Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29852 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15192/2016 proposto da:

T.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FONTI DEL

CLITUNNO, 25, presso lo studio dell’avvocato FERNANDO AMODIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA SPANO’ giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G., ISOLA 2006 SRL (GIA’ CENTRO SERVIZI ODONTOIATRICI

SRL), G.A., V.A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4687/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2007, F.G. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, il Centro Servizi Odontoiatrici di V.A. S.r.l. (già Centro Servizi Odontoiatrici di V.A. S.a.s.), V.A. e T.E., rispettivamente socia illimitatamente responsabile e direttore sanitario del Centro al tempo dei fatti di causa, nonchè G.A., per sentirne accertare la responsabilità contrattuale, professionale e funzionale ed ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni derivanti dall’esecuzione, da parte del G., di prestazioni odontoiatriche abusive.

Si costituì T.E., eccependo in via pregiudiziale il difetto di legittimazione passiva e la nullità e/o inefficacia della domanda risarcitoria azionata, contestata anche nel merito. Gli altri convenuti rimasero contumaci.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 6185/2012, accolse la domanda, liquidando il risarcimento – sulla base di una ctu eseguita nell’ambito di un procedimento di a.t.p. nel contraddittorio con i convenuti – detraendo dall’importo di Euro 29.000, pagato anticipatamente dal F. nell’ottobre del 2003 per prestazioni odontoiatriche che sarebbero poi state eseguite abusivamente dal G., il corrispettivo ascrivibile a terapie correttamente praticate (Euro 11.650) e sommando alla differenza – pari al corrispettivo di prestazioni non eseguite o mal eseguite – il risarcimento del danno non patrimoniale da invalidità temporanea e permanente cagionata al paziente, nonchè l’esborso necessario per ulteriori cure.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 4687/2015 depositata il 9 dicembre 2015.

La Corte di merito ha in primo luogo escluso che vi fosse stato un irrituale mutamento della causa petendi e del petitum della domanda nei confronti del T. – evocato in giudizio quale direttore sanitario della struttura – per aver l’attore dedotto capitoli di prova volti a dimostrare la presenza dello stesso T. in alcune sedute del F. presso lo studio dentistico abusivamente gestito dal G. e la sua partecipazione, con il G., all’esecuzione di talune terapie sul paziente.

Infatti, osserva la Corte d’appello, tali testimonianze erano state dedotte a riprova della consapevolezza da parte del T. dell’abusivo svolgimento della professione odontoiatrica nell’ambito della struttura della quale egli era direttore sanitario (e, in tale veste, personalmente responsabile dell’esito delle terapie e delle prestazioni effettuate).

Secondo la Corte, stante la natura contrattuale della responsabilità nei confronti dei pazienti che si rivolgevano al Centro per terapie odontoiatriche, ed essendo pacifico l’inadempimento o l’inesatto adempimento al contratto concluso tra F. e la struttura (della quale il T. risultava direttore sanitario già dalla carta intestata su cui era redatto il contratto stesso e dal timbro appostovi in calce), il T. avrebbe potuto andare esente da responsabilità solo se avesse provato che tale inadempimento era da ascriversi a cause a lui non imputabili. Una simile prova non era stata però fornita, nè avrebbe potuto essere fornita da un soggetto che, per sua stessa ammissione, frequentava la struttura di cui era direttore sanitario solo sporadicamente.

Al riguardo, il giudice del secondo grado ha ritenuto non convincente la tesi del T. di essere ignaro dell’attività abusiva svolta dal G. in quanto nelle giornate di sua assenza il Centro sarebbe dovuto rimanere chiuso. Sarebbe infatti poco plausibile che lo stesso T. credesse realmente che uno studio dentistico ubicato in una zona centrale di Milano, dotato di personale amministrativo, potesse reggersi solo con il modesto contributo professionale da egli fornito in non più di otto giorni al mese.

