Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29854 del 29/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 29/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 29/12/2011), n.29854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.R.M. (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, via Giovanni Severano n. 35, presso lo studio

dell’Avvocato Agresti Silvio, rappresentata e difesa dall’Avvocato

Autilio Antonio per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A. (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, E. Faà di Bruno n. 15, presso lo studio

dell’Avvocato Combariati Luigi, dal quale è rappresentata e difesa

per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 136 del 2010,

depositata in data 21 maggio 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6

dicembre 2011 dal Consigliere Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la resistente, l’Avvocato Combariati Luigi;

sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Sgroi Carmelo, che ha concluso in senso conforme alla relazione ex

art. 380-bis cod. proc. civ..

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che con atto di citazione notificato il 13 giugno 1998 R.A., assumendo di essere esclusiva proprietaria del fondo iscritto in catasto alla partita 7222, foglio 34, particella 253, ricevuto per donazione dai propri genitori, a loro volta proprietari possessori ultraventennali, conveniva in giudizio davanti al Pretore di Potenza, D.R.M. lamentandosi che quest’ultima stesse turbando il suo diritto di proprietà del quale, pertanto, chiedeva l’accertamento;

che costituitasi in giudizio, la convenuta eccepiva l’esistenza di un errore materiale nell’atto notarile di donazione, assumendo che esso avrebbe dovuto riferirsi alla particella 271 e non già alla limitrofa particella 253;

che a riprova di tale assunto la convenuta rilevava che nell’atto il fondo ceduto era descritto come “seminativo a secco”, mentre alla particella 253 da sempre corrispondeva un bosco ceduo;

che la convenuta chiedeva inoltre, in via riconvenzionale, l’accertamento del proprio diritto dominicale sulla particella 253, affermando di avere usucapito il relativo fondo, e domandava, di contro, il riconoscimento in suo favore della servitù di passaggio sul fondo identificato dalla particella 271, in realtà di proprietà dell’attrice;

che con sentenza n. 503 del 2003 il Tribunale di Potenza accoglieva la domanda della R.; rigettava la domanda riconvenzionale di usucapione; dichiarava inammissibile la domanda inerente il riconoscimento della servitù di passaggio, perchè non dipendente dal titolo dedotto in giudizio, riguardando esso altro immobile (e cioè la p.lla 253); condannava, infine, la convenuta alla rifusione delle spese processuali;

che avverso la predetta sentenza proponeva appello la D.R. sostenendo di essere stata l’unica parte ad aver provato i titoli di acquisto del fondo e lamentando la mancata assunzione della prova testimoniale da lei richiesta;

che assunta la prova testimoniale e disposta inoltre la CTU, la Corte d’Appello di Potenza, con sentenza n. 136 del 2010, depositata il 21 maggio 2010, riteneva fondata l’originaria domanda della R., ma solo perchè ritenuta raggiunta la prova del possesso ventennale tramite testimoni, non essendo, invece, ad avviso della Corte, l’atto di donazione idoneo a fornire titolo sufficientemente certo per stabilire la proprietà, contenendo esso indicazioni in parte corrette , in parte errate;

che la domanda riconvenzionale di servitù (sulla p.lla 271) veniva ritenuta assorbita dal rigetto di quella concernente la proprietà del fondo (di cui alla p.lla 253);

che la Corte territoriale disponeva, altresì, la compensazione delle spese processuali del secondo grado di giudizio;

che nei confronti di questa sentenza D.R.M. propone ricorso per cassazione (notificato in data 16 novembre 2010 e depositato il 02 dicembre 2010), articolando tre motivi;

che ha resistito, con controricorso, R.A.;

che essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso con il rito camerale, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al pubblico ministero.

Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:

… Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello non abbia dato conto del perchè abbia ritenuto fondate e precise le deposizioni dei testi richiesti dalla parte appellata e abbia, invece, ritenuto inadeguate le deposizioni rese dai testimoni dedotti (recte: indotti) dalla parte appellante. In particolare, la ricorrente censura il fatto che la Corte d’appello non abbia dato conto della circostanza, pure introdotta nel giudizio, che il teste P., sulla cui deposizione è stata fondata la decisione, era in realtà stato rinviato a giudizio per il reato di falsa testimonianza proprio in relazione alle dichiarazioni rese nel presente giudizio.

Il motivo è manifestamente infondato in quanto la sentenza della Corte d’Appello appare congruamente motivata sul punto oggetto di censura. Premessa la difficoltà di valutare l’attendibilità di tutte le testimonianze per via del fatto che mancavano elementi precisi per individuare e distinguere i due fondi, il giudice di seconde cure ha ritenuto attendibile un’unica testimonianza – favorevole alla parte appellata quella, cioè, del sig. P. G., qualificato teste attendibile per l’imparzialità, non avendo lo stesso interesse nella controversia, e per la conoscenza effettiva dei dati catastali dei fondi oggetto della controversia, essendo egli proprietario dei terreni confinanti tanto con il fondo di cui alla particella 253, quanto di quelli confinanti con il fondo identificato dalla particella 271.

In proposito, si deve rilevare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, non risultano in alcun modo violati i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte. Invero, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. n. 16499 del 2009)”.

