Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29887 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 18/11/2019), n.29887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15730-2018 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANT’ANGELA

MERICI 16, (Studio SPIZZICHINO), presso l’avvocato LUIGI FLORIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAN FRANCO

TOPPINO;

– ricorrente –

contro

ASKOLL P. & C. S.R.L., ASKOLL ROMANIA S.R.L., ASKOLL SLOVAKIA

S.R.O., ASKOLL HOLDING S.R.L., in persona dei legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEL BANCO DI

SANTO SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI,

rappresentate e difese dall’avvocato DOMENICO BRANCACCIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1016/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/02/2018, R. G. N. 3/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/07/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI FLORIO;

udito l’Avvocato AUGUSTO D’OTTAVI per delega verbale DOMENICO

BRANCACCIO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Asti depositato in data 27.5.2010, B.F. conveniva in giudizio Askoll P.&C. s.r.l., Askoll Romania s.r.l., Askoll Slovakia S.R.O. e Askoll Holding s.r.l., esponendo di aver lavorato alle dipendenze di Askoll P.&C. s.r.l. in qualità di dirigente dal 1.10.02 al 15.5.09 ma di avere in realtà prestato la propria attività lavorativa non soltanto in favore della predetta società bensì in favore anche di due società estere, Askoll Romania s.r.l. e Askoll Slovakia SRO, controllate da Askoll Holding s.r.l., ricevendo a tale riguardo un rimborso delle spese vive sostenute e non già un compenso; deduceva che tutte le dette società costituivano non soltanto un gruppo societario ma, di fatto, un’unica impresa e pertanto, un centro di imputazione unitario del rapporto di lavoro.

Il ricorrente impugnava il licenziamento per giusta causa irrogatogli da Askoll P.&C. S.r.l. con lettera del 27.5.09, deducendone la nullità in quanto intimato per rappresaglia e la sua illegittimità per ragioni sia formali, quali la tardività della contestazione degli addebiti e la mancata affissione del codice disciplinare, sia sostanziali, consistenti nell’infondatezza dei fatti contestati, invocando la tutela prevista dal CCNL per i dirigenti industriali. Lamentava poi che a seguito al recesso la società non aveva provveduto a versargli la retribuzione del mese di maggio 2009, i ratei di tredicesima, la liquidazione delle ferie non godute e il tfr.

Sulla base di tali premesse B.F. chiedeva: – accertare e dichiarare che le società convenute facevano parte di un gruppo societario che costituiva un unico centro di imputazione del rapporto lavorativo facente capo al ricorrente, con conseguente responsabilità solidale passiva in capo a ciascuna di esse; – accertare e dichiarare che il ricorrente aveva svolto, su ordine di Askoll P.& C. s.r.l., attività di direttore amministrativo in favore di Askoll Romania s.r.l. dal 1.10.04 al 15.5.09 e della Askoll Slovakia SRO dal 1.10.02 al 15.5.09, senza ricevere alcun compenso o remunerazione; – accertare e dichiarare la natura subordinata del rapporto di lavoro tra B.F. e Askoll Romania s.r.l. e Askoll Slovakia SRO nei periodi indicati, con inquadramento nella qualifica dirigenziale, ed il diritto del ricorrente, anche ai sensi dell’art. 36 Cost. e art. 2099 c.c., a percepire un importo di Euro 777.750 o in diversa misura risultante in corso di causa; accertare la nullità, illegittimità e/o ingiustificatezza del licenziamento intimatogli, perchè causato da motivo illecito, ritorsione e/o rappresaglia, in ogni caso perchè non fondato su giusta causa e/o altra ragione giustificatrice; – condannare, in via solidale o alternativa tra loro, le società convenute a corrispondere al ricorrente: – Euro 58.482,72 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso; – Euro 4.332,05 a titolo di ricalcolo del tfr sull’indennità sostitutiva del preavviso; – Euro 160.827,60 a titolo di indennità supplementare ex art. 19 CCNL dirigenti industriali; – Euro 33.143,12 a titolo di retribuzione di maggio 2009, ratei di tredicesima, ferie non godute e tfr; – in totale Euro 777.750, di cui Euro 456.000 per l’attività svolta a favore di Askoll Slovakia SRO ed Euro 321.750 per l’attività svolta in favore di Askoll Romania S.r.l..

