Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29884 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. III, 29/12/2011, (ud. 18/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona degli Avvocati

F.M. e M.M., INA ASSITALIA S.P.A.

(OMISSIS) in persona del procuratore speciale avv. M.

M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI

15, presso lo studio dell’avvocato SCOZZAFAVA OBERDAN TOMMASO, che li

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

P.C.;

– intimato –

sul ricorso 6025-2007 proposto da:

P.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 13, presso lo studio dell’avvocato

VALENTINI ANTONELLA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VIOLA GIUSEPPE giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., INA ASSITALIA S.P.A. in persona dei

legali rappresentanti, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

MARCELLO PRESTINARI 15, presso lo studio dell’avvocato SCOZZAFAVA

OBERDAN TOMMASO, che le rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 419/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/2006 R.G.N. 4342/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato PATRIZIA MARINO per delega;

udito l’Avvocato ANTONELLA VALENTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario che ha concluso con il rigetto del ricorso principale,

accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Roma, riformando la prima sentenza, ha condannato le Ass.ni Generali spa a pagare al P. l’indennizzo previsto dalla convenzione assicurativa per il rischio consistente nella cessazione del rapporto di lavoro con la Banca d’Italia a causa di totale inabilità sopravvenuta.

Il ricorso per cassazione di Assicurazioni Generali spa e di INA Assitalia spa è svolto in otto motivi. Risponde con controricorso il P., il quale propone ricorso incidentale attraverso un solo motivo. Le società ricorrenti hanno depositato memoria per l’udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi devono essere riuniti, siccome proposti contro la medesima sentenza.

IL RICORSO DELLE COMPAGNIE ASSICURATRICI. 1) La sentenza così espone lo svolgimento del processo: nel corso del giudizio d’appello, all’udienza del 14.2.2002, la causa fu dichiarata interrotta a seguito dell’intervenuta incorporazione di INA spa da parte di Ass.ni Generali spa; il P. riassunse il processo mediante ricorso depositato il 5.4.2002, erroneamente notificato all’INA presso i procuratori costituiti nel giudizio interrotto;

all’udienza del 26.9.2002 si costituì INA VITA spa (successore a titolo particolare di INA spa) per eccepire la nullità dell’atto di riassunzione e chiedere la dichiarazione di estinzione del giudizio;

il 28.9.2002 il P. depositò nuovo ricorso in riassunzione notificato ad Ass.ni Generali ed INA VITA; Ass.ni Generali si costituì per eccepire la nullità della riassunzione e chiedere la dichiarazione d’estinzione del giudizio.

Nelle conclusioni d’appello ambedue le società hanno sollevato l’eccezione d’estinzione, respinta dalla sentenza impugnata. Le ricorrenti criticano questo punto della sentenza, sostenendo che il ricorso in riassunzione depositato dal P. in data 28.9.2002 non era idoneo a dare impulso al giudizio, in quanto: in primo luogo, la proposizione del primo ricorso in riassunzione aveva prodotto la “consumazione in capo al P. del potere di dare impulso alla prosecuzione del processo” (cfr, pag. 16 del ricorso); in secondo luogo, il deposito del secondo ricorso era intervenuto quando il processo era ormai estinto e l’estinzione era stata ritualmente eccepita dall’INA VITA spa all’udienza del 26.9.2002. Il motivo è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno spiegato come, in presenza di un meccanismo di riattivazione del rapporto processuale interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata editio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio indicato dall’art. 305 c.p.c. sia riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento e recuperato così il contatto tra la parte interessata ed il giudice, quel termine non può più giocare alcun ruolo. La fissazione successiva ad opera del medesimo giudice di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, presuppone che quell’altro precedente termine sia stato rispettato, ma ormai ne prescinde e risponde invece unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius, ivi compresa quella – espressamente menzionata dal citato art. 303 c.p.c., u.c. – secondo la quale la parte cui l’atto sia stato notificato e che non si sia costituita deve esser dichiarata contumace.

Ed è appunto alle disposizioni dettate dall’art. 291 c.p.c., implicitamente così richiamate, che occorre far riferimento per individuare la disciplina applicabile in caso di nullità della notifica dell’atto di riassunzione; donde la conseguenza che, in simili casi, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica medesima entro un termine perentorio (e che tale è perchè così espressamente lo definisce il citato art. 291 c.p.c., comma 1), solo il mancato rispetto del quale determinerà poi l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291 c.p.c., u.c., e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3 (Cass. S.U. n. 14854/06, con espresso riferimento a S.U. n. 14085/05).

Correttamente, dunque, la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione di estinzione del processo sul rilievo che, dichiarata l’interruzione all’udienza del 14.2.2002, il nuovo ricorso, depositato dal P. il 28.9.2002 e ritualmente notificato su autorizzazione del C.I., deve ritenersi tempestivo, siccome intervenuto (tenuto conto della sospensione feriale dei termini) prima della scadenza dei sei mesi.

Diversamente, la tesi delle ricorrenti è errata, sia in quanto invoca l’inesistente principio della “consumazione del potere di dare impulso alla prosecuzione del processo” (in una sorta di insostenibile analogia con il principio della consumazione del potere d’impugnazione), sia in quanto afferma che alla data di deposito del secondo ricorso in riassunzione (28.9.2002) il giudizio era ormai estinto.

