Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29891 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. II, 20/11/2018, (ud. 11/04/2018, dep. 20/11/2018), n.29891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22302/2016 proposto da:

Comune di Frosinone, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Tagliamento n. 76, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe

Naccarato, rappresentato e difeso dall’avvocato Marina Giannetti;

– ricorrente –

contro

USB, ICA SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 763/2016 del Tribunale di Frosinone,

depositata il 28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/04/2018 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dall’opposizione proposta dall’Unione Sindacati di Base – USB nei confronti dell’ingiunzione di pagamento di Euro 533,60 quale sanzione amministrativa ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24,comma 2 e L. n. 689 del 1981, art. 6, in materia di regolamentazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni;

– all’esito del giudizio di primo grado il Giudice di pace di Frosinone accoglieva l’opposizione ritenendo non provata l’imputabilità di USB nè quale trasgressore nè quale obbligato in solido;

– avverso la sentenza di prime cure proponeva appello il Comune di Frosinone ed il Tribunale, quale giudice del gravame, con la sentenza n. 763/2016 depositata il 28/6/2016 rigettava l’appello;

– in particolare, il giudice dell’appello rimarcava l’inammissibilità dell’impugnazione a seguito dell’abrogazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, che prevedeva in deroga all’art. 113 c.p.c., comma 2, l’appellabilità delle sentenze del Giudice di pace in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, per effetto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34;

– nel merito concludeva per l’infondatezza del gravame non essendo stata accertato alcun ulteriore collegamento fra l’appellante e l’attività di affissione, in applicazione dell’orientamento della Suprema corte (Cass. 13770/2009) giacchè l’attività pubblicitaria non era riconducibile all’iniziativa di USB quale committente ovvero autore del messaggio ovvero sulla base di altro rapporto fra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente;

– la cassazione della sentenza d’appello è stata chiesta dal Comune di Frosinone con ricorso notificato il 20/9/2016 ed articolato sulla base di tre motivi;

– non hanno svolto attività difensive le intimate USB ed ICA; considerato che:

– il primo motivo con cui il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 12, per aver erroneamente ritenuto che la sentenza del giudice di pace in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione sia stata pronunciata secondo equità è fondato e, pertanto, errata è la conclusione, peraltro non decisiva, circa l’inappellabilità della sentenza del Giudice di pace di Frosinone n. 1997/2013;

– con riguardo all’opposizione a sanzione amministrativa di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 22, art. 113 c.p.c., non trova comunque applicazione perchè le opposizioni in oggetto non rientrano nella competenza del giudice di pace “ratione valoris” ex art. 7 c.p.c., bensì in quella speciale attribuita ratione materiae” (cfr. Cass. 5297/2005; 2397872007);

– il secondo motivo del ricorso censura la sentenza d’appello per violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6,D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24 e art. 2697 c.c., per avere comunque statuito l’infondatezza dell’appello sulla base della ritenuta mancanza di prova circa l’autore materiale della trasgressione;

– il motivo è infondato, poichè la conclusione cui è pervenuto il giudice di merito non appare affetta da illegittima applicazione dei principi di diritto elaborati in relazione alla L. n. 689 del 1981, art. 6;

– infatti, il presupposto della solidarietà prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 6, è l’accertamento di un collegamento giuridicamente rilevante con l’attività di affissione;

– tale collegamento può derivare dai vari titoli contemplati nei commi 1, 2 e 3 della disposizione (proprietà o altro diritto reale, responsabilità sull’incapace, rappresentato o imprenditore);

– fra questi la giurisprudenza richiamata dal giudice d’appello non contempla la circostanza di fatto del mero giovamento, ritenendo condizione necessaria che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio ovvero proprietario dei manifesti pubblicitari;

– poichè nel caso di specie il giudice d’appello ha ritenuto che nessuna altra prova è stata allegata dal Comune, al di fuori del vantaggio pubblicitario, nè la stessa amministrazione comunale ha dimostrato di aver svolto alcuna indagine per raccogliere elementi indiziari idonei a ricollegare l’affissione dei manifesti ad USB, il tribunale adito ha concluso per l’insussistenza della prospettata solidarietà;

– la pronuncia appare in linea con il principio di diritto affermato nelle sentenze di questa Corte n. 15000/2006 e n. 1040/2012 ove la responsabilità solidale è stata affermata nei confronti del “proprietario dei manifesti e beneficiario della relativa propaganda”, secondo un accertamento che seppure in via presuntiva risulta essere stato svolto; diversamente nel caso di specie il Comune non ha indicato su quale circostanza un simile accertamento dovrebbe fondarsi, finendo così per prospettare una sorta di responsabilità oggettiva nei confronti del beneficiario;

– l’accertamento della qualità di “proprietario” (ai sensi dell’art. 6, comma 1) ovvero di rappresentato o di persona giuridica o di ente “committente” (ai sensi dell’art. 6, comma 3), oltre a quella di beneficiario, giustifica l’imputazione solidale della sanzione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6, comma 1, salva la prova -prevista per il proprietario dell’art. 6, medesimo comma 1 – che la cosa è stata utilizzata contro la volontà del primo;

– il terzo motivo censura la sentenza gravata per violazione dell’art. 13 laddove ha applicato il raddoppio del contributo unificato;

– il motivo è assorbito atteso l’esito sfavorevole della censura precedentemente esaminata che comporta il rigetto del ricorso;

– nulla va disposto sulle spese in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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