Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29864 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. I, 29/12/2011, (ud. 14/11/2011, dep. 29/12/2011), n.29864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ELEONORA DUSE 35, presso l’avvocato VASSALLI

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAPPALARDO FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI BERGAMO S.P.A.;

– intimata –

Nonchè da:

BANCA POPOLARE DI BERGAMO S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA NAZIONALE 204, presso l’avvocato ZITIELLO LUCA, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

V.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ELEONORA

DUSE 35, presso l’avvocato VASSALLI FRANCESCO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAPPALARDO FRANCESCO, giusta procura

a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3290/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/11/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato PAPPALARDO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto dell’incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

ZITIELLO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,

accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 3 marzo 2004 il sig. V.V. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Banca Popolare di Bergamo, cui egli si era rivolto per la prestazione di servizi d’investimento finanziario in anni compresi tra il 1996 ed il 2001, imputando a detta banca di aver agito in conflitto d’interessi e di non avergli fornito adeguate informazioni. Chiese perciò che la convenuta fosse condannata a risarcire i danni da lui subiti per il cattivo esito degli investimenti.

La domanda dell’attore fu accolta dal tribunale solo con riferimento ad investimenti in titoli azionari ad alto rischio effettuati negli anni 2000 e 2001, onde la Banca Popolare di Bergamo fu condannata a risarcire il danno, quantificato in Euro 1.559.479,48, oltre agli accessori. Il tribunale accolse però anche la domanda riconvenzionale che l’istituto di credito aveva formulato per ottenere il pagamento del saldo passivo del conto corrente intestato all’attore, il quale fu perciò a propria volta condannato a corrispondere alla banca l’importo di Euro 334.862,06.

Avendo entrambe le parti proposto gravame, la Corte d’appello di Roma, con sentenza emessa il 1 settembre 2009, ridusse all’importo di Euro 779.739,74 il risarcimento del danno in favore del sig. V., cui attribuì un concorso di colpa nella misura del 50%, e confermò per il resto la decisione di primo grado.

La corte romana reputò che la pretesa risarcitoria del sig. V. fosse infondata, nella parte riguardante gli investimenti finanziari in titoli obbligazionari ed azionari a basso rischio eseguiti per il tramite della Banca Popolare di Bergamo tra il 1996 ed il 2000, giacchè tali investimenti si erano risolti per il cliente in un guadagno. Quanto agli investimenti in titoli azionari eseguiti in epoca successiva, da cui erano derivate perdite, la stessa corte osservò che, se per un verso doveva farsi carico alla banca di non aver fornito all’investitore le dovute informazioni sulla natura e sulle caratteristiche di quei titoli e di non avere esercitato il prescritto vaglio di adeguatezza dell’investimento rispetto al profilo del cliente, per altro verso occorreva considerare che il medesimo sig. V., disponendo di strumenti culturali e di esperienza adeguata, avrebbe ben potuto rendersi conto egli stesso dell’elevato rischio che assumeva, giacchè si trattava di titoli in ordine ai quali erano già ampiamente circolate sulla stampa notizie assai allarmanti.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il sig. V., prospettando tre articolati motivi di doglianza.

La Banca Popolare di Bergamo si è difesa con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale per tre motivi, al quale il sig. V. ha a propria volta replicato con un controricorso.

Ambo le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente esser riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..

2. E’ stata preliminarmente eccepita l’inammissibilità del ricorso principale, perchè sarebbe stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica quando il difensore del ricorrente era ancora sprovvisto di procura, rilasciatagli dalla parte solo il giorno successivo.

L’eccezione appare manifestamente priva di fondamento, sol che si consideri come la procura al difensore risulti vergata a margine del ricorso notificato, onde è di tutta evidenza che non può essere stata rilasciata prima della spedizione del medesimo ricorso per la notifica e che, pertanto, l’indicazione della data in calce alla procura stessa è frutto di un ben riconoscibile errore materiale.

