente ai fini dell’ammissione condizionata del proprio credito” e dell’adozione della decisione sulla base di “affermazioni tautologiche, apodittiche e contraddittorie”.

5.2. Il terzo motivo denunzia la violazione della L. Fall., art. 99, che richiede la pronuncia di un “decreto motivato”, mentre quello impugnato sarebbe privo di motivazione sulla ritenuta competenza funzionale del tribunale fallimentare L. Fall., ex art. 24.

5.3. Con il quarto mezzo – rubricato “Violazione art. 91 c.p.c.” – si deduce infine che la peculiare vicenda processuale “da sola avrebbe consigliato/imposto quantomeno la compensazione delle spese”.

6. Il primo motivo è infondato.

7. A partire dalla riforma fallimentare del 2006, l’ordinamento concorsuale ha visto rafforzarsi i due principi fondamentali della competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare (L. Fall., art. 24) e della obbligatorietà ed esclusività delle forme dell’accertamento del passivo (L. Fall., art. 52), entrambi strumentali agli obbiettivi di specializzazione, celerità e concentrazione delle procedure fallimentari e, segnatamente, del procedimento di accertamento del passivo fallimentare.

7.1. Già in precedenza la giurisprudenza aveva segnalato che l’esclusività del procedimento di verifica dei crediti non involge un problema di competenza – influenzata dalla vis attractiva del tribunale fallimentare – ma una questione di specialità del rito, rimarcando che la devoluzione della controversia al foro fallimentare discende direttamente e inequivocabilmente dal combinato disposto della L. Fall., artt. 52 e 93 ss. (ex plurimis, Cass. 2032/1987, 1893/1996, 11379/1998), teso a realizzare le peculiarità del sistema concorsuale ove l’accertamento del passivo è consegnato ad un particolare procedimento, “quale strumento di cognizione attribuito a un Giudice, la cui individuazione è disancorata dai criteri ordinari in materia di competenza, derivando, invece, dalla stessa sentenza dichiarativa di un determinato fallimento”; ne consegue che “l’attuazione, nella sede fallimentare, delle domande intese a ottenere il riconoscimento del diritto di partecipare al concorso o di un diritto reale o restitutorio su beni mobili” (e oggi anche immobili) “acquisiti all’attivo non discende, in altri termini, dal principio di cui all’art. 24 citato – il quale risolve, più che altro, un problema di competenza riferito alla cognizione del Tribunale fallimentare, specie in relazione a crediti del soggetto fallito – ma è riconducibile al principio, dettato dall’art. 52 citato, della obbligatorietà ed esclusività del procedimento di verifica del passivo per quanti intendano far valere pretese verso il fallimento” (Cass. 2439/2006).

7.2. Nel sistema vigente, la riforma ha inciso sull’accertamento del passivo in senso marcatamente “estensivo” e “acceleratorio”, per consentire la conclusione nel più breve tempo possibile sia della prima fase (necessaria) davanti al giudice delegato, sia di quella successiva (eventuale) di tipo impugnatorio dinanzi al tribunale fallimentare (nella triplice forma di opposizione, impugnazione e revocazione dello stato passivo L. Fall., ex art. 98).

7.3. In particolare, dalla L. Fall., art. 24 – per cui “il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore” – è stata espunta l’originaria esclusione delle “azioni reali immobiliari”, non più soggette, come in passato, alle “norme ordinarie di competenza” (cui erano state già sottratte le “azioni relative a rapporti di lavoro”). Inoltre, la L. Fall., art. 93, comma 1, contempla, accanto alla domanda di ammissione al passivo di un credito, quella “di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili”, essendo venuta meno nella L. Fall., art. 103 la limitazione ai soli beni mobili delle “domande di rivendica e restituzione”.

7.4. Al riguardo merita evidenziare come il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (nuovo CCII), di prossima applicazione, nel precisare che “il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi di cui all’art. 206” (i.e. opposizione, impugnazione dei crediti ammessi e revocazione) “limitatamente ai crediti accertati e al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui, producono effetti soltanto ai fini del concorso” (art. 204, comma 5), ha chiarito – così risolvendo alcune difficoltà attuative della nuova competenza immobiliare del tribunale fallimentare – che “il decreto che accoglie la domanda di rivendica di beni o diritti il cui trasferimento è soggetto a forme di pubblicità legale deve essere reso opponibile ai terzi con le medesime forme” (art. 210, comma 3).

