Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29878 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 30/12/2020), n.29878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14707-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

DEL PRETE IMMOBILIAREV SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LIMA 7, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE IANNUCCILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO SAGLIOCCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2014 della COMM. TRIB. REG. della Campania

depositata il 09/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/07/2020 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– la Del Prete Immobiliare S.r.l. impugnava l’avviso di accertamento notificatole dall’Agenzia delle Entrate per maggiori imposte dirette, IRAP e IVA; l’avviso richiamava il p.v.c. del (OMISSIS) della Guardia di Finanza che, nell’ambito di una verifica fiscale nei confronti della società per le annualità 2004-2005-2006-2007, aveva rilevato una netta discordanza tra il prezzo degli immobili venduti e numerosi altri elementi raccolti (preliminari di compravendita, assegni consegnati dagli acquirenti o bonifici di pagamento, mutui immobiliari stipulati per l’acquisto, valore dei cespiti, risposte degli acquirenti ai questionari, ecc.) atti a dimostrare l’omessa dichiarazione dei più elevati ricavi e l’evasione delle imposte;

– la C.T.P. di Caserta accoglieva il ricorso in ragione dell’utilizzo dei valori OMI da parte dell’Amministrazione (reputato arbitrario) e dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli acquirenti alla G.d.F. (stante il divieto di prova testimoniale), “prescindendo dai rilievi mossi in merito all’onere della prova ed all’insufficienza probatoria dell’avviso”;

– la C.T.R. della Campania, con la sentenza n. 74/49/14 del 9/1/2014, respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, affermando che l’Ufficio non aveva assolto il proprio onere probatorio, in quanto non aveva prodotto in giudizio il processo verbale di constatazione corredato della documentazione impiegata per dimostrare la pretesa erariale: “a fronte della doglianza relativa alla mancata produzione in giudizio del p.v.c. della Guardia di Finanza sul quale era fondata la prova della tesi inerente l’accertamento, l’Ufficio… era restato… del tutto inerte…. Avrebbe dovuto provare al giudice l’affermata evasione compiuta dalla società… e per fornire tale prova avrebbe dovuto indicare i soggetti sentiti dalla Guardia di Finanza, produrre le loro dichiarazioni, per consentirne la valutazione del contenuto, indicare l’ammontare delle somme versate per le singole vendite da raffrontare con le dichiarazioni acquisite… In altre parole avrebbe dovuto produrre in giudizio il p.v.c. della Guardia di Finanza… Nel ricorso introduttivo la parte ricorrente aveva lamentato che l’Ufficio aveva omesso di esibire tutti gli elementi richiamati nell’avviso di accertamento…. Non si vede come potrebbe considerarsi fondato l’accertamento se non si ha a disposizione nessuno degli elementi indispensabili per la decisione, contenuti nel p.v.c. della Guardia di Finanza”;

– avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

– resiste con controricorso la Del Prete Immobiliare S.r.l..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Col primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51,54 e 55, e dell’art. 2697 c.c., per avere la C.T.R. escluso la fondatezza della pretesa impositiva che era fondata su elementi presuntivi, puntualmente riportati nell’avviso di accertamento, rispetto ai quali la parte non aveva opposto contrastanti elementi probatori.

2. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

L’Agenzia ricorrente non coglie la ratio decidendi della pronuncia della C.T.R., la quale non ha affatto escluso la validità degli elementi presuntivi dedotti dall’Amministrazione, ma ha rilevato che gli stessi erano stati solo allegati e non supportati da prova.

Il fatto che l’accertamento sia stato basato sugli elementi del p.v.c. e che questo sia stato precedentemente reso noto al contribuente (circostanza sulla quale insiste la ricorrente) vale a renderlo “perfetto” sotto il profilo della sua motivazione, ma non è sufficiente a dare dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria che “non può prescindere dalla produzione in giudizio del processo verbale di constatazione” (Cass. 3978/2017).

