Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29852 del 18/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/11/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 18/11/2019), n.29852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20815-2018 proposto da:

U.P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI

N. 47, presso lo studio dell’Avvocato TURCO MARIALUCREZIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato LAMICELA GIUSEPPA

MARIA TERESA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del PIEMONTE, depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

DELL’ORFANO ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

Uz.Pi.Fr. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 218/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Novara in rigetto del ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRPEF annualità 2008 D.P.R. n. 600 del 1973, emesso ex art. 41-bis;

l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciando, in rubrica, “omessa pronuncia sul primo motivo di appello relativo all’illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.”, non avendo la CTR esaminato le doglianze relative all’avere l’Ufficio attribuito al contribuente, come elemento positivo di reddito, il pagamento relativo ad acquisto di un autoveicolo “senza tener conto che…(egli)… non era imprenditore”;

1.2. la censura è infondata atteso che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del Giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non sì verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass. nn. 24155/2017, 21612/2013, 20311/2011);

1.3. avuto riguardo, dunque, al principio secondo cui il vizio di omessa pronuncia da parte del Giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il Giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (cfr. Cass. n. 452/2015, 16254/2012, 11756/2006), non v’è dubbio che il vizio nella specie non ricorra dal momento che la CTR ha motivatamente disatteso il motivo di censura svolto dal contribuente in appello, adottando argomentazioni ritenute assorbenti con riguardo alla legittima ripresa a tassazione in questione per non avere il contribuente dato prova “della proprietà o del possesso…(del veicolo)… antecedentemente alla dichiarazione del P.R.A. del 16/4/2008” e per aver omesso di dichiarare in due questionari dell’Amministrazione finanziaria il possesso dell’autovettura, con ciò, appunto, assumendo una decisione incompatibile con la supposta deduzione non esaminata, che è stata così implicitamente rigettata;

2.1. con il secondo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 denunciando, in rubrica, “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2” perchè la CTR avrebbe errato nel ritenere legittima la ripresa fiscale dell’Ufficio che aveva qualificato “prelevamenti da conto corrente non giustificati come componenti positivi di reddito in capo ad una persona fisica non imprenditore” in relazione alla vendita di autovettura in data 6.5.2008, con relativo incasso a mezzo assegno bancario e versamento su c/c bancario del contribuente, essendo stata l’auto ceduta immatricolata in capo al ricorrente pochi giorni prima della vendita da parte di quest’ultimo, con conseguente presunzione da parte dell’Ufficio dell'”acquisto… per un importo pari al corrispettivo di vendita… con una disponibilità di ulteriore reddito… non dichiarato”;

2.2. con il terzo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denunciando, in rubrica, violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. perchè la CTR avrebbe errato nell’utilizzare presunzioni prive del requisito di gravità, precisione e concordanza, violando altresì il principio di praesumptio de praesumpto;

2.3. i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati;

2.4. in primo luogo il Collegio osserva che, in tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perchè tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perchè, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, quale è configurabile quella posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, che consente all’Amministrazione finanziaria di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui, sicchè non ricorrerebbe nel caso di specie (cfr. Cass. nn. 29880/2017, 15003/2017);

2.5. va altresì osservato che in materia di accertamenti bancari, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 711/2017, id. n. 15857/2016; 4829/2015) è ferma nel ritenere che qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso l’dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili;

2.6. si è, inoltre, condivisibilmente statuito che la presunzione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, consente all’Amministrazione finanziaria di riferire de plano ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, salva la prova contraria da parte di costui;

2.7. ne consegue l’insussistenza della violazione di legge avendo il Giudice di merito correttamente applicato la normativa di riferimento, come costantemente interpretata da questa Corte, secondo cui il versamento non giustificato, accreditato sul conto corrente del contribuente, rettifica in aumento la base imponibile in quanto considerato come maggiore elemento positivo di reddito, rilevando che, a fronte dell’accertata movimentazione bancaria (accredito di Euro 102.000) nessuna prova di segno contrario era stata fornita dal contribuente non avendo egli “fornito alcuna documentazione attestante la tracciabilità del pagamento dell’autovettura”;

2.8. esula del tutto dalla presente controversia la questione relativa all’inapplicabilità della presunzione legale derivante dai prelevamenti bancari, che riguarda peraltro esclusivamente i possessori di reddito di lavoro autonomo (circostanza in alcun modo contestata dall’Ufficio finanziario ai fini dell’accertamento fiscale in oggetto), venendo invece in rilievo, come si è detto, l’effetto presuntivo, relativo a maggiore disponibilità reddituale, derivante da versamenti non giustificati, che si applica a tutti i contribuenti (lavoratori dipendenti, titolari di redditi di impresa e lavoro autonomo);

3.1. con il quarto motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciando, in rubrica, “nullità della sentenza per motivazione assente/apparente” perchè la CTR avrebbe omesso di esporre le ragioni sottese alla sua decisione;

3.2. la censura va disattesa in quanto, malgrado la sinteticità della decisione gravata di ricorso per cassazione, si scorge dal suo complessivo contenuto la ratio decidendi posta a base della stessa, collegata alla mancanza di elementi documentali idonei a superare la presunzione di maggiore disponibilità reddituale, posta alla base della ripresa a tassazione della somma oggetto di accredito sul suo c/c bancario;

3.3. tanto è sufficiente per escludere che la sentenza impugnata possa rientrare nello stigma delle sentenze nulle per omissione della motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile, alla stregua di quanto affermato da Cass. S.U. nn. 8053/2014 e 8054/2014;

4. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente rigettato;

5. le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore dell’Agenzia controricorrente, liquidandole in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2019

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