Al contrario dalla circostanza che il Dott. T. svolgesse attività libero professionale in altre cinque studi, tre dei quali in Calabria, uno a Milano e uno in provincia di Como, si potrebbe dedurre che, in alcuni casi almeno, egli svolgesse il ruolo di mero prestanome di dentisti abusivi.

In ogni caso, osserva la Corte meneghina, la responsabilità del T. non verrebbe meno anche a voler ritenere che egli non fosse a conoscenza dell’attività abusiva svolta dal G. e del fatto che, in sua assenza, la struttura non rimaneva chiusa ma continuava illecitamente la sua attività. Anche in tal caso, infatti, sarebbe evidente la violazione dei doveri connessi con la sua carica di direttore sanitario, per omesso controllo sulla struttura di cui era responsabile. Violazione che avrebbe indiscutibilmente rilevanza concausale nella produzione dei danni sofferti dal F., non avendo il T., con la sua condotta omissiva e negligente (se non, addirittura, dolosamente complice) impedito gli illeciti perpetrati dal G..

Inoltre, il giudice dell’appello ha ritenuto irrilevante la circostanza che la terapia abusiva del G. sia stata ultimata nel 2005, quando il T. aveva ormai cessato la sua funzione di direttore sanitario, avendo comunicato il suo recesso dall’incarico alla fine di ottobre 2004. Ciò che rileva è invece il fatto che il T. svolgesse quell’attività al momento della conclusione del contratto tra il F. ed il centro (settembre 2003), nonchè del pagamento per intero dei corrispettivi stabiliti), e fosse comunque rimasto in carica per almeno un anno durante l’esecuzione del piano terapeutico sul paziente.

La sentenza del Tribunale ha quindi correttamente affermato la responsabilità civile del Dott. T. per non aver esercitato, nella veste di direttore sanitario, la vigilanza necessaria per evitare dal contratto d’opera conclusa dal F. potessero derivare conseguenze dannose per il paziente.

Alla luce di ciò, sarebbero inconsistenti le censure del T. alla sentenza di primo grado per aver utilizzato le dichiarazioni testimoniali relative alla sua presenza a talune sedute odontoiatriche cui il F. era stato sottoposto dal G. ed alla sua partecipazione personale alle attività terapeutiche e per non aver ammesso prove contrarie al riguardo. Infatti, tali circostanze rappresenterebbero solo ragioni aggiuntive e non essenziali per l’affermazione della responsabilità del medesimo T.. In ogni caso, le prove contrarie avrebbero dovuto essere dedotte con la terza memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, che, però, egli non aveva neppure depositato.

Infine, la Corte di merito ha ritenuto infondate pure le ulteriori censure dell’appellante alla sentenza di primo grado per non aver rilevato l’insufficiente determinazione della domanda dell’attore. Basta infatti leggere l’atto di citazione per constatare come la responsabilità del T. fosse stata valere in considerazione della sua qualità di responsabilità sanitario e quindi come oggetto e ragione giuridica della domanda fossero stati enunciati con sufficiente precisione.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione il Dott. T.E., sulla base di tre motivi.

3.1. Gli intimati F.G., Isola 2006 S.r.l. (già Centro Servizi odontoiatrici S.r.l.), G.G. e V.A.M. non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto contrattuale ex artt. 1362-1363-1364 c.c. e la violazione del disposto dell’art. 81 c.p.c., con riferimento al difetto di legittimazione passiva nel giudizio promosso dal F. ed altre prove documentali”, nonchè l’insufficiente motivazione”.

L’assoluta estraneità del T. alle prestazioni abusive oggetto di causa emergerebbe dal contratto d’opera intellettuale sottoscritto con il Centro Servizi Odontoiatrici, nel quale erano state espressamente regolamentate le modalità e la frequenza con cui lo stesso T. si era obbligato a rendere personalmente le prestazioni odontoiatriche ed era previsto che il Centro dovesse rimanere aperto esclusivamente 15 giorni al mese, quando era garantita la presenza del direttore sanitario, unico operatore preposto ad erogare prestazioni odontoiatriche. Di conseguenza, interpretando correttamente detto contratto, si sarebbe dovuto concludere che la responsabilità di vigilanza del T. sarebbe stata limitata a questo periodo.

