Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29882 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 18/11/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 18/11/2019), n.29882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27615-2015 proposto da:

B.K.S., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio

dell’Avvocato NUNZIO PINELLI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti principali –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANZARO “MAGNA GRECIA”, PRESIDENZA DEL

CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

SCIENTIFICA E TECNOLOGICA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE,

MINISTERO DELLA SALUTE;

– intimati –

nonchè da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore; MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E

DELLA RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, tutti

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domiciliano ope legis, in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,

12;

– ricorrenti incidentali –

contro

B.K.S., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 526/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/05/2015 R.G.N. 685/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 526/2015, pronunciando sulle domande dei medici in epigrafe indicati, iscritti ai corsi di specializzazione presso l’Università degli Studi di Catanzaro nel periodo post 1998 e precedente al 2007 percependo la borsa di studio prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale della stessa sede, accertava il diritto dei suddetti medici al risarcimento dei danni per fatto illecito del legislatore, derivato dalla tardiva trasposizione delle direttive comunitarie nel diritto interno in materia di rideterminazione delle borse di studio e condannava i Ministeri dell’Istruzione, Università e Ricerca, dell’Economia e delle Finanze e della Salute al pagamento in favore di ciascun medico della somma di Euro 6.713,94 annui, per l’intera durata del corso di specializzazione da ciascuno frequentato, detratto quanto già percepito nel medesimo periodo a titolo di borsa di studio, oltre interesse legali; riteneva applicabile il termine di prescrizione ordinario decennale ed escludeva l’Università degli Studi di Catanzaro quale soggetto obbligato.

Avverso tale sentenza i medici in epigrafe indicati hanno proposto ricorso per cassazione con cinque motivi.

Hanno presentato, altresì, autonomo ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il P.G. non ha formulato richieste scritte.

I medici ricorrenti hanno presentato memoria contenente istanza di rimessione alle sezioni unite, per un prospettato contrasto nella giurisprudenza di questa Corte in ordine: a) alla sussistenza o meno del diritto, loro riconosciuto dalla Corte d’appello nei confronti dell’Università, alla rideterminazione triennale con decreto del Ministero della Sanità in funzione del miglioramento minimo previsto dalla contrattazione collettiva del personale medico del SSN, previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1; b) alla spettanza o meno del diritto risarcitorio per mancata o ritardata attuazione da parte dello Stato italiano di direttive comunitarie, loro negato dalla Corte d’appello.

Osserva questa Corte che, in realtà, nessuno dei due contrasti rappresentati sussiste:

a) non il primo, posto che l’indirizzo giurisprudenziale che riconosce il blocco della contrattazione collettiva limitatamente al biennio 1992/93 e non anche il periodo successivo al 31 dicembre 1993 (Cass., sez. Lav., 17 giugno 2008, n. 16385; Cass., sez. Lav., 29 ottobre 2012, n. 18562; Cass., sez. Lav., 18 giugno 2015, n. 12624), non è stato smentito dalla più recente sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449 di questa Corte (sez. Lav.); infatti, questa sentenza – in esito a critica ricognizione del quadro normativo in materia di c.d. “blocco” del tasso di inflazione (p.ti 42 – 45 in motivazione), in più specifico riferimento all’incremento delle borse di studio al tasso programmato di inflazione (p.ti 46 – 52 in motivazione) e quindi alla rideterminazione triennale in questione (p.ti 53 – 58 in motivazione) – ha concluso che a partire dal 1998 e sino al 2005 le borse di studio dei medici specializzandi non siano soggette a detto incremento (p.to 59 della motivazione), sulla base della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12 secondo cui: “A partire dal 1998 resta consolidata in Lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui al predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1”; così valorizzando un dato normativo che, lungi dall’essere stato diversamente interpretato, neppure è stato esaminato dalle precedenti sentenze;

b) ma neppure il secondo, perchè questa Corte ha sempre affermato che la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applichi, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006 – 2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, soggetti al regime istituito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio prevista dal D.Lgs. cit., senza alcuna irragionevole diversità di trattamento, essendo il legislatore libero di differire gli effetti di una riforma e costituendo il fluire del tempo elemento di per sè idoneo di diversificazione della disciplina (da ultimo: Cass., sez. Lav., 23 febbraio 2018, n. 4449; Cass., sez. VI – 3, 14 marzo 2018, n. 6355; Cass., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17051; Cass., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5715; Cass., sez. III, 14 maggio 2019, n. 12749; Cass., sez. III, 24 maggio 2019, n. 14168).

