Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29869 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. II, 18/11/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 18/11/2019), n.29869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19822-2016 proposto da:

C.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato LUIGI SAVOCA ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in CATANIA, CORSO

delle PROVINCE 15;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE d’APPELLO di MESSINA, depositato il

13/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/05/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con’ ricorso depositatò in data 6 agosto 2012 il Dott. C.G. conveniva dinanzi alla Corte d’Appello di Messina il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, chiedendone la condanna, a titolo di risarcimento del danno quale equa riparazione per la eccessiva durata del processo amministrativo, al pagamento della somma di Euro 15000 (per un periodo di poco meno di 21 anni, dal 27.12.1991 al 6.8.2012). Il ricorrente deduceva di aver proposto ricorso in data 27 dicembre 1991 davanti al TAR della Sicilia, sezione staccata di Catania, nei confronti del Ministero per l’Università, per impugnare il provvedimento di esclusione dalla partecipazione alla III tornata di idoneità a professore associato. Precisava che il Tribunale amministrativo adito aveva accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, ammettendolo al concorso.

La Corte di merito, con decreto del 10 maggio 2013, rigettava il ricorso. Il ricorrente impugnava tale provvedimento davanti a questa Corte di Cassazione, che, con sentenza del 26 novembre 2014 (n. 9275), cassava il decreto impugnato e rinviava alla stessa Corte d’Appello per la rinnovazione del giudizio. Il ricorso veniva respinto, all’udienza del 27 maggio 2016, con il decreto in questa sede impugnato.

C.G. propone ricorso per Cassazione deducendo quattro censure nei sensi di seguito esposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso è dedotta la “Violazione art. 324 c.p.c.”, sotto il profilo della violazione del giudicato formatosi per effetto della precedente decisione di questa Corte n. 9275/2015; con i motivi secondo, terzo e quarto, il ricorrente deduce rispettivamente la “violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2”, la “violazione dell’art. 6 CEDU” e la “violazione dell’art. 91 c.p.c.”.

1.1. – I motivi, che in considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica vanno esaminati e decisi congiuntamente, non sono fondati.

1.2. – Si deve osservare che la precedente statuizione di questa Corte nel giudizio de quo non ha affermato, neppure implicitamente, l’esistenza in concreto di un danno risarcibile, ma ha soltanto inteso dichiarare la violazione dell’obbligo del giudice di merito di svolgere ogni opportuna determinazione in ordine all’accertamento del fondamento in fatto della pretesa risarcitoria in termini di natura del danno risarcibile. Nella precedente decisione di questa Corte, infatti, non è stato espresso alcun riconoscimento del merito della controversia, essendo essa limitata al sindacato di legittimità del modus procedendi erroneamente seguito dalla Corte di merito per l’accertamento fattuale della domanda dell’attore, consistente nella verificazione della specifica fattispecie risarcitoria.

Circoscritta in questi sensi la censura in esame, in relazione alla pretesa violazione dell’art. 324 c.p.c., atteso che non risulta alcuna implicita statuizione avente forza di giudicato per la definizione della presente controversia, la questione all’esame di questa Corte consiste nella considerazione del comportamento processuale tenuto dal ricorrente in sede amministrativa, quale concausa della anomala durata del giudizio di merito.

1.3. – Risulta infatti che (proposto ricorso in data 27 dicembre 1991 davanti al TAR della Sicilia, sezione staccata di Catania, nei confronti del Ministero per l’Università, per impugnare il provvedimento di esclusione dalla partecipazione alla III tornata di idoneità a professore associato; ed essendo stata accolta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, con ammissione al concorso) il ricorrente, nel successivo ventennio non si sia più in alcun modo attivato, “mai presentando nel corso degli anni istanze di prelievo e di fissazione di udienze” volte a segnalare, al fine di sollecitare la definizione del giudizio, urgenza della trattazione del ricorso, ai sensi dell’art. 71 codice del processo amministrativo.

Sicchè il giudicante ha osservato che siffatto comportamento processuale, oltre a dimostrare l’assoluta “indifferenza” dell’istante (una volta aver conseguito la sospensione cautelare del provvedimento impugnato) rispetto al prosieguo del giudizio di merito davanti al TAR, “comporta necessariamente che si debba rigettare la richiesta per mancanza di un presupposto fondamentale” (decreto impugnato pagina 3).

1.4. – E’ ben vero che questa Corte ha osservato che il provvedimento cautelare, ancorchè anticipi tutti gli effetti della sentenza richiesta al giudice, è atto precario e rivedibile, di modo che non tocca il diritto della parte attrice di ottenere la definizione entro un termine ragionevole della controversia, nè correlativamente esclude il dovere dello Stato, in linea con gli impegni assunti in sede internazionale e recepiti nell’ordinamento interno, di assicurare la conclusione della causa nel rispetto di quel termine (Cass. n. 10226 del 2013). Ma è altrettanto vero che il provvedimento può incidere sul diverso versante della consistenza delle conseguenze negative del ritardo, specie quando la accordata protezione provvisoria delle posizioni dell’istante sia pari a quella reclamata con la domanda di merito, non ostando alla configurabilità di un pregiudizio morale, pure se di entità ridotta, dato che la precarietà di quella protezione può non eliminare l’incertezza e la connessa sofferenza per l’attesa della definizione della lite, potendo solo diminuirne l’intensità, in relazione all’aspettativa del conformarsi dell’emananda sentenza alle determinazioni di tipo interinale già adottate dal giudice (Cass. n. 21905 del 2012).

Orbene, nella specie (in cui il ricorrente aveva ottenuto in sede cautelare un provvedimento i cui effetti immediati erano pari, in termini di pieno e definitivo soddisfacimento della pretesa azionata, a quelli conseguibili nel merito, tanto da renderlo superfluo), si aggiunge la rilevata mancata presentazione di istanze di sollecita trattazione, quale manifestazione dell’esigenza che sia posto rimedio al prodursi di un danno patrimoniale per la sofferenza derivante dall’eccessivo perdurare del processo di merito, che costutuisce un onere in capo alla parte, ed il cui mancato assolvimento (tanto più se per un periodo estremamente lungo ed a cagione della satisfattività del provvedimento cautelare ottenuto) ragionevolmente dimostra la mancanza di interesse o “indifferenza” (e quindi della assenza di sofferenza) del ricorrente rispetto alla definizione della controversia nei congrui tempi del giusto processo (Cass. n. 22503 del 2004).

2. – Ciò determina la infondatezza del ricorso nella sua interezza e, di conseguenza, con riferimento a tutti i motivi.

3 – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese, in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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