Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29886 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 30/12/2020), n.29886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14174-2016 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE REGINA

MARGHERITA, 262, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MARSICO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA STASI;

– ricorrente –

E contro

EQUITALIA SUD SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3593/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 15/04/2016;

udita la relazione della Causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. DARIO CAVALLARI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.C. ha proposto ricorso contro la cartella di pagamento n. (OMISSIS), con la quale Equitalia sud spa ha chiesto il pagamento di Euro 3.252,12, a titolo di ICI, sanzioni ed interessi.

La CTP di Avellino, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 496/01/14, ha respinto il ricorso.

B.C. ha proposto appello che la CTR di Napoli, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3593/39/16, ha respinto.

B.C. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.

Controparte non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione della competenza territoriale della commissione tributaria regionale e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 4, in quanto la sentenza di appello era stata emessa dalla Commissione tributaria regionale di Napoli, nonostante l’impugnazione fosse stata proposta davanti alla Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione distaccata di Salerno.

In questo modo, sarebbe stato violato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 4, che disciplinava la competenza territoriale delle Commissioni tributarie ed individuava il giudice naturale precostituito per legge.

La doglianza è infondata.

I criteri di competenza, al pari di quelli di giurisdizione, devono rispettare il principio del giudice naturale precostituito per legge, di cui all’art. 25 Cost., comma 1.

L’esigenza fondamentale della predeterminazione del giudice è altresì contenuta nell’art. 6 CEDU e nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

La normativa interna di rilievo è la seguente.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, dispone che “La giurisdizione tributaria è esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e dal commissioni tributarie regionali di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, art. 1”.

Il medesimo D.Lgs., successivo art. 4, precisa, per quanto qui rileva, che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 53, che hanno sede nella loro circoscrizione. Le commissioni tributarie regionali sono competenti, invece, per le impugnazioni avverso le decisioni delle commissioni tributarie provinciali, che hanno sede nella loro circoscrizione.

Il D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 1, comma 1-bis, inserito dalla L. n. 28 del 1999, art. 35, comma 1, prescrive che “Nei comuni sedi di corte di appello, o di sezioni staccate di corte di appello ovvero di sezioni staccate di tribunali amministrativi regionali o comunque capoluoghi di provincia con oltre 120.000 abitanti alla data di entrata in vigore della presente disposizione distanti non meno di 100 chilometri dal comune capoluogo di regione, saranno istituite sezioni staccate delle commissioni tributarie regionali nei limiti numerici dei contingenti di personale già impiegato negli uffici di segreteria delle commissioni tributarie, senza incrementare il numero complessivo dei componenti delle medesime commissioni, con corrispondente adeguamento delle sedi delle sezioni esistenti e conseguente riduzione delle relative spese. L’istituzione delle sezioni staccate non deve comunque comportare maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato”.

Le sezioni staccate delle commissioni tributarie regionali sono state istituite con D.M. n. Ministero delle Finanze 6 giugno 2000.

Il D.M., art. 1, da ultimo menzionato prevede che le commissioni tributarie regionali operano anche con sezioni da ubicarsi nei comuni rispettivamente sedi di corte di appello o di sezione staccata di corte di appello ovvero di sezione staccata di tribunale amministrativo regionale nonchè capoluoghi di provincia con oltre 120.000 abitanti, distanti non meno di 100 chilometri dal comune capoluogo di regione e negli ambiti territoriali a fianco di ciascuna sezione indicati.

In base, poi, all’art. 2, le sezioni di cui all’art. 1 non incidono sulla complessiva composizione numerica stabilita, per ciascuno degli organi di giustizia tributaria, dalla tabella A allegata al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, e costituiscono, pertanto, mera articolazione interna degli stessi. Alla determinazione dei criteri e delle modalità di funzionamento della sezione provvede, nell’ambito della propria competenza, il presidente della commissione tributaria regionale.

L’art. 3, infine, precisa che le sezioni staccate delle commissioni tributarie regionali, istituite secondo i criteri di cui all’art. 1, sono riportate nell’allegato 1 che costituisce parte integrante del presente decreto. Dette sezioni operano nell’ambito territoriale e con il numero delle sezioni a fianco di ciascuna indicate.

Nel menzionato allegato 1 è scritto, per ciò che qui rileva, che “La commissione tributaria regionale della Campania, con sede in Napoli, opera anche nella sede di Salerno con cinque sezioni (nell’ambito territoriale di Salerno ed, Avellino)”.

Dalle disposizioni sopramenzionate si evince che, con riguardo ai rapporti tra sede centrale e sezioni staccate delle Commissioni Tributarie Regionali, è la Commissione Tributaria Regionale, non la sezione staccata della stessa, il giudice precostituito per legge a trattare gli appelli avverso le pronunce emesse dalle Commissioni Tributarie Provinciali di una regione. Non rileva, quindi, ai fini della definizione del giudice naturale ex art. 25 Cost., comma 1, che la sezione staccata, “per criteri interni di riparto”, operi in un determinato ambito territoriale.