In proposito, la giurisprudenza di questa Corte è univoca nel distinguere l’adeguatezza della motivazione dell’atto impositivo dalla prova dei fatti posti a fondamento dello stesso: l’esistenza di una adeguata motivazione del primo non implica anche la prova dei fatti sui quali la pretesa si regge, “diverse ed entrambe essenziali essendo le funzioni che l’una (motivazione dell’atto) e l’altra (prova dei fatti che ne sono posti a fondamento) sono dirette ad assolvere. Mentre infatti la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dalla L. 27 luglio 2002, n. 212, art. 7, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria al fine di approntare una idonea difesa, sicchè il corrispondente obbligo deve ritenersi assolto con l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze; la prova attiene al diverso piano del fondamento sostanziale della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso, sicchè in definitiva tra l’una e l’altra corre la stessa differenza concettuale che vi è tra allegazione di un fatto costituivo della pretesa fatta valere in giudizio e prova del fatto medesimo… In mancanza del p.v.c. più volte richiamato – secondo quanto viene pacificamente riferito -dall’avviso di accertamento e indicato come indispensabile nella sentenza di primo grado, non si poteva ritenere raggiunta la prova dei fatti costitutivi” (Cass. 955/2016).

E’ irrilevante che il processo “verbale di constatazione sia stato a suo tempo notificato alla società contribuente, dal momento che, a seguito dell’impugnazione giudiziale del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di accertamento dell’imposta, ci si muove in un ambito strettamente processuale, in cui anche, e soprattutto, il giudice, oltre che le parti, deve essere messo in grado di conoscere – e per intero – tutti gli atti rilevanti ai fini della decisione, fra cui riveste un ruolo primario quello richiamato per relationem nella motivazione del provvedimento impugnato, di guisa che le affermazioni dell’ufficio appellante… non potevano ritenersi acquisite e provate indipendentemente da qualsiasi analisi e/o vaglio critico ed in assenza persino, appunto, del processo verbale che avrebbe dovuto contenere o, quanto meno, indicare, le prove di quanto affermato dai verificatori” (Cass. 5903/2019 e Cass. 5904/2019; sull’indispensabilità della produzione in giudizio del processo verbale di constatazione, tra le altre, v. anche Cass. 3978/2017 e Cass. 21509/2010).

3. Col secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., per avere la C.T.R. omesso di esercitare i propri poteri officiosi di indagine per acquisire il p.v.c., documento “non contestato quanto ad esistenza e contenuto, ma, soltanto, non inserito tra gli atti del giudizio nel supporto cartaceo” (come si ammette nel ricorso introduttivo).

4. Il motivo è infondato.

Difatti, secondo consolidata giurisprudenza, “il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi. (In applicazione di detto principio, la S.C. ha ritenuto che il giudice tributario non potesse esercitare il potere di acquisizione d’ufficio di un processo verbale di constatazione richiamato nell’avviso di rettifica)” (così, Cass. 955/2016, Rv. 638439-01; analogamente, Cass. 10401/2018 e Cass. 25563/2017).

5. Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, per avere la C.T.R. omesso di prendere in considerazione gli elementi (richiamati nel testo del ricorso) posti dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della rettifica dei valori dichiarati.

6. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Infatti, l’Agenzia ricorrente non coglie la ratio decidendi (relativa alla mancata produzione in giudizio del p.v.c. quale prova della pretesa fiscale) e pretende inammissibilmente di sottoporre a questa Corte di legittimità la valutazione degli elementi probatori che la C.T.R. non ha considerato (proprio in ragione della mancanza del citato documento).

In ogni caso, il dedotto elemento riguardante lo scostamento del prezzo di vendita rispetto ai valori OMI – asseritamente trascurato dalla C.T.R. – non vale a rendere fondata la pretesa fiscale: infatti, “nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5 (legge comunitaria 2008), che ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, conv. in L. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purchè dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto” (da ultimo, Cass. 2155/2019, Rv. 652213-01).

7. In conclusione, il ricorso è respinto.

Alla decisione fa seguito la condanna dell’Agenzia ricorrente alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i parametri del D.M. Giustizia 8 marzo 2018, n. 37 (in proposito, e con riguardo all’applicabilità dei parametri fissati dal previgente D.M. n. 55 del 2014, Cass., Sez. 6-2, Sentenza n. 21205/2016, Rv. 641672-01).

8. Poichè la ricorrente è un’Amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso l’obbligo di versare l’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. 17789/2016).

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna l’Agenzia delle Entrate ricorrente a rifondere a Del Prete Immobiliare S.r.l. le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 22 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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