7.5. La giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere che “in materia di procedure concorsuali, la competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare, prevista dalla L. Fall., art. 24 e dal D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 13 suo omologo nell’amministrazione straordinaria, opera con riferimento non solo alle controversie che traggono origine e fondamento dalla dichiarazione dello stato d’insolvenza ma anche a quelle destinate ad incidere sulla procedura concorsuale in quanto l’accertamento del credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa” (Cass. 15982/2018; Cass. 20350/2005), sicchè “sono azioni derivanti dal fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 24, quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna” (Cass. 17279/2010; coni. Cass. 17388/2007; Cass. 7510/2002).

7.6. E’ altresì pacifico che il vigente L. Fall., art. 52, nel fare riferimento omnicomprensivo a “ogni credito” e ad “ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare”, ivi compresi i crediti esentati dal divieto di cui all’art. 51″, assoggetta inevitabilmente alla competenza dell’organo giurisdizionale fallimentare e al rito speciale dell’accertamento del passivo (cd. concorso formale) – “salvo diversa disposizione di legge” – anche la cognizione degli antecedenti logico-giuridici che costituiscono il presupposto delle suddette pretese.

7.7. Il principio del concorso formale può quindi essere derogato solo da specifiche disposizioni di legge, come la L. Fall., art. 96, n. 3), – a norma del quale “i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunciata prima della dichiarazione di fallimento” (quand’anche di accertamento negativo, secondo la consolidata interpretazione estensiva di questa Corte: Cass. 11362/2018, 26041/2010, 4646/2009, 18088/2007) vanno ammessi al passivo con riserva, potendo il curatore solo “proporre o proseguire il giudizio di impugnazione” dinanzi al giudice ordinario o speciale, destinato perciò a fare stato in sede fallimentare – e il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 88, comma 2, il quale prevede analogamente l’ammissione con riserva dei crediti tributari contestati, il cui accertamento resta perciò radicato nella sfera di competenza della giurisdizione tributaria.

8. Orbene, il Collegio ritiene che la L. Fall., art. 72, comma 5 – articolo riformulato ex novo con la riforma di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 e destinato a disciplinare i “rapporti pendenti” all’interno della Sezione che disciplina gli “effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti” – non rappresenti quella “diversa disposizione di legge” destinata a derogare, nella fattispecie considerata, al rito fallimentare.

8.1. Il primo periodo di detta disposizione – per cui “l’azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i sui effetti nei confronti del curatore fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda” – integra un comando di tipo sostanziale che individua nella domanda di risoluzione contrattuale proposta ante fallimento un limite al potere del curatore di scegliere se sciogliersi dal contratto pendente o subentrarvi, previsto in linea generale dal comma 1 (“salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto”); con la precisazione che, laddove necessarie (per lo più con riguardo a diritti su beni immobili e mobili registrati), anche le formalità per la trascrizione della domanda devono essere effettuate prima del fallimento, in applicazione della regola di cui alla L. Fall., art. 45.

8.2. Il secondo periodo – per cui “se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V” – integra invece un comando di carattere processuale che non solo non deroga alla regola della L. Fall., art. 52, ma anzi la conferma espressamente, in base al quale il contraente che abbia proposto domanda di risoluzione del contratto prima del fallimento, pur potendo sottrarsi alla eventuale scelta del curatore di subentrare nel contratto (in forza del primo periodo), non può coltivare quella domanda in sede ordinaria – ma deve proporla in sede fallimentare – tutte le volte in cui con essa intenda far valere i consequenziali effetti restitutori o risarcitori nei confronti della massa dei creditori.

8.3. Tra l’altro, una diversa lettura della norma la svuoterebbe di significato, rendendo del tutto superfluo il secondo periodo, non essendo mai stato messo in dubbio nel sistema concorsuale che – a fronte di una azione di risoluzione del contratto per inadempimento promossa prima del fallimento – ogni pretesa pecuniaria, risarcitoria o restitutoria debba comunque essere fatta valere in sede concorsuale.

