Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29876 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 09/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

Motivazione semplificata

sul ricorso proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in Roma, via S. Nicola

dè Cesarini 3, presso l’avv. Sbordoni Stefano, rappresentato e

difeso dall’avv. Viapiana Lidia, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ma.Ro., elettivamente domiciliata in Roma, viale delle

Provincie 140, presso l’avv. Francesco Ferrari, rappresentata e

difesa dall’avv. Palasciano Alessandro, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro emesso nel

procedimento n. 157/04 in data 29.11.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9/12/2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.V. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito l’intimata, avverso il decreto con il quale la Corte di Appello di Catanzaro aveva rigettato il reclamo dello stesso M. contro il decreto del Tribunale della medesima città, che aveva rigettato la sua richiesta di modifica delle condizioni della separazione consensuale intervenuta con la moglie Ma.Ro..

La detta richiesta, avente ad oggetto l’assegnazione congiunta della casa coniugale e la riduzione dell’assegno mensile posto a suo carico, avrebbe trovato fondamento nel deterioramento delle sue condizioni economiche, assunto che non veniva condiviso dapprima dal Tribunale e quindi dalla Corte di Appello, che in particolare riteneva insussistente l’elemento della novità attribuito ai fatti posti a base dell’istanza (segnatamente consistenti nell’avvenuta locazione di un immobile e nell’aumento del costo della vita) e confermava la correttezza del giudizio formulato dal tribunale con riferimento al rigetto della domanda di assegnazione congiunta della casa coniugale e alla ripartizione delle spese processuali, poste a carico dell’istante che pur era stato ammesso al patrocinio gratuito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione M. ha rispettivamente denunciato:

1) violazione degli artt. 112, 132, 161 c.p.c., sotto il duplice aspetto che nel decreto impugnato non erano state riportate le conclusioni del reclamante e che, quanto alla domanda di riduzione dell’assegno di mantenimento, non vi era stata alcuna valutazione da parte del giudice del gravame;

2) violazione dell’art. 156 c.c., e dell’art. 710 c.p.c. e vizio di motivazione, con riferimento agli argomenti, asseritamente errati, posti a base della decisione adottata;

3) violazione dell’art. 24 Cost. e vizio di motivazione, per l’apoditticità del giudizio che aveva dato luogo al rigetto della domanda. L’omesso accoglimento delle istanze istruttorie finalizzate a dare dimostrazione della relativa fondatezza avrebbero poi dato causa alla lesione del diritto di azione tutelato dalla Costituzione;

4) violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133 e segg. in relazione all’addebito a suo carico delle spese processuali. La statuizione sarebbe infatti errata per essere stato riconosciuto, in suo favore, il beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Le censure sono infondate.

In ordine al primo motivo di impugnazione si osserva, innanzitutto, che la mancata trascrizione delle conclusioni delle parti non costituisce di per sè motivo di nullità della decisione, occorrendo viceversa a tal fine che la detta omissione abbia inciso negativamente sull’obbligo del giudice di pronunciare sulle domande delle parti, effetto non riscontrabile nella specie, la Corte territoriale, infatti, ha individuato la ragione della decisione adottata nel fatto che non vi sarebbe stato alcun mutamento nelle condizioni patrimoniali originarie del M., circostanza da cui discende l’implicito rigetto o comunque l’assorbimento della richiesta.

Sul secondo motivo si rileva che la Corte di Appello ha preso in puntuale considerazione gli elementi indicati dal M. quali cause del denunciato deterioramento delle condizioni economiche di esso ricorrente (segnatamente la necessità di stipulare un contratto di locazione e l’aumento del costo della vita), ed il conseguente giudizio risulta contestato sotto il profilo della non condivisa valutazione effettuata, piuttosto che con la denuncia degli errori che il giudice del gravame avrebbe commesso nell’interpretazione e nella conseguente delibazione del materiale probatorio acquisito.

Il terzo motivo risulta inammissibile. Per quanto concerne la pretesa apoditticità del giudizio emesso dalla Corte di Appello, la doglianza è invero infondata perchè la decisione risulta sufficientemente motivata, mentre la censura appare generica.

Per quanto riguarda viceversa il mancato accoglimento delle istanze istruttorie, il cui accoglimento avrebbe invece consentito al ricorrente di dare dimostrazione della fondatezza del proprio assunto, la censura è viziata sul piano dell’autosufficienza, non essendo stato riportato il tenore delle richieste, nè essendo stati indicati i tempi ed i modi delle relative allegazioni, e ciò pur prescindendo dal fatto che la ragione della decisione adottata (individuabile nella permanenza delle condizioni originarie) deporrebbe nel senso di un implicito giudizio di ininfluenza della prova.

Resta infine il quarto motivo, in relazione al quale è sufficiente considerare che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133 stabilisce che il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato, ipotesi questa inversa a quella ricorrente nella specie, in cui le spese sono state poste a carico della parte ammessa in favore della parte non ammessa.

Il patrocinio grava dunque sullo Stato limitatamente all’onorario che l’assistito beneficiario avrebbe dovuto corrispondere al proprio legale, e non anche per quello liquidato in favore della controparte, in ragione della soccombenza risultata all’esito della lite.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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