3. Si può quindi senz’altro procedere all’esame delle censure mosse all’impugnata sentenza, ma prima ancora giova, per maggior chiarezza, puntualizzare che il rapporto di cui si discute, come da quella medesima sentenza si desume, è retto da un contratto stipulato nel marzo del 1996 tra il sig. V. e la Banca Popolare di Bergamo, in forza del quale quest’ultima si era impegnata a prestare un servizio d’investimento avente ad oggetto la negoziazione di strumenti finanziari. L’esecuzione di tale contratto si è protratta almeno sino al 2001 e la corte d’appello la ha scomposta in due distinte fasi: la prima, relativa agli anni dal 1996 al 2000, caratterizzata da ordini d’investimento (e disinvestimento) riguardanti titoli obbligazionari o comunque titoli a basso rischio;

la seconda, relativa agli anni 2000 e 2001, nella quale invece il cliente ha investito in titoli azionari (della c.d. new economy) caratterizzati da un livello di rischio molto elevato.

Giova anche ricordare, in premessa, che al rapporto in questione, come agevolmente si evince dalle indicazioni sopra riferite, risultano applicabili disposizioni normative diverse, succedutesi nel tempo: inizialmente quelle della L. n. 1 del 1991 e del regolamento Consob n. 8850 del 1994, poi quelle del D.Lgs. n. 415 del 1996 e del regolamento Consob n. 10943 del 1997 ed, infine, quelle dettate dal D.Lgs. n. 58 del 1998 (c.d. tuf) e dal regolamento Consob n. 11522 del 1998; non anche, però, le modificazioni che a quest’ultime disposizioni sono state apportate in attuazione di direttive comunitarie (c.d. direttive Mifid) sopravvenute solo nel 2004.

Avendo la corte territoriale rigettato la domanda di risarcimento del danno formulata dal cliente con riguardo ad investimenti realizzati nel primo dei due suindicati periodi temporali ed accolto solo in parte quella relativa agli investimenti del secondo periodo, perchè ha ravvisato un concorso di colpa ascrivibile al medesimo cliente, i motivi di ricorso da quest’ultimo proposti si riferiscono tanto al rigetto della prima domanda quanto all’accoglimento solo parziale della seconda. I motivi del ricorso incidentale riguardano invece, ovviamente, soltanto gli investimenti del secondo periodo e sono volti a sostenere che alla banca non è imputabile neppure una responsabilità parziale.

Converrà, quindi, esaminare anzitutto le questioni sollevate dal ricorso principale con riferimento all’asserita responsabilità della banca per gli investimenti del primo periodo. Poi ci si occuperà delle doglianze della ricorrente incidentale, che vorrebbe escludere ogni propria responsabilità per gli investimenti del secondo periodo, e di quelle prospettate, sempre con riguardo a tali ultimi investimenti, dal ricorrente principale per negare il suo concorso di colpa. Quindi si dovrà trattare la questione dell’identificazione e della quantificazione del danno. Infine andranno considerate, ma a parte, le doglianze riguardanti l’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla banca per il pagamento del saldo di conto corrente.

4. Col primo motivo del ricorso principale vengono al tempo stesso denunciate violazioni della normativa di settore, vizi di omessa pronuncia e vizi di omessa motivazione dell’impugnata sentenza.

Ciò di cui il ricorrente si duole è che la corte d’appello, con riguardo al primo dei due periodi temporali sopra richiamati, non abbia esaminato le argomentazioni difensive con le quali egli aveva inteso evidenziare il mancato rispetto, ad opera della Banca Popolare di Bergamo, delle disposizioni allora vigenti nella prestazione dei servizi d’investimento, essendosi detta corte limitata a rilevare che gli investimenti effettuati in quel periodo avevano prodotto guadagni e non perdite per il cliente. Ma, secondo il ricorrente, ciò non sarebbe vero, dovendosi aver riguardo, per un verso, alle commissioni lucrate dalla banca su operazioni non necessarie e, per altro verso, alle “perdite immediate e prospettiche per la sconsiderata rinuncia a titoli di sicuro rendimento e di elevata profittabilità”. Comunque, sempre a parere del ricorrente, poichè l’intermediario si sarebbe dovuto astenere da1l’eseguire operazioni non adeguate ed in situazione di conflitto d’interessi, la responsabilità nei confronti del cliente prescinderebbe dal danno subito.

