Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 29850 del 20/11/2018

Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, (ud. 14/09/2018, dep. 20/11/2018), n.29850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6342/2016 proposto da:

DIOCESI ASSISI GUALDO TADINO NOCERA UMBRA, in persona del Vescovo

Mons. S.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POSTUMIA 3, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MICIONI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO BELLINI giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE

MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BRIGUGLIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTA GRASSELLI

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 20/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato ANTONIO BELLINI;

udito l’Avvocato ANTONIO BRIGUGLIO;

udito l’Avvocato ROBERTA GRASSELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.G. si opponeva all’esecuzione promossa dalla Diocesi di Assisi per il rilascio di un immobile oggetto di sentenza di condanna restitutoria pronunciata, nei confronti di M.A., nel 2001, sulla ritenuta risoluzione di un comodato precario, esponendo che era proprietario del bene per averlo acquistato, con atto trascritto nel 2000, dal M. stesso il quale, a sua volta, lo aveva acquistato per usucapione ventennale accertata con sentenza del 1994, trascritta nel 1995 e pronunciata nei confronti degli eredi conosciuti di L.R. quale proprietario formale del fondo.

Il tribunale accoglieva l’opposizione con pronuncia confermata dalla Corte di appello con cui si rilevava che il diritto dominicale era opponibile “erga omnes” e dunque anche a chi, come l’esecutante, si limitava a far valere diritti obbligatori e non reali, fermo restando che la medesima Diocesi non poteva neppure far valere l’art. 111 c.p.c., atteso che tra il M. e il D. era traslato il diritto di proprietà, e non quello controverso afferente al rapporto obbligatorio di natura personale.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione la Diocesi di Assisi, Gualdo Tadino e Nocera Umbra, formulando un motivo.

Resiste con controricorso D.G..

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 1372 c.c., artt. 323 e 111 c.p.c., poichè la corte di appello avrebbe errato nel ritenere opponibile il giudicato scaturito da un giudizio cui la deducente era rimasta estranea, mentre, al contempo, il M. aveva fatto valere la sua titolarità dominicale per usucapione con precedente opposizione all’esecuzione definitivamente rigettata, sicchè, essendo il dante causa dell’odierno opponente, quest’ultimo non avrebbe potuto riproporre la medesima questione.

2. Deve preliminarmente essere rilevata d’ufficio, con effetti complessivamente assorbenti, l’improponibilità dell’originaria domanda dell’odierno controricorrente, con conseguente cassazione senza rinvio della decisione qui gravata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, secondo periodo (cfr., ad esempio, Cass., 09/10/2015, n. 20252).

Tale rilievo officioso è possibile non ostandovi un giudicato interno, per l’assenza di una specifica statuizione sul punto da parte dei giudici di merito che avrebbe imposto, altrimenti, una censura in difetto della quale sarebbe maturata la suddetta preclusione (secondo quanto chiarito da Cass., Sez. U., 12/05/2017, n. 11799, specie punto 9.3.3.1).

3. Deve darsi continuità al principio secondo cui il terzo legittimato all’opposizione ordinaria ai sensi dell’art. 404 c.p.c., comma 1, non può proporre opposizione all’esecuzione promossa sulla base di un titolo giudiziale formatosi “inter alios”, salvo che sostenga che quanto stabilito dal predetto titolo sia stato soddisfatto oppure sia stato modificato da vicende successive sicchè non vi è più nulla da eseguire, nel qual caso deve ritenersi legittimato ai sensi dell’art. 615 c.p.c.. Mentre solo qualora l’esecuzione del titolo formatosi “inter alios” si estenda al di fuori dell’oggetto previsto nella statuizione giudiziale, sicchè l’esecuzione non risulti in realtà sorretta dal titolo, il terzo stesso può opporsi, nelle forme dell’art. 619 c.p.c., quale soggetto la cui posizione è effettivamente incisa dall’esecuzione, ancorchè formalmente terzo rispetto ad essa (Cass., Sez. U., 23/01/2015, n. 1238).

Nel caso di specie, diversamente e come visto, il D. si è opposto all’esecuzione fondata su titolo di rilascio per risoluzione di comodato, formatosi tra la Diocesi e il M., diretto a ottenere la disponibilità del bene relativamente al quale l’opponente ha invocato, quale diritto incompatibile, la proprietà acquisita, antecedentemente alla formazione del titolo esecutivo, dal M. medesimo.

4. Come ancora più recentemente precisato da questa Corte (Cass., 20/03/2017, n. 7041), nell’esecuzione per consegna o rilascio vi è una normale coincidenza tra il bene indicato nel titolo e il bene assoggettato all’esecuzione. Pertanto, mentre nell’espropriazione forzata la direzione dell’azione esecutiva è prettamente soggettiva in quanto occorre specificare mediante il pignoramento l’oggetto dell’azione stessa, così concretizzando la garanzia patrimoniale generica; nell’esecuzione in forma specifica, invece, la direzione dell’azione è preminentemente oggettiva, in quanto il titolo indica un determinato diritto avente ad oggetto un certo bene.

Scopo dell’esecuzione in forma specifica è, quindi, quello di adeguare la situazione di fatto a quella giuridica consacrata nel titolo, immettendo l’avente diritto, nell’ipotesi, nel possesso o nella detenzione della cosa.

