Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29867 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. II, 18/11/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 18/11/2019), n.29867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14414-2015 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe

Ferrari 2, presso lo studio dell’avvocato Giorgio Antonini, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bambina Daniela

Mammarella;

– ricorrente –

contro

M. Meccanica Snc G.M. & C, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Cosseria 2, presso lo studio dell’avvocato

Alfredo Placidi, rappresentata e difesa dall’avvocato Benedetto

Graziosi;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 481/2015 della Corte d’appello Di Bologna,

depositata il 09/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Annamaria Casadonte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Mistri

Corrado che ha concluso per la parziale inammissibilità e per il

rigetto nel resto del ricorso;

udito l’Avvocato Giorgio Antonini per parte ricorrente che ha

concluso come in atti e l’Avvocato Benedetto Graziosi che ha

concluso come in atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato da M.D. nei confronti della società M. Meccanica s.n.c. di G.M. & C. (d’ora in poi solo M.) avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna che in riforma della sentenza di primo grado accoglieva l’impugnazione proposta dalla società M. avverso la sentenza di primo grado.

2. La società M. aveva convenuto in giudizio il signor M. per sentire accertare il diritto ad ottenere il rispetto delle distanze prescritte dal combinato disposto dell’art. 873 c.c. e D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 con conseguente condanna del convenuto M. alla demolizione delle opere edificate ad una distanza inferiore a 10 ml., oltre al risarcimento dei danni subiti a causa della illecita costruzione.

3.Costituendosi il convenuto aveva contestato la domanda attorea deducendo che il fabbricato asseritamente non a norma costituiva parte di un capannone industriale con annessa palazzina di pertinenza, originariamente appartenente ad un unico proprietario e poi venduto per una parte ad esso M. e per l’altra alla signora P.P.. Aggiungeva che i due aventi causa dell’originario unico proprietario avevano, successivamente all’acquisto, presentato l’istanza congiunta di concessione al fine di eseguire opere edilizie sulla rispettiva porzione di edificio e che, in forza di tale istanza congiunta, avevano conseguito la relativa concessione edilizia. Sulla base di tale titolo autorizzativo egli aveva sopraelevato di un piano la sua palazzina, dopodichè aveva ricevuto la diffida dalla società M. che, quale avente causa della P., gli aveva ingiunto di abbattere il piano sopraelevato perchè costruito senza il rispetto della distanza di 10 ml dalle pareti finestrate.

3.1.Ciò posto, il convenuto aveva eccepito che i in ragione dell’avvenuta presentazione di un apposito “progetto unitario” ai sensi dell’art. 17 delle N. T.A. del PRG e della sottoscrizione di un atto di sottomissione, le opere potevano invocare la deroga prevista dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., e che, perciò, non ricorrevano i presupposti per l’applicabilità dell’invocata disciplina sulla distanza tra pareti finestrate e, pertanto, aveva concluso per il rigetto della domanda della società.

4.Istruita la causa mediante documenti e ctu il tribunale di prime cure aveva ritenuto legittima la realizzata sopraelevazione.

5.Proposto appello dalla società M., la corte decideva la causa dichiarando il difetto di giurisdizione.

6.Impugnata per cassazione tale statuizione, con sentenza n. 20223/2012 le Sezioni Unite di questa Corte accoglievano il ricorso e rinviavano alla Corte d’appello di Bologna per il merito.

7. Riassunto il processo da parte della società M., la corte bolognese, in diversa composizione, con la sentenza qui impugnata ha ritenuto l’inesistenza dell’invocata deroga al D.M. n. 1444 del 1968.

8. La cassazione di detta sentenza è chiesta dal convenuto sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste con controricorso la società M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 nonchè degli artt. 17 e 34 delle N.T.A. del PRG del Comune di Pianoro nonchè della L.R. n. 47 del 1978 e particolarmente degli artt. 8, 24, 25 e 39 nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione.

1.1.In particolare si contesta la legittimità della tesi sostenuta nella pronuncia gravata secondo cui il piano particolareggiato e la lottizzazione convenzionata esauriscono la gamma degli strumenti urbanistici nell’ambito dei quali è consentita la deroga alla previsione della distanza minima di metri 10 tra edifici con pareti finestrate prevista dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 2. Al contrario, sostiene il ricorrente, la corte distrettuale avrebbe dovuto considerare lo strumento urbanistico di dettaglio utilizzato nel caso di specie, e cioè il progetto unitario e, in base al raffronto con la previsione degli artt. 17 e 34 delle NTA, ricondurre la fattispecie concreta a quella assimilabile alla tipologia di interventi che consentono la richiamata deroga dal rispetto delle distanze.

