Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2988 del 07/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/02/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 07/02/2011), n.2988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ESSELUNGA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 2, presso lo

studio dell’avvocato PARISI GIANFRANCO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LAVIZZARI MANFREDO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.I., D.M.;

– intimati –

e sul ricorso 1352-2008 proposto da:

T.I., D.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI PIETRALATA n. 320 presso lo studio dell’avvocato MAZZA

RICCI GIGLIOLA, rappresentati e difesi dall’avvocato POLIZZI EUGENIO,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ESSELUNGA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 654/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/07/2007 R.G.N. 1839/05+1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato PARISI GIANFRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI

Con sentenze del Tribunale di Milano nn. 2987 e 3493/2005, venivano accolti i ricorsi di impugnativa dei licenziamenti intimati a T.I. e D.M. dalla societa’ Esselunga p.a. per assenza ingiustificata dal 26 al 31.7.2004 e rigettati i ricorsi dagli stessi proposti per la impugnazione sanzioni disciplinari, condannandosi la societa’ alla reintegrazione ed al risarcimento dei danni ai sensi della normativa invocata, laddove, in luogo della prima, entrambi i ricorrenti optavano per indennita’ sostitutiva di legge delle 15 mensilita’.

Con sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano il 30.5 – 12.7.2007, venivano confermate le sentenze impugnate e dichiarate compensate le spese di lite, ritenendosi che il prospetto sul quale era stata indicata l’anticipazione del periodo di ferie, a dire degli appellati non conosciuta preventivamente ed adeguatamente, era tale da ingenerare confusione al riguardo e, quanto alle spese di lite, che gli appellati non avessero cercato di sopperire all’incertezza prodottasi chiedendo chiarimenti e pretendendo che fosse fornita loro una attestazione scritta in ordine alle ferie concesse.

Propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, la societa’ Esselunga p. a..

Resistono con controricorso e ricorso incidentale ritualmente notificati, il T. e la D., che pongono a fondamento della impugnazione due motivi riguardanti la regolamentazione delle spese di lite.

Ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la societa’.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deduce la societa’, con il primo motivo di impugnazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 sulla ripartizione dell’onere probatorio.

Pone relativo quesito di diritto, domandando se e’ vero che, nel caso di licenziamento per mancanze, incombe al datore l’onere di dimostrare i fatti e i comportamenti contestati al dipendente ed a questi quello di dimostrare la sussistenza di ragioni giustificative ritualmente allegate e dedotte.

Rileva, poi, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 censurando la valutazione compiuta alla stregua della ritenuta credibilita’ dei testi escussi. Assume che non possono giudicarsi attendibili le dichiarazioni dei testi che confermino l’esistenza dei fatti contestati integranti giusta causa del licenziamento e, poi, negare la sussistenza di quest’ultima. Formula ugualmente quesito di diritto riferito alla questione prospettata.

Infine, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia viene dedotto in relazione ad art. 360 c.p.c., n. 5 con riguardo alla affermata pretesa necessita’ di una specifica forma solenne della comunicazione del piano ferie che avrebbe dovuto rispondere a particolari requisiti, in mancanza di alcuna norma di legge o contratto o prassi che preveda un tale onere formale e pone corrispondente quesito.

Rileva, ancora, la ricorrente che, in applicazione degli elementari ed incontestabili principi in tema di ripartizione dell’onus probandi incombeva ai lavoratori dimostrare il preteso accordo sul periodo feriale e non alla Esselunga spa dare la prova negativa, ossia la dimostrazione dell’insussistenza di circostanze idonee a giustificare i dipendenti.

Osserva la Corte al riguardo che Sa impostazione della questione non e’ coerente, atteso che, alla stregua delle stesse deduzioni dei ricorrenti anche nelle precedenti fasi del merito, non potevano questi ultimi fornire la prova in ordine all’accordo sul periodo feriale -, per la evidente ragione che, non essendo questo intervenuto a causa di una non adeguata variazione del periodo iniziale a ciascuno di essi concesso dal datore di lavoro secondo le i rispettive indicazioni, lo stesso dato di partenza, ovvero l’esistenza di un accordo si palesa inesistente, essendosi verificata una situazione per la quale non vi era corrispondenza in ordine al periodo feriale che ciascuno delle parti riteneva essere stato fissato.

