Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29857 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 20/11/2018), n.29857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5785/2017 proposto da:

VILLA DI TISSANO SRL, in persona del legale rappresentante Dott.

U.C., U.C. in proprio, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FRANCESCO CRISPI 47, presso lo studio dell’avvocato

LORENZO CUDINI, che li rappresenta e difende giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

W.M., in proprio e quale legale della Società VILLA DI

TISSANO V.M. SAS, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TEULADA 52, presso lo studio dell’avvocato ANGELO SCARPA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUGLIELMO GIUBERGIA

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

VILLA DI TISSANO W.M. SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 813/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 28/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. Villa di Tissano Srl ed U.C. ricorrono, affidandosi a sette motivi e memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da W.M. e da Villa Tissano W. Sas per la dichiarazione di legittimità del recesso dal contratto preliminare di cessione di quote della società a suo tempo stipulato e per la conseguente condanna alla restituzione in suo favore del doppio della caparra.

2. Hanno resistito gli intimati W.M. e Villa Tissano W. Sas.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con particolare riferimento agli inadempimenti contestati dalla recedente W. che erano stati ritenuti erroneamente di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto preliminare stipulato per l’acquisto di quote della società ed il suo diritto al pagamento del doppio della caparra.

Il motivo è inammissibile.

Premesso, infatti, che la sentenza impugnata (che è stata depositata il 28.12.2016 a seguito di atto d’appello notificato ed iscritto a ruolo nel 2015) ha confermato la decisione di primo grado, si osserva che al caso in esame deve applicarsi, ratione temporis, l’art. 348ter c.p.c., u.c.,(introdotto con la riforma portata dalla L. n. 134 del 2012, entrata in vigore il 12.8.2012 ed applicabile ai giudizi d’appello per i quali sia stata richiesta la notificazione dell’atto introduttivo dal trentesimo giorno successivo a tale data) che preclude, nei casi di c.d. “doppia conforme”, la proponibilità del ricorso per cassazione con riferimento al vizio dedotto.

2. Con il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione logica, i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e la totale carenza di motivazione: assumono, al riguardo, che la decisione non conteneva alcuna argomentazione in ordine alla gravità dell’inadempimento ed era affidata acriticamente agli accertamenti contenuti nelle due CTU disposte durante l’istruttoria; e che erano stati fraintesi i motivi d’appello, sia perchè non era mai stato contestata l’esistenza di un collegamento negoziale fra il contratto preliminare di compravendita della quote della società e quello d’affitto d’azienda, sia perchè ciò non era mai stato oggetto di impugnazione.

Lamentano inoltre, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385,1453,1455 c.c., sulla legittimità del recesso e sull’importanza dell’inadempimento.

2.1 Entrambe le censure sono inammissibili.

Si osserva, infatti, che i giudici d’appello hanno motivato in modo congruo e logico, sintetizzando le censure proposte, enucleando il nodo della decisione (e cioè il collegamento negoziale fra il contratto preliminare di cessione di quote ed il contratto di affitto di azienda) e richiamando le conclusioni e le analisi delle CTU espletate (“una per verificare l’esistenza degli asseriti danni cagionati dall’affittuaria e l’altra volta a verificare l’esatta situazione debitoria, fiscale e bancaria della Villa Srl e per valutare la gravità dell’inadempimento della W.”: cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

Al riguardo, deve premettersi che questa Corte ha affermato con orientamento ormai consolidato che “il giudice di merito che riconosca convincenti le conclusioni del consulente tecnico non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, poichè l’obbligo della motivazione è assolto già con l’indicazione delle fonti dell’apprezzamento espresso”(cfr. Cass. 2486/2001).

Ed è stato anche chiarito che “il ricorrente, che deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere il giudice deciso la causa sulla base delle conclusioni di una consulenza tecnica, ignorando le critiche sollevate, ha l’onere di indicare nel ricorso in modo specifico gli errori e le omissioni del c.t.u., non considerate nella decisione, non essendo all’uopo sufficiente la mera riproposizione delle precedenti deduzioni.” (cfr. ex multis Cass. 3568/2002; ed, in termini, Cass. 5164/2003; Cass. 6753/2003; Cass. 7078/2006; Cass. 13845/2007; Cass. 3224/2014; Cass. 16368/2014).

2.3. Nel caso in esame, la Corte territoriale, attraverso il rinvio alla CTU, ha reso una motivazione sufficiente con la quale mostra di aver esaminato, sia i quesiti posti agli ausiliari sia le argomentazioni su cui si sono fondate le conclusioni, condivise, alle quali essi sono giunti che hanno indotto anche i giudici d’appello a ritenere gli inadempimenti gravi, tali, cioè da giustificare la risoluzione del contratto preliminare; ed il ricorrente, nel denunciare la nullità della sentenza per motivazione carente ed illogica riferendo il vizio al mero ed acritico richiamo della Corte agli elaborati peritali, non ha precisato quali siano gli accertamenti omessi e quali gli errori in cui il CTU sarebbe incorso e che i giudici di merito avrebbero fatto propri senza alcuna valutazione riconducibile alla funzione di “peritus peritorum”.