Piuttosto, le sentenze indicate come espressive di un diverso indirizzo, che riconoscerebbe anche agli specializzandi destinatari della borsa di studio il diritto al risarcimento del danno per mancata o ritardata attuazione da parte dello Stato italiano di direttive comunitarie, in realtà interessano i medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, ai quali è stato riconosciuto il diritto risarcitorio per inadempimento dello Stato italiano alla tempestiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE (come anche recentemente ribadito, con opportune precisazioni temporali, da: Cass. SU 31 luglio 2018, n. 20348; Cass. SU 27 novembre 2018, n. 30649), situazione che ha avuto termine con l’istituzione della borsa di studio.

A quest’ultima problematica – ormai superata – si riferiscono anche le richiamate sentenze di questa Corte, sez. Lav., del 22 aprile 2015, n. 8242 e n. 8243, il cui percorso argomentativo è esclusivamente fondato sulla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite 17 aprile 2009, n. 9147, la quale in riferimento all’omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie: n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE), ha affermato il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica. L’istanza di rimessione esaminata deve pertanto essere disattesa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Preliminarmente deve darsi atto che il ricorso per cassazione, successivamente e tempestivamente proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il principio di unicità del processo di impugnazione, si converte in ricorso incidentale, ancorchè proposto con atto a sè stante (cfr. Cass. n. 25662 del 4.12.2014): in questi termini va, pertanto, considerato e valutato.

Con il ricorso principale per cassazione, in sintesi, i medici censurano:

1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1 (mancata decretazione ministeriale); D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37 – 39 e 46; Direttiva 93/16/CE; D.Lgs. n. 370 del 1999, art. 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Errata applicazione delle Direttive 75/362/CEE e n. 82/76/CEE e la violazione del consolidato orientamento giurisprudenziale in ordine alla decorrenza della prescrizione in materia de qua, per non avere valutato la Corte di merito il profilo di responsabilità derivante dalla mancata decretazione ministeriale necessaria alla concreta attuazione dell’adeguamento per rideterminazione triennale; inoltre si deduce l’erroneità del parametro di quantificazione del danno sottolineando che il parametro più confacente a rendere satisfattiva la lesione fosse quello dell’adeguamento e che la prescrizione avrebbe dovuto decorrere solo dall’emanazione del D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007; si evidenzia, infine, la legittimazione passiva, sulla questione, della presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri competenti evocati in giudizio;

2) la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5 conv. in L. n. 438 del 1992; della L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33; della Direttiva 93/16/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per non essersi in sostanza pronunciata la Corte territoriale, ritenendola assorbita, sulla richiesta di rideterminazione triennale e di indicizzazione annuale delle borse di studio ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 anche essa soggetta a prescrizione decennale e in relazione alla quale era da ritenersi legittimata passiva anche la Università degli Studi;

3) la violazione e falsa applicazione: D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1; D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 5 conv. in L. n. 438 del 1992); L. n. 5387 del 1993, art. 3, comma 36; L. n. 549 del 1995, art. 1, comma 33; L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12; L. n. 488 del 1999, art. 22; L. n. 289 del 2002, art. 3 comma 36; in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per non essersi pronunciata la Corte di appello neanche sulla domanda di adeguamento della borsa di studio per indicizzazione annuale al tasso programmato di inflazione, rendendo una motivazione di mero stile;

4) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 3, comma 36; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, 2 e 3, L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300; D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, commi 3 e 4 bis; D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 37, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente escluso la Corte territoriale, in ordine al riconosciuto risarcimento dei danni da violazione di normativa dell’Unione Europea, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, quanto meno solidalmente responsabile con gli altri Ministeri;

5) la violazione ed errata applicazione della CGE sent. 25.2.99 causa C-131/97, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per non avere nulla argomentato la Corte di merito sulla domanda, ritualmente riproposta anche in appello, di applicazione retroattiva della normativa in materia di adeguamento delle borse di studio.