Vero e’, infatti, che il datore di lavoro, su cui a norma della L. n. 604 del 1966, art. 5 grava l’onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, puo’ limitarsi, nel caso in cui la giusta causa sia costituita dalla assenza ingiustificata del lavoratore dal servizio, nella sua valenza di inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare, a provare l’assenza nella sua oggettivita’, mentre grava su lavoratore l’onere di provare gli elementi che possono giustificare l’assenza e in particolare la sua dipendenza da causa a lui non imputabile, (Cass. sez lav. 29.11.1999 n, 13352), tuttavia, nel caso considerato la stessa assenza dal lavoro nella sua oggettivita’ risulta controversa, per le argomentazioni svolte nella sentenza della Corte territoriale e per la decisiva ragione che la stessa e’ configurabile solo in relazione alla sussistenza del suo presupposto, ovvero che nel periodo 26 – 31 luglio 2004 i dipendenti non dovessero considerarsi in ferie. Non si pone, pertanto, in mancanza di certezza in merito a tale fondamentale elemento, la necessita’ di verifica successiva da parte del giudice di merito circa la sussistenza di elementi di grave inadempienza e colpa del prestatore di lavoro, immediatamente e direttamente incidenti sull’elemento della fiducia, e tali da fornire giustificazione al licenziamento, in base a criteri di proporzionalita’ e adeguatezza della sanzione. Nella specie la pretesa conoscenza della modificazione del periodo feriale e’ stata, invero, esclusa dal giudice del merito in base ad una valutazione del materiale probatorio acquisito, idoneo a comprovare la assoluta buona fede dei lavoratori in merito al periodo fruibile da ciascuno di essi, onde ogni censura dovrebbe essere attinente a vizi della motivazione, che, tuttavia, per come specificati, ugualmente risultano prospettati in maniera non conforme ai canoni di legge. In particolare, la denunzia di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 deve, per quanto detto, ritenersi inammissibile nei termini specificati, atteso che con la stessa, rispetto alla denuncia di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, la ricorrente ha richiamato motivi – del perche’ ritenga erroneamente applicata alla fattispecie controversa la norma applicata dal giudice di merito – che si riconnettono ad una dato di partenza inesistente (la prova assunta ha dimostrato l’esistenza di un accordo difforme da quello ritenuto dal datore di lavoro), ne’ ha illustrato le ragioni per cui la norma stessa sarebbe stata male interpretata dal medesimo giudice, posto che la questione risolta dalla sentenza impugnata era nel senso che il comportamento addebitato era tale da ingenerare dubbi sulla stessa individuazione del periodo feriale fruibile.

Ed invero, come affermato da questa Corte, “posto che il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, puo’ concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3 ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (“id est”: del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, in ogni caso, prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d’inammissibilita’ ex art. 366 c.p.c., n. 4, i motivi per i quali chiede la cassazione” (cfr. Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348, conforme a Cass., 22 febbraio 2007 n. 4178).

Ancora deve richiamarsi, in tema di inammissibilita’ del motivo attinente al vizio di violazione di legge l’indirizzo giurisprudenziale di legittimita’ alla cui stregua “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto de vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cfr. al riguardo, ex plurimis Cass. 26.3.2010 n. 7394, in tema di impugnazione del licenziamento, in riferimento alla denuncia dell’erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa).

