Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29895 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 18/11/2019), n.29895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24183/2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CHERUBINA CIRIELLO, SEBASTIANO CARUSO, ELISABETTA LANZETTA;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLLI ALBANI

170, presso lo studio dell’avvocato MARIANNA CONTALDO, rappresentata

e difesa dall’avvocato IURI CHIRONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 08/04/2014 R.G.N. 290/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SEBASTIANO CARUSO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Lecce, confermando la pronuncia di primo grado del Tribunale della stessa città, ha riconosciuto il diritto di M.L. alle differenze retributive per lo svolgimento, dal 2002, di mansioni da riportare all’Area C posizione 1, in luogo del formale inquadramento in Area B posizione B1 e ciò sul presupposto che le mansioni svolte, come accertate, costituissero cura in autonomia dell’intero processo come richiesto dall’Area superiore.

2. Per la cassazione della sentenza di appello l’INPS ha proposto ricorso per cassazione prospettando un unico motivo di ricorso, resistito con controricorso dalla lavoratrice.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo l’I.N.P.S. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 16 e 24 del c.c.n.l. 1998/2001, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, dissentendo dalle pronunce di Cass. n. 12193 del 2011 e n. 7342 del 2010 e deducendo la non retribuibilità dello svolgimento delle mansioni ulteriori rispetto a quelle immediatamente superiori, svolte in fatto, ancor più quando dette mansioni ulteriori rientrino in un’altra “area” nella vigenza dell’art. 24 del CCNL 1998-2001, con cui deve essere letto congiuntamente del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Nella specie, infatti, alla lavoratrice, appartenente al profilo B1, sono state riconosciute le differenze retributive in relazione allo svolgimento delle mansioni ulteriori C1.

2. Il motivo è infondato, in quanto con giurisprudenza consolidata (Cass., n. 12193 del 2011, n. 18808 del 2013, 24266 del 2016, 2102 del 2019), dalla quale non vi è ragione di discostarsi, non fornendo il ricorrente elementi per mutare orientamento, questa Corte ha affermato che in materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso, in forza del disposto del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 5, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore – e tale diritto non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost..

Pertanto, deve essere disattesa la deduzione del ricorrente che sollecita una interpretazione della disciplina delle mansioni superiori di fatto (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5) che limiti il riconoscimento delle differenze retributive al solo svolgimento delle mansioni immediatamente superiori, facendo riferimento alla relativa nozione introdotta dall’art. 24 del CCNL enti pubblici non economici del 1999.

3. Il ricorso deve essere dunque rigettato e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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