2) I motivi dal secondo all’ottavo criticano la sentenza per vizio della motivazione, violazione dei canoni ermeneutici e violazione di legge in ordine ai seguenti punti: sulla copertura dello stato di invalidità permanente e totale del P., in quanto derivante da inabilità risultante da patologia non connessa alla malattia pregressa all’atto dell’iscrizione dell’assicurazione ed accertata dal competente organo pubblico (2 motivo); sulla violazione del principio di autonomia contrattuale per quanto ritenuto dal giudice in ordine al contenuto che le parti avrebbero dovuto prevedere in convenzione nel caso avessero realmente voluto escludere l’operatività della polizza in tutti i casi di invalidità derivanti da malattie pregresse, a prescindere dal nesso di causalità con quelle successive (3 motivo); sull’interpretazione della convenzione nel senso di riconoscere il diritto dell’assicurato all’indennità anche in caso di malattia pregressa, in assenza di nesso causale tra le due patologie, di cui una precedente ed altra successiva alla sottoscrizione della polizza (4 motivo); sulla inidoneità del P. alla prosecuzione del rapporto di lavoro come conseguenza di un aggravamento di una patologia preesistente alla sottoscrizione della polizza (5 motivo); sulla dichiarata erroneità ed irrilevanza della CTU disposta in primo grado in ordine allo stato di invalidità permanente e totale dell’assicurato (6 motivo); sulla mancata valutazione di tutte le risultanze documentali (7 motivo);

sulla violazione dei principi attinenti alle prove nella dichiarazione di irrilevanza attribuita alla CTU (8 motivo).

I motivi, come sopra sintetizzati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

Sono inammissibili laddove (per la maggior parte) chiedono alla Corte di legittimità un nuovo e differente esame del merito della controversia, attraverso la prospettazione di questioni di fatto, di divergenti ipotesi interpretative degli atti e della convenzione, di possibili, alternative valutazioni degli elementi probatori emersi.

Sono infondati in quanto non è dato riscontrare nel percorso logico giuridico seguito dal giudice nè violazioni di legge o di canoni interpretativi, nè omissioni, contraddizioni o insufficienze della motivazione.

Piuttosto, questa appare puntuale, logica e congrua nello sciogliere il nodo centrale della controversia, consistente nello stabilire se la convenzione di assicurazione collettiva (stipulata dalla Banca d’Italia nell’interesse e su mandato di numerosi dipendenti) escluda o meno la copertura assicurativa nel caso di invalidità causate da altre patologie, non derivanti da quelle precedentemente accertate, che abbiano provocato l’inidoneità allo specifico lavoro svolto dall’assicurato.

Per fornire risposta alla questione il giudice ha, dunque, risolto un primo problema: l’irrilevanza della CTU espletata in primo grado (secondo cui il P. non era inabile in via assoluta e permanente quando la Banca d’Italia lo dichiarò cessato dal lavoro) sul rilievo che la convenzione non richiedeva un’invalidità totale, bensì una patologia tale da non consentire la prosecuzione di un idoneo svolgimento delle mansioni lavorative (e, di fatto, per questa ragione l’assicurato fu dichiarato cessato dal servizio). A questo punto il giudice ha interpretato la convenzione, nel senso che essa non esclude la copertura assicurativa nel caso di invalidità causate da altre patologie non derivanti da quelle precedentemente accertate che abbiano provocato l’inidoneità, per poi passare ad accertare se le infermità sopravvenute alla sottoscrizione della polizza abbiano determinato l’inabilità in maniera autonoma o siano state conseguenza dell’aggravamento di una patologia preesistente, accertata ufficialmente sin dal 1977. Attraverso la lettura della CTU e della produzione documentale in atti il giudice (mediante un ragionamento che qui non è neppure il caso di ripetere) è pervenuto alla conclusione che le patologie intervenute dopo la stipula del contratto assicurativo “da sole” determinarono l’invalidità che rese il P. inidoneo al lavoro.

Come si diceva in precedenza, il rispetto dei canoni ermeneutici legali, la congruità e la logicità della motivazione, l’assenza di errori giuridici rendono la sentenza immune da censure di legittimità e comportano il rigetto del ricorso delle compagnie.

IL RICORSO INCIDENTALE DEL P..

L’unico motivo del ricorso incidentale critica la sentenza nel punto in cui ha negato all’assicurato la rivalutazione del debito indennitario, considerato “di valuta” siccome predeterminato in polizza nella misura di tre annualità dello stipendio percepito al momento della cessazione del rapporto lavorativo.

Sostiene, invece, il ricorrente che quello del quale si discute consisterebbe in un debito “di valore”, avente funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato e, dunque, suscettibile di adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria, poichè convenzionalmente contenuto nei limiti predetti, in modo da configurare un massimale di polizza.

Richiama a fondamento del motivo, la più recente giurisprudenza secondo la quale il debito di indennizzo dell’assicuratore, ancorchè venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell’assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria (Cass. n. 395/07).

Il ricorso incidentale, così come proposto, è tuttavia inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare, riproducendo la clausola contrattuale, che effettivamente non si trattasse di una somma massima predeterminata – commisurata appunto alle tre annualità di stipendio riconosciute dal giudice di merito – ma di un limite massimo fissato convenzionalmente quale debito dell’assicuratore, alla stregua della giurisprudenza richiamata. In mancanza, è da ritenersi violato il disposto dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. Il rigetto degli otto motivi del ricorso principale – a fronte della ritenuta inammissibilità dell’unico motivo del ricorso incidentale – comporta che le ricorrenti debbano essere condannate in solido a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale e dichiara inammissibile l’incidentale. Condanna in solido le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore di P.C., in complessivi Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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