Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29864 del 30/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 30/12/2020), n.29864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20879-2017 proposto da:

COMUNE DI REGGIO EMILIA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N 18,

presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCA GHIRRI giusta procura in calce;

– ricorrente –

e contro

V.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 554/2016 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 06/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIUSEPPE PECORILLA per delega

dell’avvocato FRANCESCA GHIRI che si riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

V.S. ricorreva alla CTP di Reggio Emilia avverso gli avvisi di accertamento ICI per gli anni dal 2005 al 2009 relativi a tre unità immobiliari di cui la stessa risultava comproprietario con la sorella V.R. assumendo la mancanza di motivazione degli atti e la strumentalità degli immobili alla propria attività di coltivatore diretto in pensione e quindi la ruralità degli stessi.

La CTP di Reggio Emilia con sentenza in data 31.1.2013 in accoglimento del ricorso dichiarava illegittimo l’avviso di accertamento ICI per l’anno 2006 in quanto i fabbricati rurali godono dell’esenzione anche se la variazione catastale è avvenuta successivamente vale a dire sulla scorta della domanda di variazione catastale presentata il 12.7.2012.

A sostegno dell’impugnazione riteneva violata l’irretroattività della norma perchè i requisiti di ruralità devono essere posseduti mediante l’attribuzione in catasto delle categorie A/6 e D/10 mentre il contribuente ha chiesto solo nel 2012 la variazione delle categorie.

La CTR del Lazio con sentenza in data 6.2.2017 rigettava l’appello ritenendo che le norme emanate a tutela della ruralità sono retroattive.

Avverso detta pronuncia il Comune di Reggio Emilia proponeva ricorso per cassazione articolato in un motivo. La parte intimata non si costituiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso rubricato “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, laddove la Commissione Tributaria Regionale di Bologna ha omesso l’esame del provvedimento di diniego della richiesta di riconoscimento de requisiti fiscali di ruralità adottato dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Reggio Emilia-Territorio N. (OMISSIS), datato 1.8.2014 e depositato agli atti del giudizio davanti alla CTR di Bologna, dal Comune di Reggio Emilia, con nota di deposito del 26.11.2016 e le visure catastali degli immobili in questione dalle quali risultava il mancato riconoscimento di ruralità”, parte ricorrente deduceva che la CTR non ha in alcun modo menzionato il provvedimento indicato nè risulta averlo esaminato.

Aggiungeva che il tema della sussistenza del requisito della ruralità dei cespiti dal 2005 al 2009 ha costituito fin dal primo grado di giudizio il principale oggetto di discussione tra le parti.

In via subordinata con un secondo motivo di ricorso deduceva “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter laddove ha ritenuto che la domanda di variazione catastale presentata in data 17.2.2012 dal signor V. ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis convertito con modificazioni dalla L. n. 106 del 2011 e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali abbia prodotto gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità, la annotazione negli atti catastali relativamente al requisito di ruralità anche relativamente alle annualità 2005, 2006 e 2007 vale a dire oltre il termine di cinque anni antecedenti la domanda di variazione catastale. Il richiamo all’art. 2, comma 5 ter prevede infatti che gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito della ruralità si producano a decorrere dal quinto anno antecedente quello di presentazione della domanda. Nel caso di specie potevano pertanto prodursi gli effetti soltanto per le annualità dal 2008 al 2012 rimanendo esclusi gli anni di imposta 2005, 2006 e 2007”.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Va premesso che il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Pertanto, la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (vedi Cass., Sez. 3, Sez. 3, n. 16812/2018).

Nella specie, la CTR non ha esaminato il documento costituito dal rigetto dell’istanza di riconoscimento di ruralità, documento in parte trascritto nel corpo dell’atto e comunque allegato al ricorso con la relativa nota di deposito nel giudizio di appello datata 26 novembre 2016.

Indubbia è la valenza decisiva del documento de quo, di cui non viene fatta menzione, neppure implicitamente, nella sentenza impugnata, trattandosi di diniego emesso dall’Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia in data 1.8.2014 a fronte della domanda di variazione catastale presentata alla locale Agenzia del Territorio da V.S. il 17.2.2012, non avendo gli immobili in questione i requisiti fiscali di ruralità e dipendendo la ruralità non dalla destinazione concreta ed effettiva dei fabbricati ma dalla loro formale classificazione in A6 o D10 (nella specie pacificamente mancante).

Ed invero, va fatta applicazione del principio (vedi in tal senso Cass. Sez. U. 18565/09 in motiv.) secondo cui “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a).

L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggetta mento del fabbricato all’imposta”.

A tale orientamento hanno fatto seguito altre pronunce di legittimità (tra cui, Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14), a confermare la irrilevanza dello svolgimento o meno, nel fabbricato, di attività diretta alla manipolazione o alla trasformazione di prodotti agricoli, risultando decisivo unicamente il classamento.

Nella specie dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che nega il riconoscimento della ruralità ai cespiti immobiliari di cui si controverte consegue tout court la mancanza dei requisiti per l’esenzione dall’ICI per tutte le annualità in contestazione.

Ne deriva che la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c. trattandosi in questa sede unicamente di far discendere dal provvedimento in questione l’effetto giuridico dirimente dato dal venir meno nella specie di ogni riconoscimento legale retroattivo di ruralità – il procedimento può essere deciso nel merito con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

In considerazione del consolidarsi in corso di causa del su riportato assetto normativo, le spese relative ai giudizi di merito vanno compensate.

Le spese relative al giudizio di legittimità secondo il principio della soccombenza vanno poste a carico del contribuente.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente.

Compensa le spese relative ai giudizi di merito.

Condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1400,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2020

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