Nel corpo del medesimo motivo di ricorso si accenna, inoltre, al fatto che la banca avrebbe proceduto all’acquisto di alcuni titoli al di fuori del mercato regolamentato, senza il rispetto delle disposizioni che all’epoca vigevano a tal riguardo, e se ne deduce che quegli acquisti avrebbero dovuto esser dichiarati nulli. Si sarebbe poi trattato di acquisti effettuati, oltre che in conflitto d’interessi, in violazione della regola dell’esecuzione al meglio (best execution), nonchè del divieto per l’intermediario di negoziare in proprio su mercati non regolamentati e di percepire commissioni.

Infine, il ricorrente lamenta che la corte d’appello non si sia pronunciata su alcune eccezioni procedurali da lui formulate in relazione al fatto che, in primo grado, era stata disposta senza adeguata ragione giuridica la sostituzione dell’originario giudice istruttore e che illegittimamente il giudice istruttore sopravenuto aveva revocato i provvedimenti con cui era stata già ordinata tanto una consulenza tecnica d’ufficio quanto la comparizione personale delle parti.

5. Le doglianze sopra riferite, benchè la loro comprensione sia resa talora meno agevole dall’intrecciarsi di argomentazioni riguardanti ora l’una ora l’altra di esse, risultano in definitiva sufficientemente chiare, nè il fatto di essere doglianze distinte ma formalmente ricondotte ad un medesimo motivo di ricorso rende quest’ultimo inammissibile.

Si tratta, nondimeno, di doglianze non meritevoli di accoglimento.

5.1. Conviene anzitutto sgomberare il campo dalla questione dell’asserita nullità di alcune operazioni compiute dalla banca nella prestazione del servizio d’investimento commissionatogli dal cliente.

Come la difesa della stessa banca non ha mancato di eccepire, infatti, nessuna domanda di accertamento di nullità risulta sia stata proposta nell’atto introduttivo del giudizio, nè comunque la difesa del sig. V. indica di averla proposta, limitandosi nel ricorso a far cenno a questioni in proposito prospettate nel corso del giudizio di gravame. Se è vero, dunque, che di tale domanda la corte d’appello ha omesso di occuparsi, è vero altresì che non avrebbe in nessun caso potuto esaminarla ed accoglierla nel merito, stante il divieto d’introdurre domande nuove in secondo grado. Donde l’irrilevanza del dedotto vizio di omessa pronuncia (ed a maggior ragione, ovviamente, di omessa motivazione sul punto).

5.2. Del pari prive di rilievo appaiono le doglianze relative al fatto che la corte d’appello non si sia occupata dei pretesi vizi procedurali riscontrabili nel giudizio di primo grado, per esser stato sostituito l’originario giudice istruttore e per avere il giudice subentrato provveduto a revocare le ordinanze istruttorie disposte dal suo predecessore.

Si tratta nuovamente di eccezioni manifestamente infondate: giacchè il principio del giudice naturale si riferisce all’ufficio giudiziario investito della competenza giurisdizionale, e non al singolo magistrato. Ed è poi appena il caso di rilevare che le ordinanze istruttorie sono sempre revocabili dal collegio e che, anche a prescindere dal provvedimento di revoca disposto dal giudice istruttore subentrato, la decisione con cui il tribunale ha definito nel merito la causa pendente dinanzi a sè implica evidentemente la revoca di ogni precedente ordinanza istruttoria non espletata.

5.3. Nessuna violazione di legge è riscontrabile nel rigetto della domanda di risarcimento dei danni per accertata inesistenza dei danni stessi.

Nel sistema giuridico italiano, che, almeno in via generale ed ove non figurino indicazioni normative di segno diverso, non comprende la figura dei cosiddetti danni punitivi, la responsabilità civile, sia essa extracontrattuale o derivante da contratto, non può mai prescindere dall’esistenza (e dalla prova) del danno. In difetto di questa non si saprebbe neppure come individuare la misura della condanna, che presuppone una lesione del patrimonio dell’attore – per lucro cessante o per danno emergente – e solo alla riparazione di tale lesione può esser finalizzata.

