Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29880 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 30/12/2020), n.29880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1138-2013 proposto da:

S.J.L., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO

DELLA GANCIA 1, presso lo studio dell’avvocato LUCA MARAFIOTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA TIRABASSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persone del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA ENTRATE UFFICIO SULMONA, AGENZIA ENTRATE DIREZIONE

PROVINCIALE L’AQUILA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 22/2012 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA,

depositata il 15/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Il contribuente S.J.L., socio della società, “Ristorante al Quadrivio di D.F.N.A. sas”, con sede in (OMISSIS), impugnava l’avviso di accertamento con cui, per l’anno 2003, veniva rettificato il reddito della società e l’Agenzia gli contestava, conseguentemente, un maggior reddito da partecipazione.

Esponeva che la CTR dell’Abruzzo, in riforma della CTP ed in conseguenza della conferma dell’accertamento nei confronti della società in separato, ma contestuale giudizio, confermava anche nei suoi confronti l’accertamento relativo al reddito da partecipazione.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre quindi a questa Corte sulla base di due motivi.

Si costituisce l’ufficio con controricorso.

Il contribuente ha depositato memoria del 4.3.2020.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il contribuente deduce violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’accertamento non era basato su presunzioni gravi, precise e concordanti.

Con il secondo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La CTR non ha dato conto della contestazione sollevata dal contribuente sul fatto che nella specie non sussistessero i presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, per condurre l’accertamento, confermandolo ai sensi dell’art. 39, comma 1.

La materia del contendere deve dichiararsi cessata per le seguenti considerazioni.

Il presente giudizio dipende da quello relativo alla società, che ha avuto un suo separato sviluppo ed è già stato trattato da questa Corte con la sentenza sez. VI-5, n. 8455 del 2015 che, accogliendo il primo motivo del ricorrente, identico a quello proposto in questa causa, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla CTR dell’Abruzzo.

In particolare, la suddetta sentenza n. 8455 del 2015 di questa Corte ha affermato che:

Necessita anzitutto rilevare che non vi è luogo a dichiarare la nullità del processo per omessa applicazione delle regole sul litisconsorzio necessario tra società di persone e soci, siccome detta regola appare avere trovato un adeguato surrogato nella contestualità della trattazione che i distinti procedimenti (gli altri, relativi ai soci pendono pure innanzi a questa Corte e se ne farà contestuale trattazione anche in questa sede) hanno avuto sin dal primo grado di giudizio e fino ad ora, potendosi desumere dagli atti di questi procedimenti che le pronunce sia di primo grado che di secondo grado sono state di volta in volta emanate dagli stessi giudici e nella medesima udienza (sulla legittimità di tale metodo surrogatorio si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3830 del 18/02/2010).

Con il primo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), la parte ricorrente lamenta che il giudice del merito abbia valorizzato ai fini della ricostruzione del reddito di impresa “presunzioni” non integranti gli estremi delle presunzioni semplici (a termini dell’art. 39, comma 1, e dell’art. 2729 c.c.) e neppure di quelle gravi e concordanti (a termini dell’art. 39, comma 1), atteso che la sostituzione della percentuale di ricarico dichiarata con quella presunta “non è avvenuta attraverso il confronto di dati certi, storicamente provati, ed in qualche modo verificati”.

Il motivo in esame appare fondato e da accogliersi.

Da un canto occorre considerare (nell’ottica di quanto eccepito dalla parte contro ricorrente) che la censura concernente l’attribuzione di valenza presuntiva all’induzione valorizzata come prova dal giudice del merito non attiene, semplicemente, al “convincimento del giudice sull’idoneità di determinati fatti a costituire indizi circa l’esistenza di un fatto ulteriore”. Ed infatti, con l’autorevolezza che le compete, Cass., Sez. Un. Sent. n. 8053 del 7 aprile 2014 ha insegnato che: “La peculiare conformazione del controllo sulla motivazione introdotta dalla riforma legislativa non elimina, sebbene riduca (ma 4 sarebbe meglio dire, trasformi), il controllo sulla sussistenza degli estremi cui all’art. 2729 c.c., comma 1, subordina l’ammissione della presunzione semplice. In realtà è in proposito possibile il sindacato per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Ciò non solo nell’ipotesi (davvero rara) in cui il giudice abbia direttamente violato la norma in questione deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, ma anche quando egli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell’art. 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, e incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della “fattispecie astratta”, ma erroneamente applicata alla “fattispecie concreta”.