8.4. Pertanto, non si rinviene nel sistema concorsuale vigente un indice normativo che giustifichi la deroga al principio del concorso formale sulle pretese restitutorie o risarcitorie derivanti dalla domanda di risoluzione contrattuale proposta prima della dichiarazione di fallimento, ivi compresi i presupposti di quest’ultima, sia essa di natura dichiarativa, in presenza di clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., o costitutiva, per inadempimento colposo ex art. 1453 c.c. (cfr. Cass. 10294/2018). D’altronde, l’efficacia della trascrizione della domanda L. Fall., ex art. 72, comma 5, primo periodo, – quando prevista – è funzionale, in uno all’opponibilità L. Fall., ex art. 45, alla prenotazione degli effetti sostanziali dell’eventuale accoglimento della domanda di risoluzione, ma non rileva ai fini del rito da adottare per la decisione della domanda, dopo la declaratoria di fallimento.

8.5. L’opposta soluzione poteva al più essere predicata nell’assetto normativo ante riforma, dove la procedibilità dell’azione di risoluzione in sede ordinaria appariva compatibile con il procedimento di verifica del passivo dell’epoca, gran parte delle cui fasi (giudizi di opposizione, impugnazione e revocazione dei crediti ammessi; fase conteziosa delle insinuazioni tardive) seguiva il rito ordinario di cognizione, con conseguente possibilità di formazione del giudicato ex art. 2909 c.c. (cfr. Cass. 2439/2006, per l’opponibilità alla massa dei creditori della sentenza, sebbene trascritta dopo il fallimento, recante l’accoglimento di una domanda di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell’acquirente, nonchè di restituzione delle cose in base ad esso consegnate, trascritta invece prima della dichiarazione di fallimento del convenuto; v. anche Cass. Sez. U, 23077/2004, per la trattazione unitaria, ex art. 274 c.p.c., del giudizio di opposizione allo stato passivo con quello coltivato dal curatore per il recupero di un credito del fallito, nel quale il convenuto aveva originariamente proposto domanda riconvenzionale contro il soggetto in bonis, dichiarata improcedibile a seguito della dichiarazione di fallimento; ovvero, in difetto delle necessarie condizioni, per l’applicazione dell’art. 295 c.p.c., “fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria”).

9. Nè risulta possibile – come preteso dal ricorrente – applicare alla domanda di risoluzione contrattuale proposta ante fallimento la disciplina dell’ammissione con riserva ai sensi della L. Fall., art. 96, n. 3), non solo per la natura eccezionale della norma, che la rende insuscettibile di applicazione analogica al di fuori del caso tassativamente previsto della pronuncia di una sentenza (non passata in giudicato) prima della dichiarazione di fallimento, ma anche perchè, come osservato, è proprio il secondo periodo della L. Fall., art. 72, comma 5, ad imporre l’attrazione dell’intera domanda – di risoluzione e consequenziale risarcimento e/o restituzione – al rito fallimentare.

9.1. Per le stesse ragioni, l’ammissione con riserva L. Fall., ex art. 96, n. 3), non risulta applicabile nemmeno indirettamente, per il tramite dell’effetto prenotativo della domanda trascritta – peraltro valevole solo per alcuni tipi di beni e diritti – in forza del quale le sentenze che accolgono le domande di risoluzione aventi ad oggetto i diritti immobiliari menzionati nell’art. 2643 c.c. “non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda” (art. 2652 c.c., comma 1, n. 1)); principio richiamato dall’art. 2690 c.c., comma 1, n. 1) per le domande di risoluzione aventi ad oggetto i diritti sui beni mobili registrati ex art. 2684 c.c.

9.2. Infatti, ferma restando l’operatività delle suddette regole su altri piani – grazie al principio di opponibilità ai terzi consacrato nella L. Fall., art. 45 – la retroazione degli effetti dell’accoglimento della domanda giudiziale di risoluzione avente ad oggetto beni immobili e mobili registrati alla data della trascrizione della relativa domanda non sarebbe idonea, sul piano processuale, a precludere la “trasmigrazione” della domanda di risoluzione, ove diretta a far valere pretese restitutorie o risarcitorie in sede fallimentare, dal giudizio di cognizione ordinaria al giudizio sommario di verifica del passivo, essendo appunto questa la regola imposta dalla L. Fall., art. 72, comma 5, secondo periodo.