Avendo perciò la corte d’appello condiviso, in punto di fatto, l’accertamento del tribunale secondo cui le operazioni finanziarie relative al primo dei due periodi temporali sopra indicati non avevano prodotto danno alcuno per il cliente, ed erano state anzi per lui vantaggiose, è del tutto ovvio che la domanda di risarcimento del danno, con riguardo a detti investimenti, dovesse essere rigettata; e non v’è alcuna ragione per la quale la corte dovesse nondimeno esaminare i profili di asserita illegittimità del comportamento della banca, volta che nessun danno ne era scaturito per il cliente.

5.4. Maggiore plausibilità, in astratto, potrebbero avere le censure che il ricorrente muove alla motivazione in base alla quale l’impugnata sentenza è pervenuta alla suaccennata conclusione negativa circa l’esistenza del danno.

E’ certamente vero che un danno potrebbe in teoria derivare al cliente anche da operazioni di disinvestimento e che tale danno potrebbe consistere anche nella minore utilità che le operazioni in esame hanno realizzato, rispetto al maggior beneficio che altri più oculati comportamenti dell’intermediario avrebbero potuto determinare.

Ma, per poter sostenere che un danno siffatto si è, in concreto, davvero verificato, il ricorrente avrebbe dovuto indicare gli elementi di fatto, da lui già allegati nel giudizio di merito e trascurati dalla corte d’appello nella motivazione della sentenza impugnata, dai quali si sarebbe potuto evincere con ragionevole certezza l’esistenza del lamentato pregiudizio. Il denunciato vizio di motivazione, altrimenti, difetta di decisività.

Viceversa, nel ricorso viene denunciato in modo affatto generico che vi sarebbero state, nel periodo di tempo considerato, operazioni dissennate di vendita ed acquisto di titoli con indebiti vantaggi per la banca; ma non si indicano fatti ed elementi specifici a tal riguardo. In termini appena un pò più specifici, si sostiene poi che, ove una parte di tali titoli (soprattutto, a quel che si comprende, dei titoli obbligazionari) fosse rimasta nel portafoglio del sig. V., questi avrebbe realizzato, nel lungo periodo, un maggior guadagno.

Premesso, però, che il servizio d’investimento reso dalla banca non era, nella specie, quello di gestione di portafoglio, bensì un servizio di negoziazione, non può farsi a meno di notare che la mera allegazione di un maggior valore, al tempo della futura scadenza, di titoli venduti anticipatamente dal cliente non basta, di per sè, ad individuare un danno imputabile all’intermediario. Le ragioni di una richiesta di disinvestimento da parte del cliente possono essere le più varie (ed attenere anche a motivi di ordine personale), e perciò il solo fatto che i titoli siano stati venduti prima della loro prevista scadenza è un evento del tutto fisiologico, cui ovviamente corrisponde l’incasso per il cliente di una somma pari al valore di mercato che i titoli avevano al momento della vendita, quale che fosse il loro valore nominale. La decisione di disinvestimento assunta dal cliente può esser stata o funzionale ad una diversa scelta d’investimento finanziario successivo o all’utilizzazione del denaro a scopi di consumo o, comunque, alternativi all’investimento finanziario. Di un danno risarcibile potrebbe perciò parlarsi, in una simile situazione, solo qualora fosse stato allegato, e si fosse chiesto di provare, che la vendita di quei, titoli è avvenuta ad un prezzo meno favorevole (non già rispetto a quanto se ne sarebbe potuto ricavare in un futuro più o meno lontano, bensì) rispetto al valore di mercato che in quel momento essi avevano, perciò riducendo ingiustificatamente le possibilità di riutilizzo economico del valore che attualmente esisteva nel patrimonio del cliente; oppure che quella vendita è avvenuta in funzione di una strategia di reinvestimento finanziario meno favorevole di quella consistente nel lasciare l’investimento com’era. Ma nulla di tutto ciò il ricorrente ha dedotto.

6. Passando ora a considerare gli investimenti operati nel secondo dei due periodi temporali sopra ricordati, conviene procedere all’esame dei primi due motivi del ricorso incidentale proposto dalla Banca Popolare di Bergamo, con cui si interseca il secondo motivo del ricorso principale proposto dal sig. V..