Alla luce di detto principio, non è chi non veda che alle considerazioni su cui il giudicante ha fondato il proprio giudizio circa la concludenza del ragionamento deduttivo, ai fini della correttezza della metodologia ricostruttiva del reddito, non può essere in alcun caso attribuito la valenza di premessa dell’inferenza, non essendoci nesso alcuno tra la determinazione della media di ricarico nella percentuale dell’85% e la centralità dell’ubicazione ovvero la notorità del precedente titolare dell’azienda, come pure non può esservi nesso logico necessario tra le percentuali medie di settore desunte dagli studi o dalle più, specifiche indagini (gli uni e le altre, peraltro, rimaste vagamente dettagliate in ordine alla fonte ed alla autorevolezza, sicchè le si potrebbe tutt’al più considerare regole di esperienza di esclusiva pertinenza della parte che le applica e che ne deve corroborare la verisimiglianza) e la percentuale di ricarico utilizzata in accertamento. Ed infatti, in relazione ad altre fattispecie, analoghe a quella qui in esame, codesta Corte Suprema ha avuto modo di precisare che (si vedano Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27488 del 09/12/2013; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20201 del 24/09/2010; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26388 del 05/12/2005) che: “In presenza di scritture contabili formalmente corrette, non è sufficiente, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza -posto che le medie di settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sè stesse, ad integrare gli estremi di una prova per presunzioni-occorrendo, invece, che risulti qualche elemento ulteriore, e, in specie, l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente e la media di settore, incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione”. In definitiva, poichè il giudice del merito ha fatto erronea applicazione della disciplina invocata dalla parte ricorrente appare conseguente ritenere che la pronuncia impugnata meriti cassazione, con la restituzione della controversia allo stesso giudicante affinchè egli torni a fare esercizio dei poteri di valutazione che gli sono riservati, alla luce dei principi dianzi richiamati. Si propone pertanto la decisione in camera di consiglio manifesta fondatezza del ricorso.

In memoria del 4.3.2020 il contribuente ha fatto presente che il giudizio di rinvio relativo alla società si è nel frattempo concluso davanti alla CTR dell’Abruzzo con il rigetto dell’appello dell’ufficio contro la sentenza di primo grado, evidentemente favorevole al contribuente, e questa sentenza è passata in giudicato. Lo stesso per il giudizio relativo all’altra socia.

Tra l’altro, dalla documentazione prodotta appare che nel giudizio di rinvio davanti alla CTR, non solo le tre cause sono già riunite, ma che la stessa ha anche ordinato l’integrazione del contraddittorio proprio nei confronti dell’odierno ricorrente, nei confronti del quale per l’irpef 2003, quindi, risulta essere già intervenuta sentenza definitiva, la n. 678/02/2017 della CTR Abruzzo.

In ogni caso, la sentenza n. 678/02/2017 della CTR in sede di giudizio di rinvio si riferisce all’avviso di accertamento n. 879020200409 che è quello nei confronti della società, ma anche l’avviso di accertamento notificato al contribuente S. per Irpef 2003, evidentemente quale socio, appare avere lo stesso numero 879020200409, secondo quanto riportato nel ricorso. Tale avviso, quindi oggi deve ritenersi definitivamente annullato in virtù della sentenza 678/02/2017 della CTR dell’Abruzzo in sede di giudizio di rinvio.

Ciò non può non avere effetto nel presente giudizio, dove si deve prendere atto che, con l’intervenuto definitivo annullamento dell’avviso di accertamento societario, riportante lo stesso numero di quello notificato anche al socio, è venuta meno la materia del contendere.

Occorre, tuttavia, statuire sulle spese, atteso che la materia del contendere è cessata per un fatto sopravvenuto esterno alla presente controversia.

Poichè il ricorso sarebbe stato ritenuto fondato, in base alle considerazioni già espresse da questa Corte nella sentenza n. 8455 del 2015, pienamente applicabili anche a questo giudizio, le spese sono a carico dell’ufficio, soccombente virtuale e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in Euro 4.000, oltre spese prenotate a debito.

P.Q.M.

Dichiara cessata la materia del contendere.

Condanna l’ufficio al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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