9.3. In proposito va opportunamente precisato che altro è l’ambito operativo della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto (art. 2932 c.c.), per la quale la L. Fall., art. 72 in effetti non detta una regola processuale analoga a quella appena vista per la domanda di risoluzione contrattuale. In questa diversa prospettiva va quindi considerato che l’effetto prenotativo della domanda ex art. 2932 c.c. concorre comunque a delimitare il potere di scelta del curatore fallimentare del promittente venditore di un immobile, il quale “non può sciogliersi dal contratto preliminare ai sensi della L. Fall., art. 72 con effetto verso il promissario acquirente ove questi abbia trascritto prima del fallimento la domanda ex art. 2932 c.c. e la domanda stessa sia stata accolta con sentenza trascritta, in quanto, a norma dell’art. 2652 c.c., n. 2, la trascrizione della sentenza di accoglimento prevale sull’iscrizione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese” (Cass. Sez. U, 18131/2015; conf. Cass. Sez. 1, 13786/2018), sicchè detta sentenza, “anche se trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dalla L. Fall., art. 72” (Cass. Sez. U, 12505/2004; conf. Sez. 1, 15218/2010, 16160/2010, 27903/2011; cfr. Sez. 2, 29544/2019 che richiama Sez. 1, 3953/2016 limitatamente alla inammissibilità di domanda di risoluzione proposta dopo la dichiarazione di fallimento, nell’ambito di un giudizio ex art. 2932 c.c. interrotto ai sensi della L. Fall., art. 43).

9.4. Alla fattispecie in esame non risulta nemmeno applicabile il principio, affermato da Cass. Sez. U, 12371/2008 nel sistema vigente ante riforma, per cui la pretesa risarcitoria o restitutoria sarebbe un “credito condizionato” rispetto alla pronuncia di risoluzione, da ammettere perciò con riserva L. Fall., ex art. 96, n. 1) poichè in quel caso si trattava di accertamento devoluto alla giurisdizione della Corte dei Conti (assimilabile all’ipotesi della giurisdizione speciale tributaria), mentre nella fattispecie in esame sussiste la giurisdizione del giudice ordinario.

9.5. Peraltro, considerare credito condizionato quello caratterizzato, in realtà, da un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, astrattamente risolvibile con la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., rappresenta una forzatura del dato normativo della L. Fall., art. 96, n. 1), che verrebbe così a subire una inammissibile interpretazione analogica.

9.6. Deve al riguardo ribadirsi che la tipicità delle ipotesi di ammissione condizionata al passivo impedisce di ammettere con riserva il credito restitutorio o condannatorio in attesa che, nell’ambito del giudizio di cognizione ordinaria, si formi il giudicato sulla sentenza di risoluzione; la giurisprudenza di questa Corte è invero costante nell’affermare la tassatività delle ipotesi di ammissione con riserva, con conseguente inammissibilità di eventuali riserve atipiche o anomale, da considerarsi semmai come non apposte (ex multis, Cass. 24866/2014, 3397/2004, 17526/2003, 7329/2002). In effetti, dette ipotesi hanno carattere straordinario poichè, implicando la provvisorietà dell’accertamento e la necessità di ulteriori verifiche, contrastano con la finalità di acquisire nel più breve tempo possibile una ricognizione completa ed unitaria dello stato passivo fallimentare, funzionale al sollecito ed ordinato sviluppo della procedura concorsuale.