Infatti, le Commissioni Tributarie Regionali costituiscono uffici giudiziari unitari, mentre le sezioni staccate operano quali mer articolazioni interne e, dunque, il rapporto tra sede e sezione staccata non è di vera e propria competenza e lo spostamento (contestato nella specie), con criteri oggettivi, di una generalità di fascicoli dalla sezione staccata alla sede o viceversa non determina alcuna lesione al principio del giudice naturale previsto dall’art. 25 Cost., nemmeno se disposta con riferimento a controversie già iscritte a ruolo.

D’altronde, la L. n. 28 del 1999, art. 35, comma 1, nell’inserire il D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 1, comma 1 bis, ha previsto l’istituzione delle sezioni staccate delle commissioni tributarie regionali senza stabilire una specifica circoscrizione territoriale per le stesse, mentre il D.M. 6 giugno 2000, istitutivo delle sezioni staccate, ha espressamente sancito che dette sezioni costituiscono mera articolazione interna degli organi di giustizia tributaria.

Lo stesso elenco allegato al decreto ha indicato che la CTR Campania, con sede in Napoli, “opera anche nella sede” di Salerno, il che evidenzia come le sezioni staccate siano mere articolazioni della commissione tributaria regionale, nella circoscrizione della quale operano in determinati ambiti territoriali.

A sostegno di questa ricostruzione può citarsi, in primo luogo, la risoluzione n. 9 del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, adottata nella seduta del 1 dicembre 2015, la quale ha rilevato, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione consolidata nell’ambito della giurisdizione ordinaria (è citata Cass., Sez. 2, n. – 21557 del 13 ottobre 2014), che la ripartizione delle cause tra la sede centrale di un ufficio giudiziario e le sezioni distaccate dello stesso attiene unicamente alla ridistribuzione degli affari tra le articolazioni appartenenti ad un ufficio da considerare unico a tutti gli effetti, non determinandosi alcuna peculiare competenza territoriale tra la sezione distaccata rispetto alla sezione centrale, ben potendo il Presidente della Commissione Tributaria Regionale stabilire che, ove si verifichino carenze di organico e difficoltà di smaltimento degli affari assegnati alle sezioni distaccate, la migliore soluzione possibile tra la riassegnazione di parte degli affari alla sede centrale e viceversa ovvero l’utilizzo della applicazione temporanea e turnaria dei giudici presso le sedi decentrate, previo il necessario interpello.

Nella stessa ottica, va considerata la giurisprudenza costituzionale, contabile, amministrativa ed ordinaria.

In primo luogo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 30 del 2011, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 453 del 1993, art. 1, comma 7, terzo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 69 del 2009, art. 42, comma 2, nella parte in cui attribuisce al presidente della Corte dei conti il potere di deferimento di questioni di massima in relazione a giudizi pendenti innanzi a sezioni giurisdizionali di primo grado, sollevata in riferimento agli artt. 24,25 e 11 Cost..

Il giudice delle leggi ha evidenziato come il principio di precostituzione del giudice tutela nel cittadino il diritto a una previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere o, ancora più nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio di precostituzione del giudice naturale non può operare nella ripartizione, tra sezioni interne, dei compiti e delle attribuzioni spettanti ad un determinato ordine giurisdizionale.

La Suprema Corte di cassazione, sul punto, ha rappresentato che la ripartizione degli affari tra la sede centrale del tribunale e le sezioni distaccate ha carattere interno e non può mai dare luogo a questioni di competenza territoriale (la già menzionata Cass., Sez. 2, n. 21557 del 13 ottobre 2014).

Di recente, poi, Cass., Sez. 5, n. 14995 del 15 luglio 2020 ha affermato che “Le sezioni staccate delle CTR – istituite ai sensi del D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 1, comma I bis, aggiunto dalla L. n. 28 del 1999, art. 35 – costituiscono “mera articolazione interna” delle Commissioni, irrilevante ai fini della competenza territoriale e della validità degli atti processuali, al pari delle sezioni distaccate di cui allo stesso articolo, comma 1, ciò desumendosi, in via di interpretazione sistematica, da quanto per queste ultime ivi espressamente disposto e dall’identica natura da esse condivisa”.

I giudici amministrativi hanno parimenti messo in rilievo che la ripartizione delle competenze tra sede centrale e sezione staccata di Tribunale amministrativo ha valore di pura specificazione organizzativa che attiene alla sola distribuzione interna della competenza generale, per cui l’inosservanza delle regole di ripartizione… lungi dall’incidere sul principio costituzionale del giudice naturale, si risolve in una mera irregolarità (Cons. Stato, Sez. V, n. 6771 del 30 ottobre 2003, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, n. 1101 dell’8 ottobre 1996).