6.1. I primi due motivi del ricorso incidentale son volti a denunciare la violazione della normativa primaria e secondaria di settore e dell’art. 1227 c.c., nonchè vizi di contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.

Sostiene la difesa della banca che gli obblighi di comportamento da cui essa era gravata nella prestazione del servizio d’investimento di cui si tratta avrebbero dovuto essere considerati “in una visione dinamica e diacronica” del rapporto, ossia tenendo conto dell’esperienza progressivamente maturata dal cliente negli anni durante i quali egli aveva compiuto operazioni finanziarie; che, nell’esecuzione di ordini d’acquisto da parte del cliente, l’autodeterminazione di quest’ultimo nella scelta dell’investimento da compiere ha carattere assorbente rispetto al dovere della banca d’informarlo; che la corte d’appello non avrebbe potuto, al tempo stesso, affermare che la banca è venuta meno ai propri doveri informativi verso il cliente e che il cliente stesso era in grado di acquisire facilmente attraverso le notizie di stampa piena consapevolezza del rischio al quale simili operazioni lo esponevano;

che, viceversa, si sarebbe dovuto concludere che la negligenza imputata al sig. V. era stata la causa esclusiva del danno da lui sofferto.

6.2. Nel secondo motivo del ricorso principale, proposto anch’esso sia per violazione di legge sia per vizi di motivazione, richiamati gli obblighi di comportamento che gravano sull’intermediario, si sostiene che la loro accertata violazione non lasciava spazio alcuno all’asserito concorso di colpa del cliente, non essendo questi in alcun modo qualificato e non avendo alcun onere di assumere malcerte informazioni dagli organi di stampa. Si aggiunge, poi, che la corte d’appello non avrebbe adeguatamente motivato la decisione di quantificare il preteso concorso di colpa nella misura del 50%.

7. I primi due motivi del ricorso incidentale sono infondati.

Nel giudizio di merito è stato accertato, in punto di fatto, che il cliente non ha ricevuto dall’intermediario informazioni sufficienti sulla pericolosità dell’investimento che si accingeva a fare.

L’obbligo per l’intermediario di servire al meglio l’interesse del cliente (art. 21 TUF, comma 1), rafforzato dalla normativa regolamentare di secondo livello (non solo l’attuale ma anche quella vigente all’epoca dei fatti di causa) implica che l’intermediario medesimo debba farsi carico, prima di eseguire ordini di negoziazione impartitigli dal medesimo cliente, d’informarlo e di verificare il livello di consapevolezza del rischio da parte di quest’ultimo e l’adeguatezza dell’operazione rispetto alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi d’investimento ed alla sua propensione al rischio.

Può convenirsi con la difesa della banca sull’affermazione che gli obblighi per l’intermediario di procurarsi e di fornire le informazioni cui s’è fatto cenno sono suscettibili di assumere una dimensione ed una pregnanza diverse a seconda del grado di conoscenza ed esperienza finanziaria del cliente, ed anche la normativa secondaria non manca di registrare tali differenze ispirandosi ad un principio di graduazione della tutela. Ma quando, come nella specie, si è in presenza di un investitore non professionale (o, come si suole definirlo, di un cliente “al dettaglio”), dall’osservanza di quegli obblighi l’intermediario non può mai esimersi del tutto, soltanto adducendo di aver eseguito l’ordine così come impartitogli, pur se detto cliente abbia in precedenza acquistato altri titoli a rischio, perchè ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (cfr. Cass. 25 giugno 2008, n. 17340; e Cass. 29 ottobre 2010, n. 22147). Nè, d’altronde, la valutazione in concreto del grado di autoconsapevolezza del cliente, compiuta nel caso di specie dal giudice di merito, può esser sindacata in sede di legittimità, ove non si denunci la violazione di norme specifiche riguardanti la classificazione dei clienti in una delle diverse categorie normative al riguardo previste.