10. Numerosi precedenti di questa Corte si sono espressi a favore della competenza funzionale e inderogabile del foro fallimentare (anche) sulla domanda di risoluzione contrattuale tutte (e sole) le volte in cui essa è finalizzata a far valere pretese risarcitorie e/o restitutorie nei confronti del debitore fallito o sottoposto ad amministrazione straordinaria, ferma restando, in caso contrario, la sua soggezione al rito ordinario di cognizione (v. Cass. 25868/2011, per cui “Nelle azioni derivanti dal fallimento, sottoposte alla competenza funzionale del tribunale fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 24, perchè incidenti sul patrimonio del fallito, ivi compresi gli accertamenti che siano premessa di una pretesa verso la massa, rientra anche la domanda di risoluzione del contratto (nella specie, di produzione associata di opere filmiche) finalizzata alla domanda di risarcimento del danno nei confronti della società fallita”; conf., a contrario, Cass. 8972/2011: “Qualora sia stata proposta dal locatore azione di risoluzione di un contratto di locazione per morosità del conduttore assoggettato alla procedura di amministrazione straordinaria e non sia stata avanzata contestualmente anche la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla morosità, tale domanda di risoluzione resta disciplinata dalle regole ordinarie e non è devoluta alla competenza del tribunale fallimentare prevista dalla L. Fall., art. 24 e dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 13 poichè essa non trova causa o titolo nella procedura concorsuale”). Talora si è aggiunto che “la domanda di risoluzione del contratto, quand’anche finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno, è attratta dal foro fallimentare L. Fall., ex art. 24, e può anche essere proposta incidentalmente in sede di opposizione allo stato passivo” (Cass. 19914/2017, che richiama Cass. 9170/2005).

11. Di recente, in una complessa fattispecie (domanda di accertamento della simulazione assoluta o relativa di un contratto di compravendita, nonchè della efficacia di un preliminare di permuta immobiliare di cosa futura di cui si chiedeva però la risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., ovvero per inadempimento ex art. 1453 c.c., con condanna alla restituzione del bene permutato e al risarcimento del danno) questa Corte ha sostenuto la necessità della separazione delle cause, senza peraltro esplicitare la regola di raccordo tra le due sedi giurisdizionali coinvolte (Cass. 3953/2016), nel senso che “le domande principali (prodromiche) di simulazione e risoluzione contrattuale, trascritte anteriormente alla dichiarazione di fallimento della parte convenuta in giudizio, proseguono legittimamente con il rito ordinario, attesa l’opponibilità della relativa sentenza alla massa dei creditori in ragione dell’effetto prenotativo della trascrizione, mentre le pretese, accessorie, di restituzione e risarcimento del danno devono necessariamente procedere, previa separazione dalle prime, nelle forme della L. Fall., artt. 93 e ss., in quanto assoggettate alla regola del concorso e non suscettibili di sopravvivere in sede ordinaria”; ciò in difformità dal contrario “principio della generalizzata attrazione nel rito speciale di verifica dei crediti delle domande principali dichiarative e costitutive ancorchè già trascritte” poichè, altrimenti, si “imporrebbe all’attore, inutilmente, di ricominciare tutto il giudizio daccapo in sede fallimentare”, con violazione del diritto alla ragionevole durata del processo contemplato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta costituzionale (art. 111 Cost.).

12. Nella fattispecie in esame, va invece preferito l’orientamento – di cui sopra si è dato conto – favorevole alla attrazione al rito di accertamento del passivo anche della domanda di risoluzione dichiaratamente proposta (come nel caso in esame) al solo fine di ottenere i consequenziali effetti restitutori e risarcitori in sede fallimentare. Invero, le stesse Sezioni Unite di questa Corte, nel pronunciarsi su altra questione in tema di accertamento del passivo, hanno avuto occasione di rilevare il favor dell’ordinamento per “una soluzione che privilegi la concentrazione in un unico procedimento delle diverse questioni che possono sorgere nella delibazione circa la sussistenza del credito azionato. L’esame congiunto di ogni vicenda costitutiva di detto credito, oltre che degli eventuali fatti impeditivi e modificativi del diritto e delle possibili ragioni di inefficacia, consente infatti un esame completo ed esaustivo della posizione creditoria, per di più espletato con un medesimo rito, nel più assoluto rispetto della rilevanza concorsuale del rapporto e con soluzione spiegante effetti all’interno della stessa procedura ammissiva” (Cass. Sez. U, 16508/2010).

