Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29886 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. II, 29/12/2011, (ud. 30/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.I.G. (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentato e difeso dall’Avv. Parise Walter, in virtù di procura

speciale a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’Avv. Bugnano Franco, in Roma, alla v. Palestro, n. 64;

– ricorrente –

contro

BA.An.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catanzaro

n. 518 del 2009, depositata il 30 giugno 2009 (e notificata il 2

marzo 2010);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 30

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

A seguito di ricorso depositato il 20 ottobre 1998 presso la cancelleria del Tribunale di Crotone la sig.ra Ba.An. chiedeva la tutela possessoria del suo immobile sito in (OMISSIS) nei confronti di B.I.G. in relazione all’aggravamento delle condizioni del terreno per lo scorrimento dell’acqua, al pericolo per il muro di contenimento e al disagio causato da abbondanti precipitazioni. Nella costituzione del convenuto, in seguito all’esperimento della fase istruttoria, la Sezione stralcio del Tribunale adito, in persona del designato G.O.A., con sentenza n. 49 del 2003, accoglieva per quanto di ragione la proposta domanda possessoria, ordinando al convenuto di eliminare la turbativa in atto secondo quanto disposto dal c.t.u. mediante il prolungamento delle canalette e compensava per metà le spese giudiziali.

Interposto appello da parte del B., nella resistenza della Ba., la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 518 del 2009 (depositata il 30 giugno 2009), rigettava il gravame, confermando l’impugnata sentenza e condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

Con ricorso (notificato il 16 marzo 2010 e depositato il 26 marzo successivo) B.I.G. ha impugnato per cassazione la suddetta sentenza della Corte di appello di Catanzaro (notificatagli il 2 marzo 2010), formulando quattro complessi motivi, avverso il quale l’intimata Ba.An. non ha svolto attività difensiva.

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 1362 c.c. (intenzione dei contraenti) e l’erronea interpretazione di clausole contrattuali, indicando in proposito il seguente quesito: “il contratto, anche se scrittura privata, secondo i canoni dettati dall’art. 1362 c.c. va interpretato seguendo la comune intenzione delle parti e, anche quando la stessa si desume in maniera palese come nel caso de quo, può il giudice dare un’interpretazione diversa?”.

Con il secondo motivo il B. ha prospettato la violazione dell’art. 1170 c.c. per erronea interpretazione del concetto di molestia, riportando a corredo dello stesso il seguente quesito: “si può configurare il concetto di molestia con un astratto concetto di disturbo, senza che in concreto venga provato che il comportamento dell’autore abbia un congruo ed apprezzabile contenuto di disturbo e che tale comportamento renda gravoso e difficoltoso la posizione del possessore?”.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la duplice violazione del principio sancito dall’art. 115 c.p.c. (disponibilità delle prove) e del principio previsto dall’art. 116 c.p.c. (valutazione delle prove). In particolare, con riguardo alla prima supposta violazione, ha indicato il seguente quesito di diritto: “ritenuto che il procedimento possessorio, nella successiva fase di merito è un procedimento ordinario di cognizione, con riguardo alle prove vige il principio sancito dall’art. 115 c.p.c. (disponibilità delle prove), può il giudice non tener conto delle prove richieste dalle parti, anzi addirittura può ritenere prova una semplice ipotesi avanzata dal c.t.u. non suffragata da prova e attribuire un diritto escluso dalla prova stessa (contratto)? Può il giudice emanare una sentenza in violazione del principio sancito dall’art. 115 c.p.c.?”. Con riferimento alla seconda prospettata violazione il B. ha inteso individuare il seguente quesito di diritto: “può il giudice, in violazione dell’art. 116 c.p.c., arbitrariamente ritenere prova una semplice affermazione del c.t.u. non suffragata da prova documentale e non menzionata nell’unica prova documentale rappresentata dal contratto-scrittura privata?”.

Con il quarto motivo il B. ha censurato la sentenza impugnata per asserita violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, (condanna alle spese per singoli atti, compensazione delle spese), prospettando il seguente quesito di diritto: “in caso di soccombenza di entrambe le parti vale il principio sancito dall’art. 92 c.p.c., comma 2, della compensazione delle spese?”.

Ritiene il collegio che sussistono, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti i motivi proposti, per inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata l’11 marzo 2009: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), deve escludersi che la ricorrente si sia attenuta alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo implicante la deduzione della supposta violazione dell’art. 1362 c.c., il ricorrente, dopo aver sviluppato la doglianza con riferimento alle emergenze della scrittura privata intercorsa tra le parti in virtù della quale – secondo la sua prospettazione – non era stata prevista una servitù di stillicidio, ha concluso lo svolgimento del motivo con l’indicazione di un quesito assolutamente generico (ponente riferimento all’erronea interpretazione della volontà contrattuale delle parti), la cui formulazione non risulta certamente idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009);

– con riguardo al secondo motivo, riferito ad un’assunta violazione dell’art. 1170 c.c. in ordine all’interpretazione del concetto di molestia, il quesito indicato difetta di specificità perchè non si prospetta riferibile alla molestia concretamente valutata dalla Corte territoriale e, quindi, non appare idoneo ad evidenziare, in modo conferente, il presumibile errore ricavabile dalla sentenza impugnata in relazione alla particolare fattispecie dedotta in giudizio;

– con riferimento al terzo motivo implicante, complessivamente, la deduzione della supposta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente, dopo aver sviluppato la doglianza in ordine alle risultanze istruttorie a suo avviso da ritenersi più importanti, ha concluso lo svolgimento del motivo con l’indicazione di un doppio quesito assolutamente generico (ponente riferimento all’omessa valutazione delle prove offerte non correttamente valutate, con specifico riferimento alla mancata considerazione delle risultanze della convenzione intercorsa tra le parti e alla sola valorizzazione della c.t.u), la cui formulazione non risulta certamente idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia, risolvendosi, peraltro, la complessa doglianza, sul piano effettivo, nell’allegazione di un vizio di motivazione (per il quale, oltretutto, non risulta riportata la necessaria sintesi della insufficienza motivazionale e non emerge l’enucleazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio) teso a sollecitare nella presente sede di legittimità la rivisitazione delle risultanze istruttorie, come tale inammissibile, essendo demandata la funzione valutativa e selettiva delle prove al giudice del merito;

– con riguardo al quarto ed ultimo motivo (come precedentemente riportato), il B. ha indicato una quesito assolutamente generico sui presupposti per pervenire alla compensazione delle spese del giudizio, senza porre alcuno specifico riferimento, in modo strutturalmente e funzionalmente autonomo, ai concreti motivi che avrebbero dovuto giustificare la compensazione stessa e, quindi, tali da evidenziare l’errore di diritto imputabile alla Corte territoriale nella sentenza impugnata.

In definitiva, per le esposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza doversi far luogo ad alcuna pronuncia delle spese del presente giudizio poichè l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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