Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29876 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 20/11/2018), n.29876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Antonio Francesco – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18221-2017 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO COGNINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/11/2018 dal Presidente Relatore Dott. FRANCESCO

ANTONIO GENOVESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione adottata dal Tribunale di quella stessa città che aveva ha respinto il ricorso proposto dal sig. S.L., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento negativo del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale di Ancona che aveva respinto le richieste di protezione internazionale e il permesso di soggiorno per motivi umanitari, invocati sulla base di una vicenda personale secondo la quale il padre, militante politico, era stato imprigionato, poi evaso e fuggito in Libia, con alcuni familiari, dove avrebbe trovato la morte.

Secondo il giudice del gravame, nonostante il resoconto generico e poco articolato della narrazione del richiedente asilo, andavano respinte tutte le richieste di protezione umanitaria, atteso che quella narrata non era sussumibile nell’ambito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, trattandosi di una vicenda privata e che non aveva i connotati della gravità richiesta dalla previsione di legge, peraltro, non essendo stati neppure allegate le ragioni di fragilità, giustificative della richiesta di protezione umanitaria.

Avverso tale provvedimento ricorre il sig. S.L. con tre mezzi con i quali lamenta plurime violazioni di legge: a) artt. 112,132 e 156 c.p.c., art. 111 Cost., per omessa pronuncia e motivazione apparente; b) D.Lgs n. 25 del 2008, artt. 3, 8, 10, 13 e 27 e Direttiva 2013/32/UE, art. 16; c) CEDU, artt. 6 e 13, Carta di Nizza, art. 47 e Dir. 2013/32/UE, art. 46.

Il Ministero ha resistito con controricorso.

Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alla parte costituita nel presente procedimento, alla quale non state mosse osservazioni critiche.

La prima doglianza è infondata atteso che le sintetiche e stringate motivazioni poste a base del provvedimento impugnato consentono di ben comprendere le ragioni della reiezione delle domande svolte: la Corte territoriale ha respinto quelle proposte per la pressochè totale carenza dei presupposti di legge e per il racconto generico e non significativo dell’invocata richiesta.

In sostanza, nel caso in esame, è stata proprio la lacuna delle allegazioni (non quella della prova) che non ha consentito alla Corte di valutare positivamente le richieste di protezione, non emergendo dalle stesse alcun collegamento suscettivo di porle in rapporto alle ragioni della tutela che l’ordinamento impone di accordare quando vi sia un loro riscontro.

La seconda è inammissibile poichè, pur deducendo una mancata valutazione e scrutinio delle ragioni svolte dal ricorrente, non specifica quali siano state quelle decisive che anche attraverso la cooperazione istruttoria del giudice di merito – avrebbero potuto condurre al loro accoglimento.

Anche la censura tendente a rivendicare il diritto ad un ricorso effettivo non coglie nel segno in mancanza del sostrato di ragioni fattuali decisive che il giudice di merito avrebbe trascurato di valorizzare.

L’ordinanza impugnata va, pertanto, confermata con la dichiarata inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

Alla inammissibilità del ricorso NON segue l’affermazione dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente, in quanto ammesso al PASS.

P.Q.M.

La Corte:

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano, in favore della controricorrente, nella misura di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-1 sezione civile, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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