2.4. In tal modo la censura l da una parte difetta di autosufficienza, e, dall’altra, maschera la richiesta di rivalutazione di merito della controversia, preclusa in sede di legittimità: rilievi questi che valgono anche per il terzo motivo con il quale i ricorrenti si limitano a contrapporre la loro tesi difensiva alle argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale ma, contestando la sentenza in relazione alla valutazione di legittimità dei motivi di recesso della W., richiamano la lettera del (OMISSIS) a firma dell’avv.to Polo (cfr. pag. 21 del ricorso) senza trascriverne il contenuto e senza indicare con esattezza la sede processuale nella quale essa può essere rinvenuta.

3. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia su uno specifico motivo di impugnazione,e cioè la contestazione del rilievo dato dal Tribunale alla trascrizione non cancellata di un pignoramento sul bene immobile della società e la presenza di debiti non dichiarati: lamentano che la Corte non avrebbe esaminato la censura riferita anche al diniego ingiustificato del primo giudice all’acquisizione delle schede contabili del 2009.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, risulta in parte finalizzato ad ottenere in questa sede un terzo grado di merito, notoriamente non consentito (cfr. Cass. 8758/2017); ed in parte risulta privo di autosufficienza in quanto critica l’omessa motivazione sulla censura concernente il rigetto delle produzioni documentali (c.d. (OMISSIS)) senza riportare il provvedimento di diniego oggetto di contestazione che, ove abbia riguardato la documentazione necessaria all’espletamento della CTU, risulta insindacabile in sede di legittimità. (cfr. Cass. 27247/2008; Cass. 26499/2009; Cass. 7622/2010).

4. Ancora, con il quinto motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per la decisione, oggetto di discussione e cioè la condanna della società al rimborso delle spese per le manutenzioni straordinarie, in relazione a quanto previsto dall’art. 6 del contratto d’affitto d’azienda con riferimento all’art. 1621 c.c..

Anche tale censura, che riguarda una questione comunque esaminata dalla Corte con specifica argomentazione (cfr. pag. 10 della sentenza) è inammissibile, per violazione dell’art. 348 ter c.p.c..

5. Con il sesto motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.: rilevano, in particolare, l’omessa pronuncia in ordine alla contestazione concernente il quantum delle spese di manutenzione. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto la specifica censura rispetto alla quale sarebbe stato omesso l’esame non viene riportata nel ricorso che richiama soltanto genericamente la documentazione prodotta (doc. da 8 a 15) ima non i rilievi rispetto ad essa proposti.

6. Con il settimo motivo,infine, viene dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e la nullità della sentenza per omessa pronuncia su uno specifico motivo di impugnazione concernente il mancato esame della critica al rigetto della domanda di risarcimento danni causati dalla convenuta nei locali durante il periodo dell’affitto di azienda: assume che il primo giudice aveva respinto la domanda senza dare spazio alle prove testimoniali, necessarie a dimostrare l’esistenza dei danni dedotti visto che il CTU, sulla specifica questione, aveva dichiarato l’impossibilità ad accertarli in quanto “erano state eseguite, nel frattempo, le riparazioni” (cfr. pag. 30 del ricorso).

6.1. Al riguardo, si rileva che la Corte territoriale dà atto di aver esaminato il motivo d’appello proposto (cfr. la sintesi delle censure a a pag. 5 della sentenza, ultimo cpv) e, nel recepire complessivamente le risultanze della CTU espletata, dimostra di aver esaminato la questione rispetto alla quale ha aderito alla motivazione del primo giudice.

6.2. Ma, tanto premesso, si osserva che il rilievo risulta privo di autosufficienza perchè il ricorrente indica in modo del tutto generico i danni di cui era stato chiesto il risarcimento disatteso dal Tribunale (si richiamano, in via del tutto indeterminata, quelli alle tubature ma anche quelli collegati alla perdita di clientela) omettendo di indicarne la quantificazione; inoltre non viene neanche riportata la parte della CTU che avrebbe dato atto delle avvenute riparazioni, al fine di consentire la valutazione della misura del “non dimostrato”: con la conseguenza che l’assenza di specificità del motivo (che incorre nella violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6) non consente a questa Corte di valutarne la rilevanza rispetto alla motivazione resa dai giudici d’appello.

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della terza sezione civile, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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