Che il ricorrente fosse estraneo al rapporto sostanziale dedotto in giudizio emergerebbe poi dal fatto che la prestazione abusiva sarebbe stata iniziata e conclusa nel mese di dicembre 2005, quando la struttura sanitaria doveva rimanere chiusa al pubblico per la cessazione dell’efficacia della suddetta convenzione a seguito delle dimissioni del T..

Di conseguenza, non essendo più il ricorrente, all’epoca dei fatti, direttore sanitario della struttura, e non essendo ammissibile, nel caso di specie, alcuna ipotesi di prorogatio, egli sarebbe stato privo di legittimazione passiva e avrebbe dovuto essere estromesso dal giudizio.

Il motivo è in parte inammissibile perchè il ricorrente, in dispregio del principio di autosufficienza, ha omesso di riportare nella sua completezza il testo delle clausole del contratto individuale utili all’esame sollecitato nella presente sede di legittimità.

Parimenti inammissibile è la censura motivazionale, considerato che la sentenza d’appello è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 (termine di decorrenza dell’applicazione della novella), sicchè il ricorso per cassazione è soggetto alla più restrittiva disposizione processuale introdotta dal c.d. Decreto Sviluppo per circoscrivere l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), al solo “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, invece espressamente denunciato nella specie col secondo motivo.

Per il resto, il motivo è infondato.

Legittimamente infatti il F. ha instaurato il giudizio nei confronti di colui che, al tempo in cui lo stesso attore aveva concluso con il Centro il contratto per la prestazione di terapie odontoiatriche, era pacificamente il direttore sanitario della struttura e, quindi, responsabile dell’esito delle terapie e delle prestazioni effettuate.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, il T. si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, dell’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti contendenti. Assenza di motivazione della sentenza d’appello in relazione alla documentazione prodotta a dimostrazione della fondatezza della eccezione con riferimento alla denuncia querela contro G.A., il Centro dei Servizi Odontoiatrici di V.A.M. S.a.s. e contro V.A.M.”.

Il Tribunale avrebbe condannato il T. senza una ragionevole motivazione, traendo illegittimamente elementi di convincimento dalle dichiarazioni mendaci dei testi di parte avversa, i quali avevano falsamente affermato che egli avesse partecipato alle terapie cui il F. era stato sottoposto.

Inoltre, il giudice di primo grado, in violazione del diritto di difesa del ricorrente, non aveva ammesso le prove testimoniali dirette e contrarie da questi formulate, dalle quali sarebbe emerso che, per quanto di sua conoscenza, il G. svolgeva nella struttura sanitaria solo compiti amministrativi e che, dunque, era impossibile un suo concorso del all’esecuzione materiale dell’attività abusiva dello stesso G..

Nè i giudici del merito avrebbero esaminato adeguatamente le allegazioni documentali che dimostrerebbero i limiti temporali della sua responsabilità di vigilanza sulla struttura sanitaria e la sua ignoranza circa il fatto che, nella struttura da lui diretta, il G. esercitasse abusivamente attività medica odontoiatrica.

D’altra parte, tale circostanza sarebbe smentita anche dal fatto che il procedimento penale nei suoi confronti sarebbe stato archiviato per insufficienza di prove circa il fatto che egli fosse a conoscenza dell’attività del G., considerata la sporadicità della sua personale presenza presso la struttura.

Il motivo è inammissibile per difetto d’interesse.

I,a condanna in solido del T. si fonda su due distinte ed autonome rationes decidendi.

Secondo la Corte di merito, dalle prove assunte, nonchè in base ad argomentazioni di ordine logico, emerge che il T. era al corrente dell’attività abusiva svolta dal G. presso il Centro Servizi Odontoiatrici.

In ogni caso, la Corte ritiene che anche volendo ipotizzare che il T. fosse ignaro di tale attività, lo stesso rimarrebbe responsabile per la violazione dei doveri di controllo connessi alla sua carica di direttore sanitario.