Quanto alle ulteriori censure, te stesse si fondano su una generica contestazione della decisione della corte territoriale in merito alla ritenuta attendibilita’ dei testi per desumerne circostanze diverse da quelle ritenute provate dalla stessa, fornendo una propria versione, contrastante con quella ritenuta dal giudice del merito, circa la necessita’ di una maggiore chiarezza del piano ferie predisposto anche a seguito delle modifiche ed alla conoscibilita’ di queste ultime. Anche detta censura si rivela inammissibile, atteso che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, “qualora il ricorrente, in sede di legittimita’, denunci l’omessa valutazione di prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisivita’, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione e’ mancata ovvero e’ stata insufficiente o illogica” (cfr., tra le tante, Cass. 12.3.2009 n. 6623).

Ed ancora e’ stato affermato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimita’ ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento dei giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non puo’ invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perche’ la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare Se prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. in tal senso, tra le altre Cass. 23.12.2009 n. 27162; Cass. 9.8.2004 n. 15355).

Nella specie, non ravvisandosi nell’iter argomentativo del Giudice d’appello violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, il motivo deve essere disatteso, al pari dell’ulteriore rilievo circa la ritenuta necessita’ di una particolare forma – non prevista da alcuna norma di legge, contratto o prassi – della comunicazione del piano ferie, involgendo la censura valutazioni di fatto rispetto alle quali la prospettazione del vizio di motivazione non si pone sul piano della necessita’ di controllo formale dell’iter argomentativo.

Da ultimo, deve rilevarsi che anche i quesiti diritto per come formulati non rispondono ai canoni di cui all’art. 366 bis c.p.c. risultando esposta solo una richiesta generica di accertamento della violazione della norma di legge, laddove il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. sez. 3^ 30.9.2008 n. 24339; Cass. s.u. 3518/08; 22640/07;

14385/07).

Passando all’esame del ricorso incidentale, con lo stesso si assume la violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 91, 92, 99 e 112 c.p.c. sulle regolamentazione delle spese di lite, che sarebbero dovute essere accollate alla societa’. I controricorrenti pongono, poi, quesito di diritto domandando se vero che costituisce violazione degli articoli, sopra menzionati statuire la compensazione delle spese di lite in caso di soccombenza totale, attribuendo a quella vittoriosa un comportamento colposamente concorrente mai contestato dalla parte soccombente e mai dedotto in giudizio. Sostengono, infine, la ricorrenza di un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la corte territoriale tralasciato di considerare fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 5).

Quanto al primo profilo, deve rilevarsi che l’esito complessivo della lite e’ stato valutato anche in rapporto alla circostanza che ad eliminare l’incertezza circa il piano ferie, circostanza ritenuta decisiva ai fini di causa, avrebbero potuto in qualche misura contribuire gli stessi lavoratori pretendendo una attestazione scritta. Tale assunto risulta fondato su circostanze desunte dal materiale probatorio complessivamente esaminato, che, sebbene tale da indurre ad escludere un comportamento sanzionabile alla stregua di un illecito disciplinare, tuttavia e’ stato ritenuto idoneo ad incidere sul piano della valutazione del comportamento, sia pure non sanzionabile disciplinarmente, dei soggetti destinatari della comunicazione aziendale. La censura risulta pertanto infondata, in quanto si richiede una rivisitazione del merito in base a considerazioni che si rivelano inidonee a ravvisare il vizio dedotto in mancanza di deficienze e contradditorieta’ motivazionali, laddove il secondo motivo di ricorso incidentale attiene alla mancata considerazione di circostanze ritenute decisive, attinenti a precedenti comportamenti tenuti da entrambi i lavoratori nel corso nel rapporto, che non si indica neanche dove fossero state precisamente dedotte nelle fasi del merito, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso.

Il ricorso principale e quello incidentale, alla stregua delle esposte considerazioni, vanno entrambi rigettati, laddove la parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione in ragione di 1/2 delle spese del presente giudizio, spese, che per la residua meta’ seguono la prevalente soccombenza della societa’ ricorrente.

P.Q.M.

LA CORTE cosi’ provvede:

riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa tra le parti la meta’ delle spese di lite del giudizio di cassazione e condanna la societa’ al pagamento della residua meta’ liquidata in Euro 39,00 per esborsi ed Euro 1500,00 per onorario di avvocato, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2011

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