Con il ricorso incidentale, in sintesi, si denunzia:

1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (trattato di Roma) nella versione consolidata (GUCE n. C 325 del 24.12.2002), dell’art. 117 Cost., comma 1, dell’art. 116 della Direttiva CEE 82/76, nonchè degli artt. 5 e 7 della Direttiva “riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio del 16.6.1975, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte territoriale, facendo riferimento ad una giurisprudenza di legittimità riguardante l’inattuazione delle Direttive prima dell’introduzione della borsa di studio del 1991, riconosciuto ai medici di cui è causa (che invece erano stati titolari di borse di studio) il diritto al risarcimento del danno per mancata trasposizione del diritto comunitario e per inadeguatezza della remunerazione prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, pur in assenza dei presupposti di legge e senza specificazione dei parametri sulla base dei quali era giunta alla suddetta conclusione.

Per ragioni di pregiudizialità logico giuridica deve essere esaminato dapprima il ricorso incidentale.

Il motivo è fondato.

L’indirizzo espresso da questa Sezione, con le sentenze n. 794 del 2014 e n. 15362 del 2014 e recepito anche da altre Sezioni di questa Corte, cui si intende dare continuità, è nel senso che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto una adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui) e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999. Quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva CEE n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363 con le relative successive modificazioni) ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione da stipulare, e rinnovare annualmente tra Università e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti: contratto che, come si è detto, non dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.

Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007. Per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006-2007 è stato espressamente disposto che continuasse ad operare la precedente disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (sia sotto il profilo ordinamentale che economico). La Direttiva CEE n. 93/16 (che costituisce, dichiaratamente, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti) non ha d’altra parte carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione. La previsione di una adeguata remunerazione per i medici specializzandi è, infatti, contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 96/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica) e i relativi obblighi risultano già attivati dallo Stato Italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257.

L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente ed idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di legittimità che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza nella sua iniziale misura, anche a prescindere dalle questioni connesse alla svalutazione monetaria.

Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 ed il relativo meccanismo di retribuzione non possono, pertanto, ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi.

L’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 di talchè non è ipotizzabile un risarcimento del danno da inadempimento agli obblighi, per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, derivanti dalle direttive comunitarie (cfr. Cass. 14.3.2018 n. 6355; Cass. 29.5.2018 n. 13445).

Alla stregua di quanto esposto, la censura, avente ad oggetto – si ribadisce – la situazione di iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici successivi al 1998 ed anteriori al 2006-2007 e, quindi, estranea alle problematiche relative agli iscritti nel periodo tra gli anni 1982 e 1998 di cui alla sentenza della CGUE -VIII Sezione- del 24.1.2018 (cause riunite C-616/16 e C-617/16), è meritevole di accoglimento.

Il ricorso principale è, invece, infondato sebbene le argomentazioni della Corte territoriale debbano essere integrate, ex art. 384 u.c. c.p.c., essendo il dispositivo della gravata sentenza conforme a legge.

Il primo, il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione, non sono fondati.

Devono qui confermarsi, ribadendo quanto già sopra specificato con riferimento alla disamina in ordine ai prospettati contrasti giurisprudenziali, gli orientamenti maturati presso questa Corte, in merito all’insussistenza del diritto dei medici specializzandi titolari di borsa di studio secondo la normativa di cui al D.Lgs. n. 257 del 2001, all’aggiornamento delle somme previsto da tale normativa (cui poi è succeduto, dall’anno 2007, il nuovo trattamento di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999 ed ai D.P.C.M. attuativi del 2007) e ciò sia con riferimento all’indicizzazione, sia con riferimento all’adeguamento parametrato sui miglioramenti della contrattazione collettiva, entrambi previsti dal D.Lgs. n. 257 cit., art. 6, comma 1. Rispetto all’indicizzazione, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449 costituisce solo l’ultimo più compiuto arresto di un orientamento in realtà mai incrinatosi, secondo cui “in tema di trattamento economico dei medici specializzandi e con riferimento alla domanda risarcitoria per non adeguata remunerazione, l’importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6 non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dal D.L. n. 384 del 1992, art. 7 (ed analoghe normative successive), senza che il blocco di tale incremento possa dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato” (così Cass. 18670/2017 cit.; tra le molte precedenti v. Cass. 26 maggio 2011, n. 11565; Cass. S.U. 16 dicembre 2008, n. 29345); sol aggiungendosi, rispetto all’assetto della normativa quale già riepilogato da Cass. 4449/2018 cit., che il blocco stabilito dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, (Legge Finanziaria 2003, secondo cui “le disposizioni del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 1992, n. 438, come confermate e modificate dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 66 e 67, e da ultimo dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 22… contenenti il divieto di procedere all’aggiornamento delle indennità, dei compensi, delle gratifiche, degli emolumenti e dei rimborsi spesa soggetti ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, continuano ad applicarsi anche nel triennio 2003-2005 (comma 1)”) è stato poi prorogato successivamente con la L. n. 266 del 2005, art. 1 secondo cui appunto “la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36…. continua ad applicarsi anche nel triennio 2006-2008”, sicchè esso è rimasto operativo per tutto il periodo oggetto del presente giudizio.

