Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29877 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 09/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in Roma, viale Carso

77, presso lo Studio Pontecorvo, rappresentato e difeso dagli avv.

Pontecorvo Edoardo e Luciano Alberine giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ca.En.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3366 del

27.7.2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9.12.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

C.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non ha resistito l’intimata, avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello di Roma, modificando parzialmente la decisione di primo grado, aveva posto a carico di S. C. l’obbligo di corresponsione di un assegno mensile di Euro 2.000,00 in favore della moglie Ca.En., nonchè quello di contribuzione per il 70% al pagamento delle spese straordinarie per il figlio minore, di cui disponeva l’affidamento ad entrambi i genitori e la convivenza con la madre.

In particolare con i motivi di impugnazione C. ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, rispettivamente sotto i seguenti aspetti:

1) con riferimento al principio di diritto secondo cui l’assegno di mantenimento dovrebbe essere tendenzialmente idoneo ad assicurare un tenore di vita analogo a quello goduto prima della separazione, mentre invece l’indagine del giudice del merito non sarebbe stata orientata nel senso indicato, la Ca. nulla avrebbe provato circa la fondatezza della sua pretesa; sarebbe stata negata la possibilità di provare la consistenza finanziaria della detta Ca.; il proprio aumento di reddito, sulla cui base sarebbe stato parametrato l’assegno in questione, si sarebbe determinato dopo la cessazione della convivenza;

2) in relazione all’apprezzamento delle condizioni economiche della Ca., rispetto alle quali non si sarebbe tenuto conto della proprietà di immobili e di quote sociali, della vendita di una villa per un prezzo rilevante, delle sue potenzialità lavorative, della convivenza con medico odontoiatra. Le censure sono infondate.

Quanto al primo motivo si osserva infatti che la Corte di Appello ha correttamente individuato il presupposto per il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, avendo richiamato la non titolarità di redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti (p. 4).

Il giudizio, dunque, circa l’errore che sarebbe stato commesso nella valutazione delle condizioni economiche dei coniugi nel periodo antecedente alla separazione e nell’apprezzamento delle rispettive posizioni (di cui si assume la sopravalutazione di quelle del ricorrente e la sottovalutazione di quelle della resistente) attiene al merito della decisione adottata che, essendo sorretta da motivazione immune da vizi logici, non è sindacabile in questa sede.

Considerazioni identiche a quelle da ultimo svolte valgono poi per il secondo motivo di impugnazione. La Corte di Appello invero, dopo aver stimato rilevanti gli introiti legati all’attività professionale del ricorrente, ha preso puntualmente in esame sia la consistenza della posizione economica della Ca., che il dato relativo alla sua convivenza con altra persona, ed ha in proposito rilevato, sul primo punto, che le condizione economiche agiate della famiglia di origine non hanno incidenza diretta sul reddito goduto e, sul secondo, che “nulla è stato dedotto sulla stabilità della convivenza, nè sono stati articolati mezzi di prova idonei a dimostrare l’eventuale beneficio economico da essa derivante alla Ca.” (p. 6).

Nè può ritenersi configurabile un vizio di motivazione sul punto, apparendo la stessa sufficiente (non è infatti necessario, a tal fine, l’esame di tutte le deduzioni e le diverse richieste formulate dalle parti) e non viziata sul piano logico.

Conclusivamente il ricorso deve essere quindi rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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