12.1. Al contrario, la soluzione di applicare l’art. 103 c.p.c., comma 2 e art. 104 c.p.c. confligge non solo con i principi generali di specialità, concentrazione e speditezza che caratterizzano il sistema concorsuale, ma anche con il principio del contraddittorio incrociato tra tutti i creditori (e i titolari di altri diritti) concorsuali, i quali altrimenti, a fronte della separazione delle domande e della prosecuzione di quella di risoluzione in sede ordinaria, si troverebbero costretti – come segnalato anche da accorta dottrina a proporre contro la sentenza di eventuale accoglimento della domanda di risoluzione l’opposizione di terzo (ordinaria o revocatoria) ex art. 404 c.p.c., oppure l’accertamento in separato giudizio dei propri autonomi diritti (cfr. Cass. Sez. U, 16508/2010 cit. per cui, sia pure con riguardo ad altri temi, si sottolinea che “l’esame congiunto dei fatti costitutivi e di quelli modificativi ed estintivi del credito, nell’ambito della medesima sede deputata alla verificazione della loro esistenza ed entità, costituisce una più puntuale realizzazione del giusto processo, poichè consente una effettiva partecipazione ad esso di tutte le parti interessate ed incide in termini positivi sulla sua durata”).

12.2. Nè sussiste il paventato pregiudizio al diritto alla ragionevole durata del processo, ben potendo utilizzarsi nel procedimento di accertamento del passivo le prove eventualmente già raccolte nel giudizio ordinario, ferma restando la possibilità di compiere già dinanzi al giudice delegato gli “atti di istruzione compatibili con le esigenze di speditezza del procedimento” (L. Fall., art. 95, comma 3), oppure di dare spazio alla ulteriore istruttoria in sede di opposizione allo stato passivo. Anzi, quello stesso principio dovrebbe semmai indurre a devolvere al giudice fallimentare anche la domanda di risoluzione, stante la maggiore rapidità con cui vengono usualmente decise le domande di ammissione al passivo (cfr. ancora Sez. U, 16508/2010 cit., per cui “l’instaurazione di parentesi di cognizione esterne rispetto al modulo procedimentale concorsuale costituisce infatti uno dei fattori più significativi delle violazioni normative derivanti dall’eccessiva durata del processo (L. n. 89 del 2001)”).

12.3. Ciò – si sottolinea – tutte le volte in cui la domanda di risoluzione sia proposta non autonomamente, ma ai soli fini della insinuazione al passivo fallimentare, conformemente ai principi da tempo elaborati anche in materia di lavoro, per cui le domande di mero accertamento o anche costitutive (p.es. annullamento licenziamento e reintegrazione) che siano “mero strumento di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito” sfuggono alla competenza funzionale del giudice del lavoro, cui restano invece soggette allorquando si fondino “anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno della impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della “par condicio creditorum”” (ex multis, Cass. sez. L, 23418/2017; cfr. Cass. Sez. L, 1646/2018, 7990/2018).

12.4. Peraltro, la separazione delle domande creerebbe anche problemi di raccordo tra le due sedi giurisdizionali, non tanto per la anomalia di un’ordinanza del giudice della cognizione ordinaria di rimessione al giudice delegato di domande restitutorie o risarcitorie sicuramente non formulate secondo il modulo procedimentale della L. Fall., art. 93, quanto perchè, sussistendo tra la risoluzione e le conseguenti pretese risarcitorie-restitutorie un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, la causa pregiudicata andrebbe sospesa in sede fallimentare, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della decisione della causa pregiudiziale di risoluzione proseguita in sede ordinaria. Soluzione, questa, ripetutamente dichiarata incompatibile con i principi che presiedono all’accertamento del passivo fallimentare, sopra richiamati (Cass. n. 7547/2018; Cass. 5255/2017; Cass. Sez. U, 21499/04).

12.5. Analoghe perplessità suscita la soluzione di puntare, con il ricorso L. Fall., ex art. 93, al rigetto della domanda di ammissione al passivo – per carenza attuale di un suo presupposto – al fine strumentale di chiedere la sospensione del processo di opposizione allo stato passivo ex art. 295 c.p.c., in attesa della decisione nelle sedi ordinarie, confidando sulla possibilità per il creditore di beneficiare medio tempore, previa concessione di misure cautelari, degli accantonamenti L. Fall., ex art. 113, comma 2, senza peraltro precludere la chiusura del fallimento, potendo comunque il creditore opponente (o, secundum eventum litis, gli altri creditori, mediante riparto supplementare) ottenere, una volta cessata la causa di sospensione, la distribuzione delle somme accantonate ai sensi della L. Fall., art. 117, comma 3.