Neppure è ravvisabile una qualche contraddizione logica nel fatto che sia stata riconosciuta la responsabilità dell’intermediario per il difetto d’informazioni rese al cliente e sia stato contemporaneamente affermato un concorso di colpa di quest’ultimo per non aver tenuto conto delle notizie allarmanti che già ampiamente circolavano in ordine alla solidità dei titoli oggetto dell’investimento. Della discutibilità di quest’ultima affermazione si dirà più diffusamente poi, ma sin d’ora va sottolineato che ben diversa è la rilevanza e l’efficacia di un’informazione resa da un soggetto istituzionalmente e professionalmente qualificato, quale l’intermediario cui il legislatore appunto per questo affida la tutela dell’interesse del cliente, rispetto a quella degli organi di stampa; e lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo nella professionalità del secondo che non può essere certo sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte.

8. E’ invece fondata doglianza prospettata nel secondo motivo del ricorso principale.

S’è già sottolineato come il sig. V. (benchè qualificato dalla corte d’appello come professore di diritto, qualifica che peraltro egli nega) non rientri in alcuna delle categorie di investitori qualificati previsti dalla normativa e sia perciò da considerare pacificamente un investitore “al dettaglio”. Come tale, indipendentemente dal suo grado di cultura generale e dal fatto di aver eseguito già in passato investimenti finanziari, egli poteva del tutto ragionevolmente confidare nel diligente adempimento, da parte dell’intermediario cui si era rivolto, degli obblighi di comportamento previsti dalle norme di settore, a cominciare da quelli inerenti all’informazione. Ipotizzare un suo concorso di colpa per non aver percepito i segnali allarmanti provenienti dalla stampa specializzata significa postulare un suo onere, secondo correttezza e buona fede, di tenersi autonomamente informato attraverso la lettura di quella stampa. Ma un simile comportamento non è ragionevolmente esigibile, perchè la ragione che giustifica l’instaurazione del rapporto contrattuale del cliente con l’intermediario proprio in questo consiste: nel fatto che il cliente affida all’intermediario, in considerazione della qualificazione professionale di quest’ultimo, il compito d’informarsi e d’informarlo. Tanto basta ad escludere, fin quando il rapporto contrattuale con l’intermediario è in esecuzione, un onere d’informazione ulteriore e diretta a carico del cliente al dettaglio, sia che egli non disponga degli strumenti culturali ed intellettuali a tal fine occorrenti, sia che semplicemente non intenda impiegare il proprio tempo in un’attività di monitoraggio che contrattualmente ha affidato ad un soggetto comunque più qualificato di lui.

9. Il terzo motivo del ricorso incidentale, anch’esso volto a lamentare difetti di motivazione della sentenza impugnata, investe l’individuazione del danno imputabile al comportamento illegittimo dell’intermediario ed il criterio della sua liquidazione.

Lamenta in particolare la Banca Popolare di Bergamo che la corte di merito non abbia in alcun modo risposto alle obiezioni mosse alla decisione adottata al riguardo dal giudice di primo grado: obiezioni secondo le quali il danno conseguente all’acquisto di titoli azionari ad alto rischio, la cui quotazione di borsa si era poi ridotta grandemente nel tempo, non avrebbe potuto essere commisurato alla differenza tra il prezzo d’acquisto ed il valore di borsa alla data della domanda, senza tener conto dell’ampia possibilità che il cliente aveva avuto di vendere tali titoli in un momento precedente, quando la loro quotazione era più elevata.

10. Anche la censura da ultimo riferita appare fondata.

La motivazione con la quale la corte d’appello ha fatto propria l’identificazione e la liquidazione del danno operata dal primo giudice è così stringata da non consentire la chiara comprensione dei criteri che l’hanno ispirata. Eppure la difesa della banca appellante, come puntualmente riferito nel ricorso incidentale, aveva sollevato in proposito molte e circostanziate obiezioni alla sentenza di primo grado.

In una situazione come quella in esame, in cui viene in evidenza la violazione da parte dell’intermediario del dovere d’informare adeguatamente il cliente sui rischi dell’investimento finanziario, il danno da risarcire non necessariamente coincide con la differenza tra il costo sopportato dall’investitore nel compiere l’operazione ed il minor valore che hanno i titoli acquistati al momento della proposizione della domanda.

