Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29875 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 20/11/2018), n.29875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Antonio Francesco – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17357-2017 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLA TURAROLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 187/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 25/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/11/2018 dal Presidente Relatore Dott. FRANCESCO

ANTONIO GENOVESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Torino, con la sentenza n. 187 del 2017 (pubblicata il 25 gennaio 2017), in reiezione dell’appello proposto dal sig. S.B., cittadino del Mali, proveniente dalla Libia, via Algeria, ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città che aveva respinto la domanda di protezione internazionale e quelle subordinate, pure proposte.

Secondo la Corte territoriale, la narrazione dei fatti svolta dal richiedente asilo era assai semplice e riguardava la ricerca di una prospettiva di miglioramento della propria vita. Nè la regione di provenienza (il Keyes, nello stato del Mali) era caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata; nè egli apparteneva ad una particolare categoria soggettiva svantaggiata.

Il ricorrente assume (con due mezzi, articolati su più profili) la carenza motivazionale per omesso esame di fatti decisivi, la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, specie in riferimento alla attuale condizione della sua regione di provenienza ed alle problematiche relative al banditismo, precarietà e terrorismo, alle problematiche note relative alla Libia.

Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alla parte costituita nel presente procedimento, alla quale NON sono state mosse osservazioni critiche da parte del ricorrente.

Orbene, il richiamo fatto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, (Criteri applicabili all’esame delle domande), secondo cui “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’art. 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative.”, non appare dirimente.

Infatti, il ricorrente non spiega quale connessione vi sia tra il transito libico e il contenuto della propria domanda, con ciò rendendo quella parte di vicenda effettivamente irrilevante. Essa, infatti, va esaminata nel suo nucleo essenziale (ossia, non quello meramente narrativo e di dettaglio, ma per comprendere la propria vicenda umana, in vista dell’esame della richiesta di protezione internazionale) sicchè la memoria fraintende il discusso riferimento normativo.

Quest’ultimo mira, solo “ove occorra”, alla ricostruzione della vicenda individuale (e alla valutazione della sua credibilità) non certo ad ottenere, per il solo fatto che in un Paese di transito (nella specie: la Libia) si consuma un’ampia violazione dei diritti umani, l’accoglimento della propria domanda, viceversa da valutare considerando essenzialmente la relazione della propria vicenda con la situazione del Paese di provenienza. Il ricorso è, dunque, inammissibile: perchè, come si è chiarito, in disparte l’irrilevanza della narrata condizione del soggiorno di transito in Libia, l’impugnazione censura, anche sotto le sembianze della violazione di legge, il presunto mancato esercizio dei poteri ufficiosi e il difetto della motivazione, che invece è presente sicchè le doglianze proposte integrano o una richiesta di riesame delle risultanze, e un’istanza di rivalutazione degli elementi emersi nel corso della fase di merito (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 2014), o una richiesta di inammissibile esercizio – in questa sede – di indagini, con riferimento ad elementi che non risultano svolti od esaminati nella sentenza impugnata (la situazione attuale del Gambia), senza neppure riportare il contenuto delle allegazioni svolte a tale proposito nel corso del giudizio di merito.

Non v’è materia per la regolazione delle spese, non avendo l’intimata PA svolto attività difensiva in questa fase, ma solo per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte:

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-1 sezione civile, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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