13. Risulta dunque maggiormente condivisibile l’orientamento espresso dalla prevalente dottrina per cui, in caso di interruzione L. Fall., ex art. 43 del giudizio ordinario di cognizione nel quale siano state proposte domande risarcitorie o restitutorie derivanti da risoluzione per inadempimento contrattuale, il contraente in bonis deve riassumerlo davanti al giudice delegato, essendo questi competente funzionalmente a conoscere della domanda principale e di quelle accessorie e consequenziali, in forza della L. Fall., art. 72, comma 5, secondo periodo, in modo che sia assicurato il rispetto dei principi che presiedono al concorso formale. Ciò in quanto il giudice fallimentare può conoscere principaliter anche dei petita che si pongono in rapporto di pregiudizialità con l’insinuazione al passivo, ove necessario procedendo anche ad un accertamento di natura costitutiva, comunque destinato a restare confinato in ambito endofallimentare. Nulla osta, quindi, alla riproposizione con il ricorso L. Fall., ex art. 93 di un petitum di risoluzione contrattuale originariamente formulato nell’atto introduttivo di un giudizio ordinario di cognizione.

13.1. Resta inteso che, come segnalato da accorta dottrina, vanno dichiarate improcedibili in sede di cognizione ordinaria, ed attratte al rito di cui alla L. Fall., artt. 92 e ss., solo le domande pregiudiziali strumentali all’ammissione al passivo fallimentare (ad es. domanda di risoluzione per inadempimento del promittente venditore promossa dal promissario acquirente per la restituzione degli acconti versati), non anche quelle dirette a conseguire finalità del tutto estranee alla partecipazione al concorso (ad esempio l’azione di risoluzione finalizzata ad escutere una garanzia di terzi, o a liberare la parte in bonis dagli obblighi contrattuali, ovvero destinata a farsi valere nei confronti del fallito tornato in bonis).

13.2. In simili casi, infatti, la procedibilità della domanda di risoluzione in sede di cognizione ordinaria non sembra incompatibile con una pronuncia incidenter tantum del giudice fallimentare sulla questione pregiudiziale alle domande risarcitorie o restitutorie, il rischio di conflitto tra giudicati restando escluso per la diversa attitudine alla stabilità dei provvedimenti conclusivi dei rispettivi giudizi (il primo con autorità di giudicato ex art. 2909 c.c., il secondo con valenza endoconcorsuale L. Fall., ex art. 96, u.c.).

14. Per concludere, vanno formulati i seguenti principi di diritto:

I. Nel sistema concorsuale riformato, la L. Fall., art. 72, comma 5, secondo periodo, impone – anche alla luce dei principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi alla L. Fall., artt. 24 e 52, nonchè del contraddittorio incrociato tipico del procedimento di accertamento del passivo – che la domanda di risoluzione proposta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede fallimentare, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dalla L. Fall., artt. 93 e ss..

II. In sede di accertamento del passivo, la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione deve essere esaminata e decisa dal giudice fallimentare, non essendo applicabile in via analogica l’istituto dell’ammissione con riserva ai sensi della L. Fall., art. 96, n. 1) o n. 3), nè potendosi disporre la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della decisione della causa pregiudiziale di risoluzione in ipotesi proseguita in sede di cognizione ordinaria.

III. La domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali, o l’escussione di una garanzia di terzi) è procedibile in sede di cognizione ordinaria, dopo l’interruzione del processo L. Fall., ex art. 43 e la sua riassunzione nei confronti della curatela fallimentare.

15. Il rigetto del primo motivo rende superfluo l’esame degli ulteriori tre motivi, che peraltro presentano autonomi profili di infondatezza (specie il terzo) e di inammissibilità, per genericità o difformità dai più ristretti canoni che governano le censure motivazionali ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (specie il secondo), mentre è inammissibile il quarto, esulando dal sindacato di questa Corte l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 19613/2017; Cass. 24502/2017).

16. Quanto alle spese del giudizio di legittimità, l’esistenza di orientamenti difformi, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, integra le “gravi ed eccezionali ragioni” ex art. 92 c.p.c., comma 2, (nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009 applicabile ratione temporis) per disporne l’integrale compensazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2020

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