Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2986 del 07/02/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2986 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 17185-2011 proposto da:
CASHPOINT SPA (05903970969)

(già Centax Spa), in

persona del legale rappresentante,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4,
presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
F-1.LLI ENRICO giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

2013
314

TAFURO

MAURIZIO (TFRMRZ60H06L383W)

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI, 37, presso lo
studio

legale

dell’Avvocato

ANGELO

AVERNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato TANZA ANTONIO

Data pubblicazione: 07/02/2013

giusta mandato in calce al controricorso;
controricorrente

avverso la sentenza n. 1049/2010 del TRIBUNALE di
LECCE, depositata il 06/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

Dott. GIOVANNI GIACALONE;
è presente il P.G. in persona del Dott. CARMELO
SGROI.

consiglio del 16/01/2013 dal Consigliere Relatore

17) R. G. n. 17185/2011
IN FATTO E IN DIRITTO
Nella causa indicata in premessa. é stata depositata la seguente relazione:
“l — La sentenza impugnata (Tribunale Lecce, 6/05/2010), confermando
quella di primo grado, ha ritenuto che “correttamente il primo giudice ha
ravvisato nella condotta assunta dalla società appellante una responsabilità

in considerazione della circostanza che il contenuto del diritto alla
riservatezza va sempre valutato in astratto, con riferimento alla nozione
diffusa nella comune coscienza sociale riferita ad un determinato momento
storico, e non quam suis, ovvero sulla base della considerazione affatto
personale che ciascuno ha della propria sfera di riservatezza.
In conclusione, come correttamente affermato dal Giudice di primo grado,
al Tafuro è stato negato l’acquisto dell’orologio a mezzo assegno bancario
per esclusiva colpa della Centax, sebbene il titolo di credito fosse
regolarmente provvisto, di copertura.
Certamente, al cospetto di coloro che hanno assistito a quell’episodio, il
Tafuro ha subito una violazione al suo diritto di riservatezza; in particolare
nei confronti degli avventori presenti in quel momento nella gioielleria, i
quali ignoravano il motivo del diniego opposto al Tafuro e che erano
autorizzati a pensare qualsiasi cosa al riguardo.
Corretta appare anche la quantificazione effettuata dal Giudice di Pace dei
danni fisici e morali subiti da Tafuro Maurizio, liquidati in complessivi €
2.300″.
2 — La Cashpoint ricorre per cassazione, deducendo:
2.1. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatti controversi
e decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere erroneamente e ritenuto che le
prove testimoniali assunte confermassero la tesi del Tafuro.
2.2. Violazione e falsa applicazione art. 2043 c.c. e insufficiente
motivazione sulla liquidazione del danno.
2.3. Resiste il Tafuro con controricorso.
3. Le censure sono manifestamente privo di pregio.

3

ex art. 2043 c.c. per aver leso il diritto alla riservatezza dell’appellato, anche

3.1. Con il primo motivo, la ricorrente si limita a invocare un’inammissibile

diversa lettura” delle risultanze delle prove testimoniali, su cui vi è congrua

e corretta motivazione del giudice di appello.
Si deve ribadire al riguardo che “il vizio di omessa o insufficiente
motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c.,
sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla
sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi

e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata
norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta
dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del
proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne
l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. 13398/11;
13327/11; 6288/11).
3.2. Assolutamente generica si rivela la seconda censura, stante la congrua e
corretta motivazione della sentenza impugnata in ordine all’an, mentre la
determinazione equativa del quantum, rappresentando giudizio di fatto, non
è sindacabile in questa sede e, peraltro, il ricorrente non ha specificato se e
come tale censura sia stata sottoposta al giudice di appello.
4. — Si propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ed il rigetto
dello stesso”.
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai
difensori delle parti costituite.
Non sono state presentate memorie, né conclusioni scritte.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha
condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso
deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..
P.Q.M.
4

della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, che liquida in Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per
onorario, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2013

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