In particolare, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n 12362 del 2006; Cass. n. 17097 del 2010).

E, nella specie, la Corte d’appello ha esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto maggiormente attendibile un teste rispetto agli altri.

Il motivo, peraltro, appare carente anche dal punto di vista della autosufficienza, atteso che non risultano riportate le dichiarazioni dei testi, la cui inesatta valutazione viene addebitata alla sentenza impugnata. E’ noto, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (da ultimo, Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 6023 del 2009).

Rilievo, questo, che va riferito anche alla mera allegazione della esistenza di un rinvio a giudizio del teste, non avendo la ricorrente riprodotto il relativo documento.

Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 257 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto il teste Me.Gi. un teste de relato ex parte in quanto influenzato dall’attrice che gli aveva mostrato la mappa catastale indicandosi come proprietaria della particella 253.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile concretandosi, in sostanza, in una richiesta di nuova valutazione dell’attendibilità della testimonianza del sig. Me.Gi., motivatamente ridimensionata dalla Corte d’appello. Valgono, inoltre, anche con riferimento alle dichiarazioni del teste Me. le considerazioni svolte in precedenza sul piano della non osservanza del canone di autosufficienza del ricorso.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 948 e 1168 cod. civ., dolendosi del fatto che non sia stata considerata la propria eccezione di possesso incombendo, invece, sul proprietario l’onere di provare l’esistenza del suo diritto di proprietà.

Il motivo è manifestamente infondato, atteso che non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’appello, infatti, confermando sul punto la statuizione di primo grado, ha accertato, in capo alla originaria attrice, l’intervenuto acquisto per usucapione del bene oggetto di causa, sicchè la censura della ricorrente, focalizzata sul fatto che incombeva alla medesima attrice l’onere di fornire la prova ai sensi dell’art. 948 cod. civ., appare del tutto inidonea ad inficiare la decisione impugnata. La decisione della Corte d’appello esclude poi la fondatezza dell’assunto della ricorrente di essere ella nel possesso del bene; l’azione esperita dalla originaria attrice, del resto, come rilevato dalla sentenza impugnata, non aveva contenuto recuperatorio, sicchè, anche per tale ragione, il motivo risulta non idoneo a inficiare la decisione impugnata.

Sussistono quindi le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, perchè il ricorso deve essere rigettato”;

che il Collegio condivide la proposta di decisione del relatore, non apparendo le deduzioni svolte dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., idonee ad indurre a diverse conclusioni;

che deve in primo luogo rilevarsi che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato il principio per cui “il giudice di merito non ha l’obbligo di disattendere le deposizioni testimoniali a causa della denuncia presentata in sede penale contro le persone escusse, poichè solo l’accertata sussistenza del reato di falsa testimonianza in sede penale vieta di tener conto di dette deposizioni, essendo in tal caso l’inattendibilità dei testimoni oggetto necessario della dichiarata falsità o reticenza” (Cass. n. 622 del 1994);

che dunque, la denuncia di falsa testimonianza in sede penale non è sufficiente al fine di disattendere la deposizione resa dal testimone denunciato, occorrendo che il giudice penale abbia accertato in modo definitivo la sussistenza del reato (Cass. n. 15572 del 2000);

che nella specie la Corte d’appello ben poteva quindi valutare la deposizione del teste P. e porla a fondamento della propria decisione;

che, peraltro, deve rilevarsi che dalla sentenza impugnata emerge che la valutazione circa la sussistenza del diritto di proprietà in capo alla R. per usucapione discende non dalla sola deposizione del teste P., ma dall’esame complessivo delle risultanze istruttorie;

che d’altra parte, non può non ribadirsi il giudizio di carenza del ricorso introduttivo del giudizio sul piano dell’autosufficienza, con riferimento alle deposizioni testimoniali che si assumono mal valutate o non valutate dalla Corte d’appello;

che in ogni caso deve escludersi che l’apprezzamento circa la inidoneità delle deposizioni dei testi indotti dalla ricorrente a dimostrare il proprio assunto sia stato motivato dalla Corte d’appello esclusivamente con il riferimento ai rapporti di parentela esistenti tra la parte e i testi, avendo invece la Corte valutato la genericità di quelle deposizioni in ordine alle modalità di esercizio dell’asserito possesso;

che analogamente, posto che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito valutare l’attendibilità dei testi, deve osservarsi che l’apprezzamento della Corte d’appello sulla deposizione del teste Me., in relazione alla quale ha affermato che la sua memoria era stata “rinfrescata” in un colloquio con la parte, appare logica ed immune dai denunciati vizi;

che anche i rilievi critici relativi alla proposta di rigetto del terzo motivo non appaiono idonei ad indurre a differenti soluzioni, atteso che la ratio decidendi della sentenza impugnata va individuata in ciò che la Corte d’appello ha ritenuto raggiunta la prova della proprietà della particella oggetto di lite in capo alla resistente per intervenuta usucapione, sicchè le censure che non si riferiscono a tale statuizione ma mirano a sostenere che non sia stato assolto l’onere probatorio gravante sull’attore in rivendicazione non colgono nel segno;

che dunque il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2011

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