Ciò anche perchè, nell’ambito della giustizia amministrativa, l’art. 47 c.p.a. (in sostanziale continuità con la legge istitutiva del TAR n. 1034 del 1971, art. 32) ha ribadito che il riparto di attribuzione tra Tribunale capoluogo e sezione staccata, rapporto che riflette evidentemente quello tra commissione tributaria regionale e sezione staccata, non costituisce una questione di competenza in senso proprio, ma ha valore di pura specificazione organizzativa che attiene alla sola distribuzione interna della competenza generale.

Infatti, l’art. 47 c.p.a. ha sancito che, al di fuori dei casi di cui all’art. 14 (competenza funzionale inderogabile), non è considerata questione di competenza la ripartizione delle controversie tra tribunale amministrativo regionale con sede nel capoluogo e sezione staccata.

Di recente, ad identiche conclusioni è giunta la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1822 del 13 marzo 2020, che ha affermato come, in casi del genere, nessuna violazione del principio del giudice naturale fosse ravvisabile, atteso che, come sottolineato, il rapporto tra commissione tributaria regionale e sezione staccata della stessa non si traduce in una questione di competenza, ma concerne la ripartizione degli affari all’interno dello stesso ufficio, in relazione alla quale il presidente della commissione tributaria regionale svolge le funzioni attribuitegli dal D.M. 6 giugno 2000, art. 2, comma 2.

In particolare, questa sentenza ha escluso non solo un vulnus al principio del giudice naturale preindividuato e, quindi, al diritto di difesa, ma ha pure affermato che il presidente della CTR potrebbe individuare un diverso giudice in relazione, altresì, ai procedimenti giudiziari già in corso, purchè il criterio di riassegnazione stabilito sia oggettivo e preveda il trasferimento degli affari per fattispecie generalizzate, laddove solo un trasferimento particolare e non generale, ovvero non caratterizzato da criteri oggettivi e non giustificato da altre circostanze apprezzabili per la loro neutralità, potrebbe eventualmente costituire un vizio di legittimità dell’azione amministrativa, per la sua potenziale lesività al canone di imparzialità.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.Lgs. 546, 31 dicembre 1992, art. 22, commi 1 e 4, poichè la CTR avrebbe errato nel non rilevare che, nonostante fosse stata legalmente notificata la cartella di pagamento, in presenza di una contestazione del contribuente di averla materialmente ricevuta spettava alla P.A. dimostrarne il contenuto, in particolare l’esistenza di una motivazione adeguata e l’indicazione del nome del responsabile del procedimento.

La doglianza va respinta.

Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità’, in tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova (Cass., Sez. 5, n. 16528 del 22 giugno 2018).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, perchè la CTR avrebbe errato nell’affermare che l’eccezione di nullità della cartella di pagamento perchè non preceduta dall’avviso di accertamento non era stata sollevata in primo grado.

Con il quarto motivo il contribuente contesta la violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, in quanto il giudice di appello avrebbe ritenuto applicabile, nella specie, una procedura non prevista dall’ordinamento, avendo affermato che l’avviso di accertamento sarebbe stato obbligatorio solo nel caso di variazione dei dati.

Le due doglianze, stante la stretta connessione, possono essere trattate congiuntamente e vanno accolte.

Infatti, per ciò che concerne il terzo motivo, dalla lettura del ricorso di primo grado, consentita dalla natura del vizio contestato, emerge che la menzionata eccezione di nullità era stata tempestivamente proposta.

Inoltre, quanto al quarto motivo, si osserva che la CTR ha omesso di chiarire sulla base di quali elementi di fatto ha ritenuto non necessaria la notifica dell’avviso in esame.

4. Con il quinto motivo B.C. sostiene la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, atteso che la CTR non avrebbe accertato che, non essendo stato notificato un avviso di accertamento, la cartella di pagamento era nulla.

Con il sesto motivo la parte privata si duole della violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, visto che il giudice del merito non aveva considerato che, non essendo stato depositato l’avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria era decaduta dalla propria potestà impositiva.

Il quinto ed il sesto motivo non devono essere esaminati, alla luce dell’accoglimento del terzo e del quarto.

5. Il ricorso è, pertanto, accolto, limitatamente al terzo ed al quarto motivo.

La decisione impugnata è cassata con rinvio alla CTR Campania, in diversa composizione, che provvederà a decidere la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.

In particolare, essa dovrà esaminare l’eccezione di nullità della cartella di pagamento perchè non preceduta dall’avviso di accertamento e verificare in concreto se ricorrano e siano stati rispettati i presupposti di legge della notifica del menzionato avviso, indicando specificamente, ove dovesse ritenere non necessaria detta notifica, le ragioni del suo convincimento.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso, limitatamente al terzo e quarto motivo, respinti il primo ed il secondo ed assorbiti il quinto ed il sesto;

– cassa con rinvio alla CTR Campania, in diversa composizione, che deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di lite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5 Sezione Civile, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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