Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29890 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 18/11/2019), n.29890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5532-2014 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato NATALE CARBONE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SEBASTIANO BELLINO;

– ricorrente –

contro

ASP n. (OMISSIS) DELLA PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 608/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 29/04/2013 R.G.N. 1203/2011.

Fatto

RITENUTO

CHE:

la Corte d’Appello di Reggio Calabria, riformando la sentenza del Tribunale di Palmi che aveva dichiarato improcedibile il giudizio di primo grado, decideva nel merito l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da P.F. nei confronti della Asl di Palmi (ora Asp n. (OMISSIS) Reggio Calabria) e, accogliendo tale opposizione, revocava il predetto decreto ingiuntivo, sul presupposto che fosse nullo l’incarico di dirigente del settore prevenzione, sulla cui la base la P. rivendicava differenze retributive, in quanto conferito in assenza dei prescritti requisiti di anzianità quinquennale in funzioni dirigenziali;

la Corte territoriale così decideva sul presupposto di un’attestazione in tal senso del Commissario Straordinario e la sentenza è ora raggiunta da ricorso per cassazione della P. sulla base di due motivi, poi illustrati da memoria;

la A.S.L. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

il primo motivo è dedicato dalla P. alla denuncia di omessa valutazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. (OMISSIS)) per non avere la Corte territoriale considerato che già con l’atto di nomina la Asl aveva accertato l’anzianità necessaria al conferimento dell’incarico da cui derivavano le differenze retributive;

la ricorrente segnala poi, nel corpo del medesimo motivo, una serie di circostanze che a suo dire avrebbero comprovato la sussistenza della richiesta anzianità di funzione dirigenziale;

si tratta di motivo infondato;

da un primo punto di vista è infatti evidente come la A.S.L. abbia proceduto al disconoscimento dei diritti retributivi sul presupposto di un nuovo accertamento, da parte del proprio Commissario, dei presupposti già precedentemente ritenuti sussistenti;

ciò rende privo di qualsivoglia decisività (anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) il pregresso accertamento in esito al quale fu attribuita la funzione, in quanto superato da altro e successivo accertamento contrario da parte del medesimo ente, attraverso condotta che quella è propria del contraente cui consti una ragione di nullità (in questo caso parziale) del rapporto tra le parti e si astenga pertanto dal dare ulteriore corso agli effetti non consentiti dal diritto cui risale la disciplina della fattispecie;

non vi è dunque questione di esercizio dei poteri di autotutela della Pubblica Amministrazione, essendosi verificata una invalidità che poteva e doveva, una volta accertata, essere rimossa dal datore di lavoro, pubblico o privato che sia (analogamente, rispetto a casi di migliori trattamenti retributivi, v. Cass. 29 maggio 2018, n. 13479; Cass. 26 febbraio 2016, n. 3826; più in generale, v. Cass. 31 maggio 2017, n. 13800):

quanto poi ai fatti addotti al fine di far risultare l’esistenza dell’anzianità richiesta, consistenti in un riepilogo dettagliato delle attività svolte in servizio dal 11.4.1992 al 27.11.1997, il ricorso non indica dove, come e quando le corrispondenti circostanze fossero state allegate in causa e documentate;

di tali specifiche circostanze non vi è menzione nella sentenza impugnata e dunque nell’addurre il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 era onere della ricorrente specificare, nell’ambito del ricorso per cassazione, in quale contesto processuale esso fosse stato addotto nei gradi di merito e fatto oggetto di discussione processuale tra le parti, anche per ogni apprezzamento rispetto alla tempestività della deduzione (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 80(OMISSIS)3), come nel caso di specie non è avvenuto;

con il secondo motivo la ricorrente afferma, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 18 norma che impone alla P.A. di acquisire d’ufficio “i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi” allorquando in suo possesso, per concluderne che “d’attestazione del possesso dei requisiti in capo alla ricorrente, preordinata al conferimento dell’incarico… rappresentava… elemento probatorio idoneo, in quanto fondata su documentazione in possesso e nelle disponibilità della stessa P.A.”:

al di là della questione sull’applicabilità o meno della L. n. 241 del 1990 rispetto alla gestione del personale, il motivo presenta convergenti elementi di infondatezza e di inammissibilità che non ne consentono l’accoglimento;

l’infondatezza deriva dal fatto che evidentemente l’accertamento svolto in sede di conferimento delle funzioni non poteva essere ostativo alla successiva verifica, effettuata dal Commissario, in ordine all’insussistenza dei presupposti fattuali quali precedentemente ritenuti;

l’inammissibilità va invece ravvisata nel fatto che, ove l’intento della parte fosse quello di affermare che avrebbero dovuto valutarsi gli elementi fattuali quali indicati nel provvedimento di conferimento dell’incarico, il motivo sarebbe da considerare del tutto generico, non essendo stato riportato nel ricorso il testo di quel provvedimento;

mentre già si è detto sull’inammissibilità dei profili fattuali quali indicati nel primo motivo di ricorso;

l’impugnazione va quindi respinta;

nulla va disposto sulle spese, essendo la A.S.L. rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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