Resistevano le varie società, svolgendo la Askoll P.& C. S.r.l. anche domanda riconvenzionale diretta alla condanna del B. al pagamento della somma di Euro 1.166,347 a titolo di risarcimento del danno subito a causa delle condotte contestate al B..

Con sentenza del 14.10.16 il Tribunale adito dichiarava la legittimità del licenziamento intimato; dichiarava B.F. responsabile dei danni conseguenti alle condotte di cui punti 1, 2, 4 e 6 della lettera di contestazione disciplinare del 15.5.09 e, pertanto, lo condannava al risarcimento del danno a favore di Askoll P.&C. s.r.l., nella misura di Euro 1.126.472,32 oltre interessi legali; respingeva le ulteriori domande formulate dalle parti, condannava il ricorrente a rimborsare alle convenute le spese di lite.

Avverso detta sentenza interponeva appello B.F. chiedendone la riforma con l’accoglimento delle domande originariamente assunte. Resistevano le società Askoll.

Con sentenza depositata il 4.6.18, la Corte d’appello di Torino, dopo attenta valutazione delle risultanze istruttorie, rigettava il gravame, condannandolo alle spese di lite nella misura di Euro 25.000.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il B., affidato a sette motivi, poi illustrati con memoria. Resistono le società Askol con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697-2729 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c.; art. 437 c.p.c., oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’individuazione di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, costituito dalle varie società Askoll, censurando la sentenza per il mancato esame delle risultanze ed istanze istruttorie. Lamenta in particolare una mancata valutazione di insieme delle circostanze emerse, in particolare testimoniali, di cui riporta ampi stralci.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094-2099 c.c., unitamente agli artt. 115-116 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare circa la carente motivazione sull’esistenza di un rapporto di lavoro con la Askoll Slovakia e Romania, riportando anche vari elementi istruttori a conforto della tesi.

3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1345 e 1418 c.c., in combinato disposto con l’art. 2729 c.c., oltre ad omessa motivazione (in realtà sussistente ed articolato alle pagg. 22/23 della sentenza impugnata) circa l’esistenza di un motivo illecito e ritorsivo posto alla base del licenziamento.

4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 2697 c.c. oltre ad omessa motivazione (invece ampiamente sussistente, cfr. pagg.23-25 sentenza impugnata) circa la tempestività della contestazione disciplinare.

5.- Col quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 1227,2697,2730,2732 e 2735 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 2179 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 652 c.p.p.. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 4. Omessa motivazione sull’accertamento dei fatti contestati e sulla loro idoneità a fondare una giusta causa di licenziamento; omessa motivazione di circostanze idonee ad escludere la responsabilità del lavoratore, con riferimento in particolare alla valutazione delle giustificazioni fornite in sede di procedimento disciplinare (di cui lamenta l’esiguità del tempo avuto a disposizione per essere la contestazione giuntagli di venerdì) ed altri elementi e circostanze fattuali (comprese le deposizioni testimoniali). Pur non contestando poi che la sentenza di assoluzione in sede penale ex art. 530 c.p.p. non poteva far stato nel procedimento civile, lamenta che la sentenza impugnata avrebbe dovuto ritenere illegittimo il licenziamento basato sui medesimi fatti.

6.- Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/ o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1218,1223,1225,1227 e 2104 c.c. nonchè con l’art. 115 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo circa l’assenza di prove a base dell’accertamento della responsabilità per danni del ricorrente. Anche in tal caso il B. contesta la valutazione delle prove da parte del giudice di appello ed in sostanza l’accertamento di fatto da esso compiuto.

7.- Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1, lamentando il mancato accoglimento delle istanze di interrogatorio dei legali rappresentanti; di confronti tra taluni testi; di ammissione di ulteriori capitoli di prova.

8.- Il ricorso è nella sostanza inammissibile.