La conseguenza del comportamento illegittimo dell’intermediario sta nel fatto che l’investitore inconsapevole si trova esposto ad un rischio che avrebbe potuto essergli accollato solo a seguito di adeguate informazioni. E poichè lo stesso legislatore, nel dettare la normativa cui già dianzi s’è fatto cenno, muove dal presupposto che dette informazioni sono invece necessarie all’effettuazione di scelte d’investimento oculate, deve presumersi, fino a prova del contrario, che quel rischio il cliente non lo avrebbe corso se fosse stato informato come si doveva (per l’affermazione di un analogo principio, nella diversa fattispecie dell’adesione ad un’offerta pubblica di acquisto di titoli quotati sul base di un prospetto informativo non veridico, si veda Cass. 11 giugno 2010, n. 14056).

Il danno che il cliente subisce, in simili casi, non sta nell’aver versato un prezzo eccessivo per l’acquisto dei titoli, nulla consentendo di affermare che, al momento dell’effettuazione dell’investimento, quei titoli avessero un valore di mercato inferiore a quello di cui il cliente si è privato per acquisirne la proprietà. Il danno consiste invece, di regola, nel fatto che i titoli incorporano in sè un rischio – rischio di futura perdita del capitale in essi investito – che il cliente ben informato non si sarebbe presumibilmente addossato, o almeno non in quella misura. Si tratta, per certi aspetti, di un’ipotesi simmetrica a quella del danno da perdita di chance: nell’un caso il danneggiato è illegittimamente privato di un’alea positiva, nell’altro si vede invece accollata un’alea negativa, ma è pur sempre in proiezione futura che il pregiudizio è apprezzabile. Salvo che, quando si tratta di perdita di chance è giocoforza procedere alla liquidazione del danno sulla base di ipotesi controfattuali, perchè non si saprebbe come altrimenti configurare la possibilità futura che è andata persa; nel caso dell’accollo non dovuto di un rischio, invece, il successivo sviluppo degli eventi è noto ed è perciò relativamente più agevole stabilire se ed in qual misura l’eventualità negativa si è effettivamente realizzata. In prima approssimazione, è dunque corretto far riferimento alla successiva perdita di valore del titolo per quantificare il danno subito dall’investitore il quale si sia trovato esposto al rischio di quella perdita per un fatto imputabile all’intermediario.

S’impone però una rilevante precisazione. Se, alla luce di quanto appena osservato, appare del tutto ragionevole che il rischio al quale il cliente male informato è stato esposto debba esser trasferito in capo all’intermediario, al cui illegittimo comportamento il difetto d’informazione è imputabile, occorre nondimeno tener conto del fatto che i titoli nel cui acquisto l’investitore ha impiegato il proprio denaro sono entrati nel suo patrimonio ed, almeno per un certo tempo, vi sono in genere rimasti.

Non può allora ignorarsi il principio per il quale i rischi di perdita di valore di un bene sono di regola a carico di chi ne è proprietario e da quel medesimo bene è perciò anche in grado di trarre eventuali vantaggi. Ove si trascurasse questo aspetto, si preverrebbe al paradossale risultato che l’investitore il quale scelga di conservare indefinitamente nel suo portafoglio i titoli inizialmente acquistati in difetto di adeguate informazioni da parte dell’intermediario potrebbe, in un assai ampio lasso temporale, trasferire su quest’ultimo i rischi delle future perdite conservando invece per sè gli eventuali guadagni che da quei titoli dovessero derivare.

In realtà le conseguenze dell’indebito accollo del rischio al cliente inconsapevole cessano – o quanto meno non sono più direttamente riconducibili alla violazione da parte dell’intermediario degli obblighi d’informazione verso l’investitore – a partire dal momento in cui quest’ultimo, adoperando l’ordinaria diligenza cui ciascuno è tenuto nella gestione del proprio patrimonio, sia stato in grado di percepire egli stesso l’esistenza di tali rischi. Quel che accade a partire da quel momento in poi è presumibile sia frutto di una scelta autonoma, e non più inconsapevole, del cliente di conservare la titolarità dei titoli acquistati inizialmente senza adeguate informazioni, salvo che, ovviamente, non si diano situazioni per le quali di quei titoli egli non sia ormai più in grado di disfarsi alle normali condizioni di mercato in quel momento ravvisabili. Al di fuori di quest’ultima ipotesi, il rischio inerente a tale autonoma scelta -che ha luogo ormai al di fuori del rapporto contrattuale con l’intermediario che aveva prestato il servizio di negoziazione – non può che restare a carico dell’investitore.