Orbene, posto che risultano inammissibili le censure alla sentenza impugnata relative alla seconda ratio (laddove si sostiene che, dalla documentazione prodotta, emergerebbe che la responsabilità del T. quale direttore sanitario sarebbe stata in realtà temporalmente limitata ai soli giorni di presenza dello stesso presso il Centro senza però che sia riportato nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, il contenuto di detta documentazione) e, pertanto, tale motivazione risulta divenuta definitiva, deve ritenersi che l’impugnazione della prima ratio (ovvero l’effettiva conoscenza, da parte del T., dell’attività abusiva svolta dal G.) non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la “violazione dell’art. 24 Cost., art. 167 c.p.c., comma 1 e art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, art. 2697 c.c. e degli artt. 99 e 112 c.p.c.. Motivazione insufficiente ed incoerente”.

La causa non sarebbe stata sufficientemente istruita, essendosi negato al Dott. T. il diritto di provare – con la teste indicata a prova contraria in comparsa di costituzione e risposta – l’inefficacia e l’ininfluenza delle dichiarazioni rese a giudizio dai testimoni di parte attrice.

Nella comparsa di costituzione, infatti, il ricorrente avrebbe preso posizione in maniera precisa circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto ed in diritto ed indicando specificamente i mezzi di prova di quale intendeva avvalersi, compresa la prova contraria in ordine alla sua presunta mancata vigilanza sulla struttura sanitaria convenuta, affermata dall’attore in citazione.

Contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, non vi sarebbe l’obbligo di depositare le memorie istruttorie, e sarebbe legittima la richiesta di ammissione di prova contraria contenuta nella comparsa di costituzione, attinente a fatti di causa posti dall’attore a fondamento della causa petendi e del petitori originari.

I giudici avrebbero invece erroneamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dei capitoli di prova relativi alla circostanza della partecipazione materiale del T., fatto dedotto tardivamente nella seconda memoria istruttoria.

La sentenza della Corte d’appello avrebbe travisato i fatti fondando la decisione su argomentazioni radicate su falsi presupposti.

Il motivo è inammissibile sotto plurimi aspetti.

Innanzitutto, il motivo difetta d’interesse nella parte in cui si lamenta la mancata ammissione della prova contraria sui capitoli di parte attrice (riportati a p. 26 del ricorso).

Tale prova, ove ammessa, avrebbe al massimo consentito di dimostrare che il ricorrente non aveva partecipato alle cure praticate sul F. dal G. e che era ignaro dell’attività abusivamente esercitata da quest’ultimo, ma ciò non lo avrebbe comunque liberato dalla responsabilità per omesso controllo, connessa al suo ruolo di direttore sanitario.

Parimenti inammissibili sono le doglianze relative alla presunta mutatio libelli da parte dell’attore, che non tengono conto della motivazione sul punto della sentenza impugnata (secondo cui non vi sarebbe stata alcun irrituale mutamento della causa petendi e del petitum, poichè i capitoli di prova volti a dimostrare la presenza del Dott. T. in occasione di alcune sedute del F. presso lo studio, erano state dedotte a riprova della consapevolezza dello stesso dell’abusivo svolgimento della professione da parte del G. e dunque della sua responsabilità quale direttore sanitario del Centro).

Infine, del tutto inammissibili sono pure le censure svolte sotto il profilo motivazionale, peraltro del tutto generiche. I fatti di cui si discute – secondo il ricorrente, travisati dalla sentenza impugnata – sono stati esaminati dalla Corte di appello con motivazione congrua e logicamente coerente, certamente ben al di sopra del “minimo costituzionale”. Pertanto il motivo non è coerente con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. sez. un. nn. 8053 e 8052 del 2014) perchè verrebbe un nuovo esame delle risultanze istruttorie inammissibile in questa sede.

6. In considerazione del fatto che l’intimata non ha svolto difese non occorre provvedere sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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