1.2.La censura è infondata.

1.3.Premesso che il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., prevede che “Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”, l’interpretazione operata dalla corte bolognese è conforme a legge.

1.4.Come, infatti, chiarito anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 6/2013 avente ad oggetto la legittimità costituzionale della L.R. Marche n. 31 del 1979, gli strumenti urbanistici che consentono la deroga prevista dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., sono tipici, giacchè il regime delle distanze fra costruzioni nei rapporti tra privati appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, cui le Regioni possono derogare solo con previsioni più rigorose, funzionali all’assetto urbanistico del territorio (cfr. nello stesso senso Cass. 18588/2018; id.26518/2018).

1.5. Al di fuori di tale bilanciamento di interessi, è stato chiarito che in tema di distanze tra costruzioni, la deroga alla disciplina stabilita dalla normativa statale, da parte degli strumenti urbanistici regionali deve ritenersi legittima quando faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) che siano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni, considerate come fossero un edificio unitario, e siano finalizzate a conformare un assetto complessivo di determinate zone; ciò in quanto la legittimità di tale deroga è strettamente connessa al governo del territorio e non, invece, ai rapporti fra edifici confinanti isolatamente intesi (cfr. Cass. 27638/2018).

1.6.La conclusione della corte bolognese si inscrive in questa ricostruzione ermeneutica e correttamente ha ritenuto che lo strumento del piano unitario, non finalizzato a considerare interessi superindividuali rispetto a quelle dei due privati che l’hanno presentato, non è equiparabile ad un piano particolareggiato e ad una lottizzazione convenzionata, risolvendosi, come è stato osservato, in una istanza congiunta di concessione edilizia relativa a singole costruzioni e non concernente in alcun modo l’assetto urbanistico di un’intera area del territorio comunale (cfr. Cass. 3803/2014, in tema di strumento urbanistico definito Studio Unitario d’Ambito previsto dalla Legge Urbanistica Piemontese n. 56/1977).

1.7.La natura pubblicistica degli interessi che possono giustificare la deroga alla disciplina sulle distanze fra edifici comporta che in difetto di ciò, il preventivo assenso alla sopraelevazione attestato dalla firma congiunta non possa, nel caso di specie, esonerare l’opera di sopraelevazione posta in essere dal ricorrente dal rispetto di quelle distanze.

2.Con il secondo motivo si deduce l’erronea interpretazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 nonchè della L.R. Emilia Romagna n. 47 del 1978, artt. 12 e ss. e success. integrazioni e modificazioni nonchè della L. n. 1150 del 1942, artt. 13 e ss., degli artt. 23,28 e 61 delle NTA del VG al PRG del Comune di Pianoro, oltre alla omessa ed insufficiente motivazione, per non avere la corte d’appello che, nel caso di specie, non si era in presenza di pareti finestrate di “edifici” ma di un unico edificio, seppure appartenente per singole porzioni a diversi proprietari in proprietà individuale.

2.1.La censura appare inammissibile.

2.2.Con essa, infatti, si deduce un profilo di contestazione – l’insussistenza della fattispecie della individuazione della distanza fra “edifici”, vertendosi, piuttosto, nella diversa fattispecie dell’unico edificio, seppure appartenente per singole porzioni a due diversi proprietari, con conseguente irrilevanza delle previsioni del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 – nuovo, che non risulta essere stato sollevato in precedenza nè esaminato nella sentenza impugnata ovvero in quella di prime cure.

2.3.In tal caso occorre richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

2.4.Pertanto, non avendo il ricorrente provveduto ad indicare l’atto nel quale aveva posto la questione in esame, deve concludersi per l’inammissibilità della questione (cfr. Cass. 1453/2013; id.27568/2017; id.16347/2018).

3.Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1225,1226 e 1227,2058 e 2697 c.c. e art. 111 Cost. per avere la corte distrettuale violato i principi di diritto che presiedono al risarcimento del danno per violazione della correttezza e buona fede e per concorso colposo del creditore nonchè in relazione al principio dell’onere della prova ed all’obbligo della sufficiente motivazione.

3.1.Il motivo non merita accoglimento.

3.2.La corte distrettuale ha, infatti, posto a fondamento della sua statuizione le risultanze della svolta ctu, risultanze che sono state ritenute correttamente formulate, nè il ricorrente ha indicato quali specifiche contestazioni sarebbero ad esse state mosse, con la conseguenza che la odierna contestazione pare attingere più alla conclusione in fatto che ai principi di diritto applicati.

4.Le considerazioni sin qui svolte conducono al rigetto del ricorso.

5. In applicazione della soccombenza, alla condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente e liquidate in Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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