Rispetto all’adeguamento agganciato all’evolversi della contrattazione collettiva, Cass. 4449/2018 cit., attraverso una dettagliata ricostruzione normativa, ha evidenziato dapprima come la L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, avesse stabilito che “a partire dal 1998 resta consolidata in Lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui al predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1”, con dato letterale inevitabilmente destinato a riguardare entrambi gli aggiornamenti di cui alla disposizione interessata e dunque non solo l’indicizzazione, ma anche la riparametrazione ai nuovi valori della contrattazione collettiva.

E’ vero che quest’ultimo incremento era stato riconosciuto (Cass. 18 giugno 2015, n. 12624; Cass. 29 ottobre 2012, n. 18562 e Cass. 17 giugno 2008, n. 16385), sul presupposto che il blocco degli incrementi contrattuali non si fosse esteso successivamente al 31 dicembre 1993 e riguardasse solo il biennio 1992-1993, ma l’assunto è stato rivisto appunto da Cass. 4449/2018, in considerazione non tanto di una diversa interpretazione, quanto piuttosto valorizzandosi una normativa riguardante quanto meno il periodo successivo all’entrata in vigore della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, (in cui ricadono le borse di studio oggetto di questa causa) e non considerata da quei precedenti.

La predetta sentenza ha poi anche in questo caso richiamato – a nulla evidentemente valendo la normativa che abbia aumentato il fondo non in ragione della necessità di aggiornamenti, ma per il finanziamento tout court degli incrementi alla platea dei medici specializzandi (D.L. n. 90 del 2001, art. 1, conv. in L. n. 188 del 2001) – il già citato disposto della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, nella parte che qui interessa ed in cui si è stabilito che l’ammontare delle borse di studio “a carico del Fondo sanitario nazionale rimane consolidato nell’importo previsto dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12, e successive modificazioni”, con previsione che anche in questo caso è stata prorogata per il triennio 2006-2008 dal già citato L. n. 266 del 2005, art. 1.

Le suddette argomentazioni rendono assorbito l’esame delle restanti questioni in ordine alla prescrizione (e alla individuazione del momento della sua decorrenza), alla legittimazione passiva e ai profili risarcitori circa le domande oggetto delle doglianze, non essendo fondata la pretesa a base delle avanzate richieste risarcitorie e retributive.

Anche la trattazione del quarto motivo è assorbita dall’accoglimento del ricorso incidentale.

Il quinto motivo è, invece, infondato: la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sè idoneo elemento di diversificazione della disciplina, nè sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università Italiane e quelli iscritti in scuole di altri paesi Europei, atteso che le situazioni giuridiche non sono comparabili, non avendo la Direttiva 93/16/CEE previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico, o disparità di trattamento con i medici neoassunti che lavorano nell’ambito del SSN, non comparabili in ragione delle peculiarità del rapporto che si svolge nell’ambito della formazione specialistica (cfr. Cass. 23.2.2018 n. 4449; Cass. 14.3.2018 n. 6355).

Alla stregua di quanto esposto, quindi, deve essere accolto il ricorso incidentale; il ricorso principale deve essere rigettato; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, le domande proposte dai medici con il ricorso introduttivo devono essere rigettate.

Le spese dell’intero processo vanno compensate avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo delineatosi in ordine agli aggiornamenti delle borse di studio dei medici iscritti alle scuole di specializzazione.

Sussistono i presupposti per la condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, per i ricorrenti principali.

PQM

La Corte accoglie il ricorso incidentale; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte dai medici con il ricorso introduttivo. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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