Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29873 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. II, 18/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 18/11/2019), n.29873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22642-2015 proposto da:

G.V., FENICE S.p.A. in persona del procuratore

B.C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati RICCARDO MONTANARO,

ANGIOLA PEYRANO PEDUSSIA;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA POTENZA, nella persona del Presidente pro-tempore,

rappresentata e difesa dagli avvocati EMANUELA LUGLIO e NICOLA

SABINA dell’Avvocatura della Provincia di Potenza;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 19/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/06/2019 dal Consigliere ELISA PICARONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Melfi, con la sentenza n. 454 del 2011, rigettò l’opposizione proposta da G.V. e da Fenice s.p.a., rispettivamente responsabile dell’impianto di termovalorizzazione sito in (OMISSIS) e società proprietaria-gestore dell’impianto, avverso l’ordinanza-ingiunzione del 29 dicembre 2010 dalla Provincia di Potenza, notificata il 24 gennaio 2011, con la quale era stata irrogata la sanzione pecuniaria di Euro 34.000,00, per violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 304, commi 2 e 3.

2. La Corte d’appello di Potenza ha confermato la decisione.

2.1. Era incontestato il fatto che, a seguito della comunicazione ARPAB 4 marzo 2009 di una situazione di contaminazione all’interno dell’area del termovalorizzatore, gli opponenti avessero posto in essere gli interventi di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 304, comma 1, e avessero inviato le comunicazioni previste dal comma 2 della norma citata ai soggetti ivi indicati, con l’eccezione del Prefetto, al quale la comunicazione era stata inviata con un ritardo di 34 giorni. Il ritardo, equiparabile all’omessa comunicazione anche ad uno solo dei soggetti indicati dalla norma, integrava l’illecito amministrativo contestato, tanto più in considerazione del ruolo che il Prefetto riveste nel sistema delineato dall’art. 304 citato.

2.2. La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile, in quanto nuova, la questione dell’inapplicabilità della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 304, comma 2, riferita alla categoria generale del danno ambientale, laddove, secondo gli appellanti, si sarebbe dovuto fare applicazione della normativa specifica in materia di bonifica di siti contaminati.

3. G.V. e Fenice spa ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, ai quali resiste con controricorso la Provincia di Potenza. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. e documenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si rileva l’inammissibilità della produzione documentale dei ricorrenti, che non rientra nel paradigma previsto dall’art. 372 c.p.c..

Nel giudizio di legittimità non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 12/11/2018, n. 28999; Cass. 31/03/2011, n. 7515).

2. Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 437 c.p.c., D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 242, 257 e 304, L. n. 689 del 1981, art. 9 e si contesta il giudizio di inammissibilità espresso dalla Corte territoriale in ordine al motivo con il quale era censurata l’applicabilità al caso di specie del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 304, comma 2. Secondo i ricorrenti non si trattava di domanda nuova, ma di una diversa prospettazione del petitum sotto il profilo della individuazione delle nome applicabili, che non era vietata (sono richiamate Cass. 09/07/1983, n. 4665 e Cass. 11/07/2007, n. 15496).

3. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.Lgs. n. 152 del 206, artt. 242, 257 e 304, L. n. 689 del 1981, art. 1 e si contesta che il ritardo nella comunicazione ad uno solo dei destinatari integri l’illecito contestato, tenuto conto del dato testuale dell’art. 304, comma 2, citato.

4. Con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e si lamenta che la Corte d’appello non abbia riconosciuto la buona fede dei ricorrenti.

5. I motivi sono privi di fondamento.

5.1. La questione concernente la disciplina sanzionatoria applicabile alla fattispecie concreta, come dedotta per la prima volta in grado di appello dagli opponenti, era fondata su un diverso presupposto fattuale concernente la situazione del sito nel quale si era verificata la contaminazione, e pertanto correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che si trattasse di modifica della domanda (ex plurimis, Cass. 11/07/2007, n. 15496 anche citata dai ricorrenti).

La diversa ricostruzione del quadro normativo muoveva dall’assunto che la condotta tipica – il fatto che integra l’illecito amministrativo – fosse sussumibile nella previsione astratta del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 242 che disciplina le procedure operative ed amministrative di prevenzione all’interno dei siti contaminati sottoposti a bonifica, e che pertanto la sanzione applicabile fosse quella prevista dall’art. 257 stesso decreto.

In disparte la correttezza del quadro normativo come richiamato dagli appellanti, la questione non era stata dedotta con il ricorso in opposizione con il quale l’applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 304 era stata contestata sotto il profilo tutto interno alla previsione sanzionatoria ivi contenuta.

5.2. Risulta infondata anche la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso, concernente l’interpretazione della norma sanzionatoria applicata.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 304 prevede, per il caso di “minaccia imminente” di danno ambientale, che l’operatore interessato entro 24 ore comunichi il pericolo di danno ambientale ai soggetti indicati nel comma 2, prima parte, e adotti a proprie spese misure di prevenzione e messa in sicurezza. L’omissione di tali adempimenti è sanzionata ai sensi dell’art. 304, comma 2, ultimo cpv.

Come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, l’illecito è integrato dalla mancata comunicazione (anche) ad uno dei soggetti indicati nel termine di 24 ore.

Il legislatore ha indicato i destinatari della comunicazione senza distinguere tra gli stessi, ed ha previsto il termine entro il quale deve essere effettuata la comunicazione per poi procedere all’adozione delle misure di sicurezze (il tutto entro 24 ore). Ogni diversa lettura della previsione normativa introdurrebbe varianti non consentite all’interprete in ambito sanzionatorio, nè si ravvisano elementi per dubitare della ragionevolezza di siffatta previsione.

5.3. Il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile.

La questione in esso prospettata non è stata trattata nella sentenza impugnata e i ricorrenti non hanno neppure allegato l’avvenuta sua deduzione innanzi al giudice d’appello, con la conseguenza che la censura non può essere esaminata in questa sede (ex plurimis, Cass. 13/06/2018, n. 15430).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alle spese, nella misura indicata in dispositivo.

Sussistono in presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200.00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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