Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29859 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2018, (ud. 10/04/2018, dep. 20/11/2018), n.29859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12377-2017 R.G. proposto da:

I.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SIRTE 44,

presso lo studio dell’avvocato MARCO NICOLAI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

S.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO 32,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE ALLIEGRO, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati DAVID COVI, GERHART GOSTNER;

– resistente –

per Reg. di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di ROMA,

depositata il 10/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale PATRONE IGNAZIO, che chiede alla

Corte di Cassazione di rigettare il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma ha dichiarato con ordinanza del 10 aprile 2017 la propria incompetenza per territorio, in favore del Tribunale di Trento, a conoscere della controversia instaurata da I.V., nella qualità di erede dell’avv. L.P., nei confronti di S.U., onde sentirlo condannare al pagamento di prestazioni professionali maturate dal defunto per prestazioni svolte in favore del resistente, giacchè trattandosi di controversia in cui trovava applicazione il c.d. foro del consumatore, ai sensi del D.Lgs. n. 260 del 2006, occorreva fare riferimento al luogo in cui il consumatore aveva la residenza o il domicilio eletto.

La I. ha proposto ricorso per regolamento necessario di competenza avverso la predetta ordinanza, articolato su quattro motivi, cui ha resistito S.U. con memoria difensiva ex art. 47 c.p.c..

Essendosi ritenute applicabili le condizioni per la decisione ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Procuratore Generale di formulare le sue conclusioni, presentate nel senso del rigetto del ricorso, ed all’esito del loro deposito è stato adottato decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato anche memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo ed il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, artt. 3 e 33, oltre ad omesso esame circa fatti e documenti decisivi in ordine alla decisione sulla competenza territoriale, fondandosi la decisione aprioristicamente sulla sentenza del Tribunale di Milano n. 15099 del 2013, senza in concreto svolgere alcuna indagine sulla qualità, di professionista o di consumatore, della parte, il Conte S.U., al momento del conferimento dell’incarico professionale al difensore, avv. L.. Ad avviso della ricorrente non sarebbe stata vagliata tutta la documentazione prodotta, in particolare il doc. 7, da cui emergeva che il Conte S. non era consumatore al momento del rilascio dell’incarico.

Entrambi i motivi – da trattare congiuntamente perchè investono la medesima questione della prova della qualità del resistente – sono privi di fondamento. Dal provvedimento impugnato, nonchè dall’esame diretto degli atti del giudizio di merito (che la Corte può e deve compiere ove necessario in sede di regolamento di competenza: cfr Cass. n. 26917 del 2016), emerge che nel giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Milano, introdotto da M.A. per ottenere da S.U. il risarcimento del danno conseguente alla violazione degli obblighi di cui all’art. 1759 c.c., la questione evidenziata dal difensore del convenuto, avv. L.P., predisponendo la comparsa di costituzione, è stata proprio nel senso che il suo assistito non rivestiva la qualifica di mediatore ovvero di promotore finanziario, ragione per la quale la domanda attorea è stata rigettata in mancanza di prova di rapporti “commerciali” intercorsi fra le parti.

Conseguentemente la qualità di consumatore dello S. è stata rettamente ritenuta dal giudice di merito che ha, nel provvedimento impugnato, fatto riferimento al criterio previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33;

– con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2230 c.c. per avere il giudice del merito erroneamente ritenuto che ella subentrasse nella medesima posizione contrattuale del de cuius omettendo di considerare che il contratto di prestazione d’opera professionale è un contratto intuitu personae, che si era sciolto automaticamente al momento del decesso del professionista.

E’ infondato l’assunto della ricorrente, secondo cui il foro del consumatore non potrebbe essere invocato nei suoi confronti, non mutuando la medesima posizione del suo dante causa.

Premesso che il foro del consumatore (di cui al Reg. CE n. 44/2001, art. 16) è quello del momento della domanda, per cui se in tale tempo non è più in vita il consumatore e la domanda viene proposta da o contro i suoi eredi, è al domicilio o alla residenza di tali successori universali che occorre fare riferimento (cfr Cass. Sez. Un. n. 11532 del 2009), nella specie il foro del consumatore è stato individuato in relazione all’unica posizione al riguardo rilevante, quella di S.U., che il Tribunale di Milano ha escluso essere un mediatore ovvero un promotore finanziario, e nei cui confronti la ricorrente chiede la condanna al pagamento della somma di Euro 55.000,00.

Ne consegue che nessuna considerazione può essere attribuita a tal fine alla qualità della I.;

– con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c. per avere il Tribunale attribuito le spese sulla base del principio della soccombenza, senza tenere conto che la prima delle eccezioni formulate da S.U. non aveva trovato accoglimento.

La censura è manifestamente infondata.

Ai fini del regolamento delle spese del processo civile, la “soccombenza” costituisce un’applicazione del principio di causalità, che vuole non esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico (per la trasgressione delle norme di diritto sostanziale) abbia provocato la necessità del processo (cfr. Cass. n. 7307 del 2011).

Costituendo, come anticipato, la soccombenza una applicazione del principio di causalità, è palese che è irrilevante, al fine di escludere la soccombenza, le ragioni che abbiano determinato questa ultima. La soccombenza, quindi, giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, bene può essere determinata, anzichè da ragioni di merito, per avere l’attore promosso il giudizio con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile e tale dichiarato dal giudice adito con pronunzia che ha definito il giudizio (cfr. Cass. n. 19456 del 2008), essendovi pure in tal caso il mancato accoglimento della domanda, ancorchè per un impedimento di carattere processuale. Nè, ancora, può affermarsi – come invoca parte ricorrente – che non sussiste soccombenza tutte le volte in cui l’accoglimento delle eccezioni della controparte sia limitato ad alcune soltanto di esse.

Al fine dell’accertamento della parte risultata “soccombente” – infatti – non rilevano i comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso, e cioè quelli che non implicano l’esclusione del dissenso nè importano l’adesione all’avversa richiesta quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all’accoglimento della domanda dell’attore.

Correttamente, quindi, è ritenuto soccombente e merita la condanna al rimborso delle spese processuali l’attore qualora una domanda sia stata rigettata, ancorchè il giudicante abbia rigettato la domanda anzichè sulla base delle difese del convenuto in forza di altre considerazioni.

Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disp. per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – L. di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro. 4.000,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2^ Sezione Civile, il 10 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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