Quanto sopra spiega perchè (Cass., 02/12/2016, n. 24637, Cass., 04/03/2003, n. 3183) l’ordine contenuto in una sentenza di condanna al rilascio d’immobile spiega efficacia nei confronti, non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a detenere il bene nel momento in cui la sentenza stessa venga coattivamente eseguita. La statuizione, dunque, non può essere contrastata, ed elusa, opponendo un eventuale titolo giustificativo della disponibilità del bene in contestazione, diverso da quello preso in esame dalla pronuncia giurisdizionale, mentre il possessore o detentore, qualora ritenga lesi i suoi diritti dal provvedimento di rilascio, può provvedere alla loro tutela mediante l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., salva sempre un’autonoma azione di accertamento.

5. L’opposizione di terzo ordinaria ex art. 404 c.p.c., infatti, è un mezzo d’impugnazione straordinario, dato cioè anche riguardo a sentenza divenuta definitiva, tendente a rendere inopponibile una statuizione resa tra altri di per sè inidonea a pregiudicare il terzo, stante la portata del giudicato sostanziale, ai sensi dell’art. 2909 c.c., tra le sole parti del giudizio, i loro eredi e aventi causa quanto al diritto controverso (nel caso, il diritto personale sotteso al rilascio azionato dalla Diocesi, e non, logicamente, quello reale oggetto della compravendita tra il M., quale “aliunde” accertato soggetto attivo di usucapione del bene, e il D. originario opponente nel presente processo).

L’opposizione all’esecuzione, diretta o di terzo, è invece un rimedio contro gli errori concernenti l’esecuzione, e non contro quelli inerenti al titolo, sicchè l’opponente non potrà servirsene per contestare il contenuto del titolo giudiziale, posto che, altrimenti, l’opposizione in parola finirebbe col trasformarsi in un rimedio impugnatorio, in contrasto sia con la sua funzione, sia col principio generale dell’onere del gravame, secondo cui le opposizioni esecutive non possono utilizzarsi per far valere pretese criticità riferibili alla pronuncia azionata, giacchè, in caso contrario, si declinerebbero come illogica sovrapposizione ai mezzi d’impugnazione.

Questo spiega perchè nell’esecuzione per consegna o rilascio, avviata in forza di sentenza resa tra altri, ove l’opponente lamenti una lesione della sua situazione soggettiva che gli deriva non già da un errore sorto nel procedimento esecutivo (come invece avverrebbe, secondo le Sezioni Unite citate, deducendo che il titolo è già stato adempiuto o che i suoi contenuti sono stati modificati da vicende successive, ovvero l’estensione dell’esecuzione oltre il titolo), bensì direttamente dalla sentenza che ha accertato una situazione giuridica soggettiva pretesamente incompatibile con quella da lui vantata, egli non può proporre l’opposizione all’esecuzione, ma deve invece impugnare il provvedimento stesso con l’opposizione di terzo ordinaria, ai sensi del più volte menzionato art. 404 c.c., comma 1.

D’altra parte, all’ipotesi di riqualificazione delle due azioni ostano diversità di tipo strutturale e funzionale: sia per la competenza (l’una da proporsi dinanzi al giudice dell’esecuzione, l’altra dinanzi al giudice che ha emesso l’arresto pregiudicante) sia per le decisive differenze di “causa petendi” e “petitum” (Cass., n. 7041 del 2017, cit., pag. 12, ultimo capoverso).

6. La fattispecie in esame suggerisce la precisazione che l’incompatibilità del diritto tutelabile con l’opposizione di terzo ordinaria deve ritenersi estesa ai profili fattuali, che siano, come logico, giuridicamente rilevanti.

In altri termini, può trattarsi non solo di un’incompatibilità logica tra la situazione giuridica soggettiva invocata e quella cristallizzata nel titolo, bensì anche, nei termini detti, di un’incompatibilità fattuale.

Riprendendo e traendo le fila del caso oggetto dell’odierno ricorso, il preteso proprietario, quale affermato avente causa dal soccombente nel giudizio esitato nel titolo di rilascio, avrebbe potuto e dovuto proporre opposizione di terzo ordinaria, senza preclusioni temporali e con ogni possibile tutela anche sospensiva ove necessario, nel correlativo contraddittorio necessario esteso a tutte le parti coinvolte nel processo definito dalla pronuncia oggetto della pretesa di revoca. E avrebbe potuto e dovuto farlo adducendo l’incompatibilità di fatto, giuridicamente rilevante, tra il godimento dell’immobile cui era legittimato dal proprio affermato diritto dominicale e l’ordine di rilascio fondato sulla risoluzione del comodato, come tale logicamente non incompatibile, di per sè, con la proprietà di terzi, posto che comodante può essere anche chi proprietario non è.

7. Può formularsi il seguente principio di diritto: l’ordine contenuto in una pronuncia di condanna al rilascio d’immobile spiega efficacia nei confronti, non solo del destinatario della relativa statuizione, ma anche di chiunque si trovi a disporre del bene nel momento in cui là pronuncia stessa venga coattivamente eseguita, mentre il terzo che, come il proprietario possessore del bene, deduca un’incompatibilità fattuale giuridicamente rilevante con la statuizione contenuta nel provvedimento di rilascio, può richiedere la correlativa tutela non proponendo opposizione all’esecuzione, bensì mediante specifica opposizione ex art. 404 c.p.c., comma 1.

8. Alla cassazione senza rinvio della decisione gravata consegue, per l’effetto espansivo di cui all’art. 336 c.p.c., la caducazione di quella di prime cure.

9. Spese compensate stante la peculiarità processuale della controversia, definita con rilievo officioso di questa Corte, e in ragione della disciplina “ratione temporis” applicabile (essendo del 2007 l’originario atto introduttivo del giudizio).

10. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, posto che non si verte nell’ipotesi di rigetto integrale, improcedibilità o inammissibilità dell’impugnazione (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza impugnata. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2018

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