Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29899 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 30/12/2020), n.29899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Maria Teresa Liana – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3158/2018 R.G., proposto da:

C.F.M.G., rappresentato e difeso da sè

medesimo, in qualità di Avvocato, con studio in Milano, e dall’Avv.

Michele De Cillis, con studio in Roma, ove elettivamente

domiciliato, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del

presente procedimento;

– ricorrente –

contro

il Comune di Mileto (VV), in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

Avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Calabria il 31 agosto 2017 n. 2490/02/2017, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale non

partecipata dell’8 ottobre 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

C.F.M.G. ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Calabria il 31 agosto 2017 n. 2490/02/2017, non notificata, che, in controversia su impugnazione di quattro avvisi di accertamento con riguardo all’I.C.I. per gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008 su un terreno, ha parzialmente accolto l’appello proposto dal medesimo nei confronti del Comune di Mileto (VV) avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia il 14 maggio 2013 n. 135/01/2014, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, riconoscendo la riduzione d’imposta al contribuente per la porzione del terreno con destinazione agricola. Il Comune di Mileto (VV) è rimasto intimato. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c. comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, del D.Lgs. 15 novembre 1997, n. 446, art. 52, comma 2, e della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver dato applicazione retroattiva ai parametri fissati dal regolamento generale delle entrate comunali, ancorchè approvato nell’anno 2010, per determinare il valore venale del terreno ai fini dell’I.C.I. per gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008.

2. Con il secondo motivo, si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto delle conclusioni di due perizie giurate di stima e delle risultanze della documentazione prodotta ai fini di una diversa determinazione del valore venale del terreno ai fini dell’I.C.I. per gli anni 2005, 2006, 2007 e 2008.

RITENUTO CHE:

1. Il primo motivo è infondato.

1.1 Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, in tema di imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che, in forza del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 52 e 59, e del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 48, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (in termini: Cass., Sez. 5, 13 marzo 2015, n. 5068; Cass., Sez. 6, 12 giugno 2018, n. 15312).

Nè rileva – come è stato allegato dal ricorrente – che il regolamento in questione sia entrato in vigore dall’1 gennaio dell’anno successivo alla sua approvazione (nella specie, dall’1 gennaio 2011), a norma del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52, comma 2, dal momento che l’applicabilità retroattiva dei relativi parametri (con riguardo agli anni 2005, 2006, 2007 e 2008) per la determinazione del valore venale del terreno ai fini dell’I.C.I. (con efficacia meramente presuntiva) resta, comunque, impregiudicata.

1.2 Per il resto, con riguardo alla doglianza relativa all’omessa notificazione al ricorrente di un eventuale atto modificativo della rendita catastale, come già era stato evidenziato dal giudice di appello, si osserva che il mutamento di destinazione di un’area non è in alcun modo collegato alle variazioni della classificazione catastale e dipende soltanto dalla successione nel tempo delle prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali.

Per cui, è irrilevante che il terreno in questione abbia subito una modifica in maius della rendita catastale, che non sia stata notificata al ricorrente.

2. Anche il secondo motivo è infondato.

2.1 Tale mezzo è stato prospettato dal ricorrente sotto profili distinti ed autonomi (rispettivamente, la violazione di legge e l’omesso esame di un fatto controverso decisivo).

In proposito, va data continuità all’orientamento giurisprudenziale per cui è ammissibile il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, purchè lo stesso evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex plurimis: Cass., Sez. 2, 23 aprile 2013, n. 9793; Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2018, n. 8915; Cass., Sez. 5, 5 ottobre 2018, n. 24493; Cass., Sez. 2, 23 ottobre 2018, n. 26790).

Difatti, il cumulo in un unico motivo delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è ammissibile in presenza di una diversificata e separata prospettazione delle doglianze attinenti, rispettivamente, al corretto esercizio della potestà decisionale ed all’appropriata ricostruzione del fatto controverso.

2.2 Ciò nondimeno, nello specifico, la censura nel suo complesso attiene all’esclusiva valutazione del materiale probatorio, contestandosi al giudice di appello di aver ignorato le conclusioni di due perizie di parte e di aver trascurato le risultanze della documentazione prodotta con riguardo alla destinazione urbanistica del terreno appartenente al ricorrente.

2.3 Anzitutto, si deve escludere la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Difatti, tale vizio si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione della norma predetta (ex plurimis: Cass., Sez. 3, 29 maggio 2018, n. 13395; Cass., Sez. Lav., 19 agosto 2020, n. 17313).

Laddove, la doglianza non attiene alla ripartizione dell’onere della prova secondo le regole tradizionali di scomposizione delle fattispecie in base alla differenza tra fatti costitutivi, modificativi o estintivi.

2.4 Altrettanto dicasi per la violazione o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Invero, è pacifico che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (ex plurimis: Cass., Sez. Lav., 19 giugno 2014, n. 13960; Cass., Sez. 2, 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass., Sez. 6, 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass., Sez. 6, 17 gennaio 2019, n. 1229): eventualità, quelle in discorso, che nulla hanno a che vedere con la fattispecie considerata.

2.4 Per il resto, non risulta la specifica indicazione di un “fatto” omesso, il cui esame avrebbe condotto ad altra decisione, essendosi limitato il ricorrente a dolersi per la trascuratezza del giudice di appello nella valutazione degli elementi probatori, con specifico riguardo agli indici urbanistici della vocazione agricola ed ai criteri di stima del valore venale dell’immobile interessato, nonchè alla comparazione con la stima di altri immobili con caratteristiche similari.

Difatti, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., Sez. 3, 20 agosto 2015, n. 17037; Cass., Sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., Sez. Lav., 25 giugno 2018, n. 16703; Cass., Sez. 5, 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415). Peraltro, si deve trattare di un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche di un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415).

E’, invece, inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai questa Corte procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice.

Laddove, nella specie, la censura è diretta a sollecitare una rivalutazione del merito della lite, assumendosi alla stregua di “fatti decisivi per il giudizio”, di cui sarebbe stato omesso o trascurato l’esame, i parametri determinativi della destinazione urbanistica ed il metodo estimativo dell’area assoggettabile ad I.C.I..

Ma è evidente che l’omissione addebitata al giudice di appello si traduce nell’apprezzamento di caratteristiche tecniche, che esige un riesame del materiale probatorio.

2.5 Si aggiunga, comunque, che la sentenza impugnata ha adeguatamente ed esaustivamente motivato in ordine alle ragioni di dissenso rispetto alle conclusioni delle due perizie di parte, richiamandosi alla prevalenza delle prescrizioni dello strumento urbanistico generale ed all’irrilevanza dell’omessa adozione di strumenti urbanistici attuativi ai fini della qualificazione edificatoria (di una porzione) del terreno (pagina 7).

3. Pertanto, stante l’infondatezza dei motivi addotti, il ricorso deve essere rigettato.

4. Nulla per le spese giudiziali, essendo rimasta intimata la parte vittoriosa.

5. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; dà atto dell’obbligo, a carico del ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

 

 

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