E’ appena il caso di aggiungere che, in casi siffatti, la decisione di conservare nel proprio patrimonio titoli della cui rischiosità l’investitore non era stato doverosamente informato al momento dell’acquisto non è certo riconducibile alla fattispecie del concorso di colpa, contemplata dall’art. 1227 c.c., comma 1 ma semmai a quella del comma 2 del medesimo articolo, che esclude la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare con ordinaria diligenza.

Orbene, se la domanda di risarcimento sia stata proposta ad una distanza di tempo non manifestamente eccessiva rispetto al momento dell’acquisto, è possibile presumere che la consapevolezza da parte del danneggiato dell’indebito rischio cui è stato esposto per fatto dell’intermediario coincide con la stessa proposizione della domanda, essendo eventualmente a carico della controparte l’onere di allegare e dimostrare l’esistenza di circostanze dalle quali si possa invece logicamente trarre il convincimento che già in epoca anteriore il cliente si fosse reso conto, o fosse comunque in condizioni di rendersi conto, del rischio inerente all’investimento.

Nel presente caso la corte d’appello non si è però in alcun modo fatta carico di tali considerazioni, pur vertendosi in una fattispecie nella quale la domanda di risarcimento del danno è stata proposta a circa tre anni di distanza dall’acquisto dei titoli dei quali si discute ed in cui, durante tale intervallo di tempo, a quanto allegato dall’intermediario convenuto in giudizio per il risarcimento, il valore di borsa di quei titoli ha avuto ampie oscillazioni lungo un arco per lo più decrescente. Anche per questo profilo l’impugnata sentenza deve, quindi, esser cassata.

11. Resta solo da dire del terzo motivo del ricorso principale, che contiene, ancora una volta, tanto la denuncia di violazioni di diritto quanto quella di viziata motivazione.

L’attenzione si sposta sulla domanda riconvenzionale della banca, accolta nei gradi di merito, avente ad oggetto il pagamento del saldo passivo del conto corrente intestato al sig. V.. Questi si duole del fatto che la corte d’appello non abbia dato peso all’eccezione di nullità del finanziamento da lui stipulato con la banca, in quanto finalizzato agli investimenti in titoli di cui prima s’è detto e però non indicato nel “contratto-quadro” in base al quale detti investimenti sono stati poi disposti.

12. La censura non ha pregio.

La corte territoriale ha infatti accertato in punto di fatto – e, come tale, l’accertamento non è sindacabile in questa sede – che il saldo passivo di conto corrente è dipeso da operazioni diverse da quelle sopra ricordate. Essendo del tutto generica, e quindi inammissibile, la denuncia di vizi di motivazione formulata nel ricorso, il suindicato accertamento in fatto basta ad escludere il lamentato errore di diritto.

13. La cassazione dell’impugnata sentenza, in accoglimento delle censure esposte nel secondo motivo del ricorso principale e nel terzo motivo di quello incidentale, comporta la necessità di rinviare la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, affinchè la riesamini alla luce dei due principi di diritto che sono stati già sopra illustrati e che, per maggior chiarezza, vengono ulteriormente qui di seguito enunciati.

“Nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, e questi non rientri in alcuna delle categorie d’investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno per non essersi egli stesso informato tramite la stampa della rischiosità del titoli acquistati”.

“Nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, il danno risarcibile consiste nell’essere stato posto a carico di detto cliente un rischio che presumibilmente egli non si sarebbe accollato; tale danno può essere liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello degli stessi titoli al momento della domanda risarcitoria solo se non risulti che, dopo l’acquisto ma già prima della proposizione di detta domanda, il cliente, avendo avuto la possibilità con l’uso dell’ordinaria diligenza di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli acquistati, nè sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, li abbia tuttavia conservati nel proprio patrimonio: nel qual caso il risarcimento dev’essere commisurato alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell’acquisto e quello in cui l’investitore si è reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità”.

Al giudice di rinvio si demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale ed il terzo motivo di quello incidentale, con rigetto di ogni altra censura, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, demandandole di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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