Precisato che i primi due motivi sono chiaramente subordinati rispetto all’accertamento della legittimità del licenziamento, deve rilevarsi che i restanti (a parziale eccezione del quinto), ancorchè denunciando formalmente anche violazioni di norme di diritto, si risolvono in una richiesta di rivalutazione e rivisitazione delle emergenze ed istanze istruttorie, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata particolarmente ampia ed esauriente, oltre che logica ed inerente a tutti i profili oggi denunciati.

Deve infatti osservarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394.

Deve poi considerarsi (cfr. di recente Cass. n. 13798/17, Cass. n. 21455/17) che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicchè quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge uno o più fatti ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio di motivazione pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di fatti storici decisivi, in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Deve infatti rimarcarsi che “..Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) introduce nell’ordinamento un nuovo e diverso vizio specifico (non essendo più consentita la censura di insufficiente o contraddittoria motivazione, cfr. Cass. sez. un. 14477/15) che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. n. 13798/17, etc.).

Il presente ricorso non rispetta il dettato di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5, limitandosi in sostanza a richiedere un inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito alla luce delle risultanze istruttorie.

Deve poi evidentemente evidenziarsi che le varie censure inerenti la motivazione della sentenza impugnata sono inammissibili in base al principio della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter c.p.c..

Va poi ricordato che in tema di accertamento dei fatti allegati dalle parti, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche nel testo previgente la novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, non possono riguardare apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, poichè, a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita davanti alla S.C., neanche quando il giudice di merito abbia posto alla base del suo apprezzamento massime di esperienza, potendosi in tal caso esercitare il sindacato di legittimità solo qualora il ricorrente abbia evidenziato l’uso di massime di esperienza inesistenti o la violazione di regole inferenziali (Cass. n. 18665/17).

Quanto alla dedotta erronea valutazione della sentenza di assoluzione in sede penale ex art. 530 c.p.p., che pur non può far stato nel procedimento civile, il ricorrente lamenta (col quinto motivo) che la sentenza impugnata avrebbe dovuto ritenere illegittimo il licenziamento basato sui medesimi fatti.

La tesi è infondata, avendo più volte questa Corte rammentato che (cfr. ex aliis, Cass. n. 8303/2015, Cass. n. 3713/09, Cass. n. 9235/06, Cass. n. 19559/06) in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile – come disciplinato dal vigente codice di procedura penale del 1988 (ai sensi degli artt. 652 e 654), a differenza di quello previgente (art. 25) – l’azione civile per danni o il licenziamento per gli identici fatti oggetto di indagine in sede penale, sono preclusi dal giudicato penale, laddove si controverta intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende dai medesimi fatti accertati in sede penale, ciò tuttavia vale alla condizione che in sede penale vi sia stato un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato.

Questa Corte ha infatti sul punto costantemente affermato che ai sensi dell’art. 652 c.p.p. (nell’ambito del giudizio civile di danni) e dell’art. 654 c.p.p. (nell’ambito di altri giudizi civili), il giudicato di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo ove contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato e non anche nell’ipotesi in cui l’assoluzione sia determinata dall’accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2, come nel caso oggi in esame, essendo in tale ipotesi necessario procedere ad un autonomo accertamento dei fatti (Cass. n. 3376/2011, Cass. ord. n. 25538/13, Cass. n. 2851/06). In tale ultima pronuncia (sul punto si veda altresì Cass. n. 15353/2012), si è chiarito che anche in caso di intervenuta costituzione di parte civile, l’efficacia vincolante della sentenza penale nel processo civile riguarda esclusivamente l’accertamento (positivo o negativo) in ordine ai fatti oggetto di quel giudizio, con la conseguenza che, una volta che il suddetto accertamento non si sia reso possibile per insufficienza probatoria (ex art. 530 c.p.p., come nella specie), la sentenza penale di assoluzione derivante da dubbio sulla sussistenza di uno degli elementi (materiale o psicologico) integratori del fatto, non è vincolante. Tale principio è stato ribadito da Cass. n. 10856/12.

Il Collegio intende ribadire il consolidato orientamento di legittimità sul punto.

Il ricorso deve dunque rigettarsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 18.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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